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Sognare durante e dopo il lockdown: analogie e differenze

Diversi studi scientifici dimostrano come la pandemia da COVID-19 abbia profondamente inciso sia sul nostro rapporto con il sonno sia sui nostri sogni notturni, in termini di frequenza, contenuti e capacità di ricordarli. In uno studio da poco pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health è stata studiata l’attività onirica durante e dopo il lockdown da COVID-19 nel corso del 2020.

Hanno partecipato alla sperimentazione 108 persone, nelle quali sono stati esaminati la qualità del sonno, le abitudini giornaliere, i livelli di ansia e depressione durante e dopo il lockdown. I risultati di questo studio mostrano che la scarsa qualità del riposo notturno, stati d’ansia e atteggiamenti depressivi riscontrati nel corso del primo lockdown sono rimasti invariati anche nel periodo post-lockdown. In questa seconda fase, caratterizzata da una riduzione delle misure restrittive, sono diminuiti il periodo di latenza del sonno, i comportamenti notturni correlati a disturbi da stress post-traumatico, il tempo dedicato ai media digitali.

Ancora, dopo la fase di lockdown totale, l’attività onirica dei soggetti analizzati diminuisce, così come l’intensità emotiva legata ai sogni, la loro vividezza, la lunghezza e la loro originalità o eccentricità. L’emozione più diffusa nei sogni dei partecipanti, rimasta invariata durante e dopo il lockdown, è la paura. Ciò che cambia tra una fase e l’altra (lockdown/post-lockdown) è invece la frequenza dei sogni in qualche misura collegati al blocco fisico-sociale da lockdown. Il superamento delle chiusure e dei confinamenti domiciliari e sociali ha impattato fortemente sui nostri sogni notturni, a questo punto progressivamente affrancati da emozioni e contenuti pertinenti il periodo di isolamento appena vissuto.

Inoltre, rimangono stabili nell’attività onirica durante e post lockdown anche la bassa qualità del sonno e gli stati emotivi negativi (ansia, depressione,…). Probabilmente perché permangono, e si trascinano oltre la fase di lockdown, numerosi effetti avversi della pandemia, evidentemente incancellabili nonostante l’evaporare delle restrizioni sociali. Il fatto che l’isolamento emergenziale abbia influenzato i sogni notturni può essere interpretato nell’ottica dell’ipotesi della continuità, secondo la quale esiste un continuum tra esperienze/emozioni diurne e attività onirica notturna. In altri termini, in base a questa teoria, i sogni non fanno altro che riverberare inquietudini, preoccupazioni, eccitazioni e pensieri che il sognatore vive nel periodo di veglia.

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Ipertensione: prevenirla, controllarla e curarla

L’ipertensione è una condizione che si verifica quando si raggiunge o si supera un valore di 140 mmHg per la pressione massima (o sistolica) e/o uguale o superiore a 90 mmHg per quella minima (o diastolica). Come spiegano gli esperti dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, se i parametri pressori restano particolarmente elevati è possibile andare incontro a danni dei vasi sanguigni e di vari organi. «Questa patologia – affermano gli specialisti – è la causa principale di numerose e gravi malattie cardiache, cerebrali e renali come l’insufficienza cardiaca, l’infarto miocardico, l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale. È importante ricordare che ormai numerosi studi, prospettici controllati e randomizzati, che hanno valutato l’efficacia di diversi farmaci ipotensivi, hanno dimostrato che la riduzione dei valori pressori elevati è in grado di ridurre in modo significativo tutte le principali complicanze dell’ipertensione». È dunque essenziale monitorare la pressione sanguigna periodicamente e seguire le indicazioni mediche in caso di ipertensione accertata.

Prevenire con uno stile di vita sano.

Alcuni comportamenti e varie abitudini scorrette possono influenzare la pressione sanguigna e portare a rialzi pressori che si potrebbero prevenire. L’ipertensione insorge più frequentemente in età avanzata, ma oggi si riscontra un aumento della patologia anche tra soggetti giovani, proprio a causa di uno stile di vita che favorisce l’alterazione pressoria. Sempre secondo gli esperti dell’Istituto Mario Negri, «è possibile prevenire o almeno differire nel tempo, la comparsa dell’ipertensione adottando stili di vita corretti. In questo modo si può limitare la necessità di una terapia farmacologica. Tra le principali indicazioni, è raccomandato smettere di fumare, limitare il consumo di alcol e seguire una dieta sana ed equilibrata, riducendo l’uso del sale. È invece opportuno aumentare il consumo di frutta e verdura fresca, di noci e semi oleosi, di pesce e di latticini a basso contenuto in grassi, utilizzare olio di oliva come condimento, ridurre il consumo di carni rosse e anche l’apporto calorico in generale». Nella prevenzione e cura dell’ipertensione gioca poi un ruolo chiave l’attività fisica, da praticare in modo regolare, almeno 30 minuti per 5-7 volte alla settimana».

