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Allergie stagionali, come affrontare la sintomatologia che le accompagna?

Le reazioni allergiche sono mediate dal sistema immunitario e rappresentano la conseguenza di una sensibilizzazione verso sostanze chimiche a cui ci si sia precedentemente esposti. Queste sostanze nel soggetto non allergico sono innocue. In caso di allergia, il composto o un suo metabolita definito aptene si coniuga con proteine per formare un antigene, che determina la produzione di anticorpi; la reazione antigene-anticorpo attiva una risposta cellulare con liberazione di mediatori dell’infiammazione.

Le sostanze immunogene sono molteplici: possono trovarsi nell’ambiente, come pollini, pelo e saliva di animali, acari della polvere, muffe, ma comprendono anche alimenti, metalli pesanti, prodotti chimici contenuti in detergenti e cosmetici, farmaci.

La reazione allergica può essere scatenata dall’inalazione dell’allergene, dalla sua ingestione o dall’esposizione cutanea. Nella prima evenienza avremo reazioni allergiche caratterizzate da rinite, infiammazione della congiuntiva, irritazione della gola e, nei casi più gravi, laringospasmo e broncospasmo. Considerata la stagione, prendiamo in esame le allergie causate dai pollini di alcune piante.

Quando si esce di casa, si consiglia di proteggere la zona oculare indossando gli occhiali da sole e, al rientro, di lavarla con acqua fresca. Può apportare sollievo anche il lavaggio delle fosse nasali con soluzione fisiologica. A fine giornata, può essere utile farsi uno shampoo, dal momento che i capelli possono aver raccolto i pollini durante il periodo trascorso all’aria aperta. Per lo stesso motivo suggeriamo di stendere i panni in casa.

Come farmaci preventivi, si utilizzano i cromoni, che occorre assumere almeno 2-4 settimane prima dell’esposizione agli allergeni, proseguendo la terapia per tutta la stagione di fioritura.

Tra i farmaci sintomatici, citiamo gli antistaminici per via orale o contenuti all’interno di spray nasali e colliri. Quelli di ultima generazione consentono spesso un’unica somministrazione giornaliera e hanno il vantaggio di provocare una minore sonnolenza.

Per contrastare rinite, rossore e prurito oculari in commercio si trovano spray e colliri decongestionanti, a base di vasocostrittori.

In caso di reazioni più severe con crisi asmatiche, si usano broncodilatatori e cortisonici, da assumere per via nasale o orale. Questi farmaci vanno impiegati sotto consiglio e prescrizione del medico.

Invitiamo a non allarmarsi in caso di rinorrea e starnuti in questo periodo dell’anno, rischiando di confondere questi sintomi con quelli di Covid-19. Chi soffre da tempo di allergie sa che gli starnuti ripetuti e il naso che cola sono molto frequenti, a differenza di quanto accade nell’infezione da coronavirus. In quest’ultima è presente il più delle volte la febbre, che invece non si presenta nelle manifestazioni allergiche.

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Pulci, zecche, flebotomi: cosa fare per proteggere gli amici a quattro zampe?

Le passeggiate con cani e gatti nelle aree verdi espongono al rischio di infestazione da parte di numerosi parassiti. I principali sono pulci, zecche e flebotomi, comunemente chiamati pappataci.

Il ciclo vitale delle pulci comprende gli stadi di uovo, larva e pupa, che rappresentano le forme immature, e adulto, che infesta l’animale e, nel caso in cui l’infestazione ambientale sia elevata, anche l’uomo. Si tratta di insetti che si nutrono di sangue e sono particolarmente attivi nella stagione primaverile.

Hanno dimensioni molto piccole e ci si accorge della loro presenza sull’animale da compagnia in quanto questo ha la tendenza a grattarsi, leccarsi, mordersi a causa dell’intenso prurito. Le pulci sono portatrici di diverse malattie nei pet, tra cui la dermatite allergica da pulci o Dap, un’infiammazione della pelle dovuta a una reazione di ipersensibilità alla saliva dell’insetto, che induce il cane o il gatto a grattarsi con insistenza provocando arrossamenti, lesioni, aree di alopecia.