Monitorare e curare la pressione.

La pressione alta è spesso asintomatica, il che impedisce alle persone di percepirla. Solo quando la pressione è molto alta si potrebbero verificare cefalea, capogiri, palpitazioni, affaticamento, perdita di sangue dal naso, disturbi della vista. È quindi fondamentale misurarla in modo periodico, sia per coloro che non hanno mai avuto valori anomali sia per chi è iperteso e sta seguendo una terapia. La misurazione più accurata resta quella di medici e farmacisti, ma è utile anche aggiungere l’autocontrollo da casa, utilizzando gli appositi apparecchi a uso domestico. La terapia per la cura dell’ipertensione deve essere prescritta dal medico, che ne adeguerà i dosaggi e le modalità di assunzione. Utili consigli si possono chiedere anche al farmacista, che sarà in grado di rispondere a dubbi e perplessità sui farmaci prescritti, aiutando il paziente a seguire correttamente la terapia.

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Lsd: un nuovo antidepressivo?

Allucinazioni, percezione alterata della realtà, derealizzazione, sensazione di fluttuare nello spazio come un astronauta, improvvisi scoppi di ris Questi sono solo alcuni degli effetti provocati da quel particolare tipo di sostanza, naturale o sintetica, chiamata “psichedelica”. Tradotta dall’inglese psychedelic «rivelatore della psiche», questa parola è stata coniata dallo psichiatra canadese Humphry Osmond nel 1957 e deriva dal greco ψυχή «anima, psiche» e δηλόω «manifestare».

Le sostanze psichedeliche, come l’allucinogeno Lsd (dietilamide dell’acido lisergico), ampliano le possibilità del percepibile e della coscienza, tali per cui si evade dalla realtà per entrare in altre, immaginarie ma assunte come reali. Le sostanze psichedeliche hanno potenti effetti sulla mente umana e il loro potenziale può essere incanalato nel trattamento di alcune condizioni psichiatriche, secondo recenti studi condotti all’UChicago Medicine.

I ricercatori dell’Università canadese hanno dimostrato che l’Lsd aumenta il rilascio di serotonina nel cervello, agendo su determinati recettori a livello neurologico. Diffusi in tutta l’area cerebrale, tali recettori, una volta inondati di serotonina per effetto dell’Lsd, inducono alle alterazioni percettive per cui sono celebri le sostanze psichedeliche. Queste sollecitazioni cerebrali creano nuove connessioni tra cellule, importanti cambiamenti nella coscienza percepita, nuovi modi di visualizzare la realtà e di elaborare pensieri ed emozioni.

Gli effetti degli psichedelici potrebbero rivelarsi utili nella cura della depressione qualora le terapie standard si rivelino inefficaci. Una delle ricerche condotte dall’UChicago Medicine suggerisce che microdosi di Lsd possano risultare vantaggiose per curare la depressione: miglioramento dell’umore, dell’elaborazione emotiva e di alcuni aspetti cognitivi, come la memoria di lavoro, una riduzione delle emozioni negative, ecc.

Negli ultimi anni anche l’industria farmaceutica si è attivata per sfruttare le proprietà farmacologiche delle sostanze psichedeliche in funzione antidepressiva. L’obiettivo rimane quello di ridurre al minimo gli effetti tossici e intrusivi (come le allucinazioni) e aumentare quelli positivi, anche in un percorso di psicoterapia. Le sostanze psichedeliche rappresentano così un approccio innovativo nel trattamento di alcune condizioni di salute mentale. La ricerca condotta in questi anni aiuterà a comprendere sempre di più gli effetti degli psichedelici per utilizzarli al meglio in terapia.

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Epatite B: sviluppare una cura richiede nuovi approcci scientifici

L’immunologo Matteo Iannacone e il virologo-patologo Luca G. Guidotti, hanno recentemente ragionato sulle terapie adottate per la cura dell’epatite B. In sintesi, ritengono fondamentale guardare alla cura di questa patologia da altri punti di vista, in particolare sul rapporto tra virus e sistema immunitario. L’epatite B è un’infiammazione del fegato di origine virale, tale da alterarne le funzionalità. Questa malattia può manifestarsi in forma acuta oppure cronica: nel primo caso solitamente si risolve da sé; nel secondo, invece, richiede l’assunzione di farmaci. A oggi due sono le terapie approvate per il trattamento dell’epatite B: iniezioni di interferoni, proteine normalmente prodotte dal sistema immunitario per neutralizzare le infezioni; e i cosiddetti NUC (nucleosidici o nucleotidici), potenti inibitori del virus dell’epatite B, assumibili anche combinati fra loro.

Gli antivirali sono il farmaco più usato per la cura dell’epatite B cronica a livello internazionale. Tuttavia, analogamente a quanto accade per il trattamento del virus dell’HIV, gli antivirali raramente debellano la patologia dall’organismo. Il paziente è perciò costretto a curarsi anche tutta la vita, onde evitare pericolose recidive della malattia. Secondo Iannacone e Guidotti, la riduzione degli antigeni virali nel sangue (le molecole riconosciute come estranee e potenzialmente pericolose dal sistema immunitario) è insufficiente a contenere gli effetti di un’epatite B cronica.

Bisogna invece sviluppare approcci immunostimolanti che prendano in considerazione le condizioni in cui il virus si insedia e si sviluppa. Come l’afflusso di sangue nel fegato, dove circa 1/3 delle cellule sanguigne si muove ogni minuto; o ancora, l’incapacità del sistema immunitario di riconoscere subito queste particolari cellule virali. Da qui, una conseguente mancanza di “reazione” difensiva dell’organismo potrebbe spiegare almeno in parte la cronicizzazione della malattia. Senza contare che un’infezione di lunga durata depotenzia le facoltà antivirali delle cellule immunitarie, favorendo il perdurare dell’infezione.

Secondo i due studiosi italiani, tali condizioni suggeriscono di approcciare l’epatite B da altre angolazioni. Ad esempio, l’uso di vaccini terapeutici potrebbe sollecitare determinate cellule del sistema immunitario ad allertare l’organismo, stimolandone una reazione difensiva. Oppure, l’utilizzo di vaccini terapeutici insieme a immunostimolanti potrebbe anticipare/accelerare la risposta difensiva dell’organismo. L’integrazione di interventi terapeutici diversi faciliterebbe il controllo immunitario dell’infezione nonché il suo sradicamento a lungo termine.

Modelli preclinici dedicati stanno già offrendo risultati incoraggianti in questa direzione. È vero, altresì, quanto l’associazione di terapie complesse sia difficile da sviluppare, per ragioni di sicurezza, legislative e per i costi da sostenere. I due ricercatori del San Raffaele auspicano che gli studi scientifici su farmaci anti-epatite B dovranno ottimizzare e valutare al meglio i propri risultati, allo scopo di trovare nuove e più efficaci associazioni tra differenti metodologie terapeutiche.

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Complesso vitaminico B, i benefici per l’organismo

Il complesso vitaminico B è composto da otto vitamine del gruppo B, tra cui B-1 (tiamina), B-2 (riboflavina), B-3 (niacina), B-5 (acido pantotenico), B-6 (piridossina), B-7 (biotina), B-9 (acido folico), B-12 (cobalamina). Ognuna di queste vitamine essenziali contribuisce alla funzione corporea generale. Le vitamine del gruppo B svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento della buona salute e del benessere. In quanto elementi costitutivi di un corpo sano, le vitamine del gruppo B hanno un impatto diretto sui livelli di energia, sulla funzione cerebrale e sul metabolismo cellulare.

Il complesso di vitamina B aiuta a prevenire le infezioni e aiuta a sostenere o promuovere la salute delle cellule, crescita dei globuli rossi livelli di energia buona vista sana funzione cerebrale buona digestione sano appetito corretta funzione nervosa produzione di ormoni e colesterolo salute cardiovascolare tono muscolare. Nelle donne le vitamine del gruppo B sono particolarmente importanti per le donne in gravidanza e che allattano. Queste vitamine aiutano lo sviluppo cerebrale del feto e riducono il rischio di difetti alla nascita. E per le future mamme, le vitamine del gruppo B possono aumentare i livelli di energia, alleviare la nausea e ridurre il rischio di sviluppare la preeclampsia. Negli uomini si ritiene che le vitamine del gruppo B aumentino i livelli di testosterone negli uomini, che naturalmente diminuiscono con l’età. Possono anche aiutare gli uomini a costruire muscoli e aumentare la forza. Tuttavia, mancano studi sull’uomo che confermino queste affermazioni.