Le pulci si concentrano su testa, collo, orecchie, dorso, ventre. Gli antiparassitari vanno applicati tra le scapole, sulla nuca o sulla schiena, ossia in quelle regioni in cui l’animale non riesca a leccarsi, e vanno scelti in base al tipo di animale e al peso. Gli antiparassitari idonei al trattamento del cane possono non essere indicati per il gatto, motivo per cui dopo l’applicazione del prodotto al cane di casa è bene tenerlo in una stanza separata dall’eventuale coinquilino felino.

Le zecche sono aracnidi che si nutrono di sangue e possono trasmettere malattie sia agli animali domestici che ai loro padroni. Il ciclo vitale prevede gli stadi di uovo, larva, ninfa e adulto. Sono insetti attivi tutto l’anno, anche se il periodo di massima espansione è quello compreso tra aprile e giugno.

Per prevenire l’infestazione si possono utilizzare diverse formulazioni contenenti antiparassitari, quali compresse da somministrare per bocca, spot-on, lozioni, spray, collari. Nel caso in cui si rinvenga la presenza di una zecca, se impossibilitati a portare l’animale dal veterinario occorre rimuoverla con pinzette dalla punta ricurva, disinfettando la zona al termine dell’operazione.

I flebotomi sono parassiti pericolosi sia per il cane che per l’uomo.

Sono vettori della leishmaniosi, una malattia provocata da un protozoo che viene trasmesso attraverso la puntura dell’insetto. I flebotomi si nutrono di sangue, hanno dimensioni inferiori rispetto a quelle delle zanzare e un colore giallo sabbia. Il protozoo trasmesso dalla loro puntura si moltiplica nell’ospite, ma non sempre genera la malattia, tanto che molti cani infetti rimangono asintomatici per tutta la durata della loro vita.

Nella leishmaniosi conclamata la sintomatologia comprende disturbi gastroenterici, astenia, zoppia, epistassi. A livello cutaneo possono presentarsi ispessimenti, alopecia, dermatiti, eccessiva crescita delle unghie. Sono frequenti inoltre coinvolgimenti oculari e renali. Ai fini della prevenzione è utile impiegare prodotti repellenti e insetticidi ambientali nei luoghi maggiormente frequentati dall’animale, come cucce, tappeti, pavimenti, evitare le uscite nelle ore notturne, fare dormire l’animale in spazi chiusi protetti da zanzariere e sottoporlo alla vaccinazione specifica.

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Dermatiti da contatto: cause, segni caratteristici, terapie

L’espressione “dermatite da contatto” si riferisce a un’infiammazione della cute causata dall’esposizione a sostanze irritanti o ad allergeni, cioè sostanze che nella maggior parte degli individui non provocano alcuna risposta patologica ma che in soggetti sensibili possono scatenare reazioni allergiche. I sintomi principali sono prurito, irritazione, bruciore, formazione di vescicole.

Nella maggioranza dei casi la dermatite da contatto è di tipo irritativo, senza attivazione del sistema immunitario, ed è determinata da sostanze chimiche fortemente acide o basiche, solventi, farmaci, prodotti cosmetici e per l’igiene della casa, metalli pesanti come nichel, cobalto, cromo, essudati di piante, saliva di animali da compagnia. Chiunque può essere colpito da questo tipo di dermatite se la sostanza irritante è concentrata e il tempo di contatto prolungato.

A differenza della dermatite irritativa da contatto o Dic, nella dermatite allergica da contatto (Dac) si verifica in un primo momento la sensibilizzazione ad un determinato antigene, ossia una sostanza estranea all’organismo che induce la formazione di anticorpi, e durante un’esposizione successiva si manifesta la reazione allergica vera e propria.

Nella Dic la sintomatologia dolorosa prevale sul prurito e le manifestazioni cutanee vanno dagli eritemi transitori ad ulcerazioni importanti che richiedono parecchie settimane per guarire. La Dac è invece caratterizzata da prurito intenso, che compare insieme alle eruzioni cutanee dopo un periodo variabile dalle 12 alle 48 ore dal contatto con l’allergene, con coinvolgimento del sistema immunitario.

Uno strumento utile per la diagnosi di Dac è il patch test, solitamente praticato dallo specialista in allergologia o in dermatologia. Questo esame prevede l’applicazione di piccole celle contenenti gli allergeni più comuni, mantenute a contatto con la cute dell’avambraccio o del dorso tramite un cerotto. La pelle viene controllata dopo 48 e 96 ore e la diagnosi è confermata dalla presenza di dermatite in corrispondenza di una delle sostanze testate. Una volta individuato l’agente allergizzante occorre evitare del tutto il contatto con gli oggetti che possano contenerlo, utilizzando guanti protettivi nell’eventualità in cui non si possa fare a meno di maneggiarli, per esempio per motivi professionali.

Per la completa remissione dei sintomi possono essere necessarie fino a tre settimane, periodo nel corso del quale il medico può consigliare l’impiego di farmaci antistaminici topici o per via sistemica per alleviare il prurito. Infatti questo sintomo, oltre ad essere fastidioso per chi lo sperimenta, induce il paziente a grattare l’area interessata e a provocare lesioni che possono predisporre al rischio di infezioni.

Per attenuare il rossore dovuto alla reazione infiammatoria, il curante può prescrivere cortisonici locali o da assumere per via orale.

Oltre alla terapia farmacologica, il paziente può applicare sulla cute del ghiaccio avvolto in un panno di cotone, che svolge un’azione anestetica e dona sollievo, e mantenere la zona ben idratata per mezzo di creme altamente nutrienti e paste barriera. Nel caso in cui si utilizzino per la prima volta dei cosmetici, quali le tinte per capelli, si suggerisce di effettuare sempre un auto-test per valutare la tollerabilità nei loro confronti, mettendone una piccola quantità a livello della piega del gomito e rinunciando ad impiegarli se la sede di applicazione dovesse arrossarsi o rigonfiarsi.

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Salute e bellezza dei piedi: come dire basta a duroni, calli, occhi di pernice

È iniziata la primavera che, con le giornate di sole, porta con sé la voglia di procedere al cambio di guardaroba, facendo largo a vestiti leggeri e scarpe aperte. Mancano ancora alcuni mesi prima del passaggio ai sandali, ma non è troppo presto per iniziare a prendersi cura dei piedi, spesso trascurati durante i mesi freddi.

I duroni sono ispessimenti a carico della parte più superficiale della cute, detta strato corneo, che si formano nelle zone del piede maggiormente sottoposte a sfregamento. Sono dovuti in particolare al contatto continuo con calzature troppo strette o troppo larghe o dai tacchi molto alti.

I calli sono porzioni di pelle ispessita e dura, di dimensioni più piccole rispetto ai duroni. Anch’essi si presentano sulle zone sottoposte ad attrito, per l’impiego di calzature scomode o l’abitudine di camminare a piedi scalzi. I piedi dei soggetti diabetici meritano di particolari attenzioni, in quanto l’alterata sensibilità alle estremità può portare a non accorgersi della presenza di calli che, oltre a predisporre alla formazione di vesciche e all’insorgenza di eventuali infezioni, possono essere causa di ulcere, da trattare il prima possibile per evitare il rischio di cancrena.

L’occhio di pernice o, in termini tecnici, tiloma si manifesta soprattutto tra le dita dei piedi e, sebbene in genere sia più piccolo, può avere un aspetto del tutto simile a quello del callo, ma da questo differisce per la sua estensione negli strati più profondi del derma. Di frequente arreca dolore, che talvolta può essere causa di posture errate assunte a scopo antalgico. In caso di infezione è necessaria l’applicazione di prodotti topici a base di antibiotici.

Per definire gli ispessimenti della cute sopra citati si usa il termine di ipercheratosi. Per trattare le aree più soggette a sviluppare queste problematiche può essere utile impiegare la pietra pomice o effettuare uno scrub dopo avere ammorbidito la pelle con un pediluvio caldo in cui siano stati disciolti appositi sali da bagno.

In alternativa, si possono applicare prodotti esfolianti a base di agenti cheratolitici, come acido glicolico, acido lattico, urea, in grado di ammorbidire gli strati dell’epidermide più induriti. Al termine di questi trattamenti occorre utilizzare creme nutrienti che contenengano urea, burro di karité, glicerina, pantenolo, allantoina, vitamina E, da massaggiare fino ad assorbimento insistendo soprattutto su talloni e pianta del piede.

Se calli, duroni e tilomi provocassero fastidio o addirittura dolore alla pressione, si consiglia di proteggere l’area con specifici cerottini o cuscinetti in gel. Il farmacista potrà inoltre suggerire l’uso di formulazioni contenenti acido salicilico, che comprendono soluzioni, gel, unguenti, dischetti impregnati.

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Osteoporosi: quali sono le cause e le terapie possibili?

Lo scheletro subisce un rimodellamento continuo, non solo durante l’età della crescita e dello sviluppo, ma anche nell’adulto e nell’anziano: una porzione dell’osso è soggetta a riassorbimento e una nuova parte viene depositata. Con l’avanzare degli anni, i processi distruttivi risultano predominanti, con deterioramento strutturale e riduzione della densità, portando a una condizione definita osteoporosi.

Il rimodellamento osseo vede il coinvolgimento di due tipologie di cellule: gli osteoblasti, che secernono componenti che andranno a formare la nuova matrice dell’osso, e gli osteoclasti, responsabili della sua degradazione. Il processo è influenzato anche dalla presenza o dal deficit di minerali, in particolar modo del calcio, e dal rilascio di determinati ormoni, tra cui le molecole appartenenti alla famiglia della vitamina D.

Non ultimi, rivestono un ruolo di rilievo fattori legati allo stile di vita, soprattutto alimentazione, attività fisica e assunzione di farmaci. A questo proposito, si ricorda che trattamenti prolungati con corticosteroidi antagonizzano l’azione degli osteoblasti e stimolano quella degli osteoclasti, predisponendo all’osteoporosi. Lo stesso effetto si manifesta come esito di malattie in cui aumenta la concentrazione di glucocorticoidi, ormoni steroidei sintetizzati dalle ghiandole surrenali.

La perdita di massa ossea inizia già dai 35 anni sia per il maschio che per la femmina, ma in quest’ultima si osserva un incremento della velocità del fenomeno nel corso della menopausa. Ciò è da attribuire a una più intensa attività degli osteoclasti, dovuta alla diminuzione dei livelli di estrogeni, che contrastano l’azione dell’ormone paratiroideo, il quale mobilizza il calcio dalle ossa e favorisce il riassorbimento osseo. Nella terza età invece si assiste in ambo i sessi alla riduzione del numero di osteoblasti.

La vitamina D è considerata un preormone, infatti nell’organismo va incontro ad una serie di trasformazioni metaboliche che la convertono in molecole biologicamente attive. Queste sono responsabili del mantenimento della corretta concentrazione di calcio nel sangue, aumentandone l’assorbimento a livello intestinale, mobilizzandolo dalle ossa e riducendone l’escrezione da parte del rene. Le forme di vitamina D importanti per l’organismo umano sono l’ergocalciferolo o vitamina D2, che si ottiene dalla dieta attraverso l’introduzione di alimenti vegetali quali funghi e cacao, e il colecalciferolo o vitamina D3, presente in pesce, uova, latte, ma soprattutto sintetizzato nella cute a seguito dell’esposizione ai raggi solari.

Poiché la riduzione della massa ossea determina una maggiore fragilità delle ossa e, di conseguenza, la possibilità di andare incontro a fratture anche a seguito di traumi lievi, in molti casi è necessario ricorrere alla terapia farmacologica. La prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi si basano sulla somministrazione di principi attivi che impediscano il riassorbimento, come bifosfonati e raloxifene, e che stimolino la formazione di nuovo osso, per esempio il teriparatide.

Alcuni composti di ultima generazione, primo tra tutti il ranelato di stronzio, agiscono su entrambi i fronti.

Nell’osteoporosi postmenopausale può essere utile fare ricorso alla terapia ormonale sostituiva, che controbilancia il calo fisiologico degli estrogeni. La vitamina D è utilizzata in tutti i casi di carenza, valutata attraverso la rilevazione dei suoi livelli ematici. I sali di calcio possono essere assunti in associazione ad altri farmaci per prevenire l’osteoporosi.