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Primavera, come prevenire i disturbi del cambio di stagione?

L’arrivo della primavera rappresenta uno dei cambi di stagione più insidiosi dell’anno. Se da un lato l’umore migliora con i primi giorni di sole, dall’altro il fisico fatica a gestire il cambiamento, portando spesso nervosismo e insonnia. Questo perché, specie nelle prime settimane, il clima è molto variabile e spesso ci trova impreparati in un periodo in cui si tende a passare più tempo all’aperto. Il passaggio repentino da giornate calde e soleggiate a giornate piovose, umide e fredde impedisce al fisico di adattarsi e così si presentano facilmente diversi disturbi da raffreddamento, come raffreddore e mal di gola. E non è solo il classico colpo di freddo a mettere l’organismo a dura prova, ma anche il rischio di sudare se, al contrario, ci si copre troppo e il clima è più caldo del previsto. La prima regola è quindi quella di vestirsi a strati e tenersi pronti a qualsiasi cambio climatico improvviso.

Vincere la stanchezza.

Il passaggio dall’inverno alla primavera, inoltre, provoca non di rado uno stato di profonda stanchezza, sia fisica sia mentale, una condizione che rende difficoltoso svolgere le normali attività quotidiane. Si tratta anche in questo caso di una conseguenza del cambiamento climatico a cui l’organismo non riesce ad abituarsi in modo immediato, necessitando tempi più lunghi. Lo stesso accade a causa dell’aumento delle ore di luce e del passaggio dall’ora solare a quella legale. Per sostenersi in questa fase di transizione è possibile assumere integratori specifici, a base di vitamine, sali minerali e aminoacidi, in grado sia di sopperire a eventuali carenze alimentari sia di ridare tono a mente e fisico. Sono disponibili anche diversi prodotti a base di sostanze naturali con proprietà toniche, come ginseng, pappa reale, polline, eleuterococco, lecitina di soia e olio di germe di grano. In caso si avverta la necessità di un aiuto per vincere la stanchezza, è quindi utile consultare il medico o il farmacista per scegliere l’integratore più appropriato alle proprie esigenze e al proprio stato di salute. Il consiglio di un professionista sanitario è sempre fondamentale nella scelta di questi prodotti che possono avere effetti indesiderati o interferire con altri farmaci assunti.

Affrontare le allergie primaverili.

Per un numero sempre crescente di persone primavera è anche sinonimo di allergie. In questa stagione, infatti, le fioriture di molte specie di piante portano al diffondersi dei pollini nell’aria, la cui concentrazione aumenta sensibilmente, causando attacchi allergici frequenti a chi soffre di allergie. Passando più tempo all’aria aperta, come in genere avviene nella bella stagione, l’esposizione a queste sostanze è molto più frequente e protratta nel tempo. Ma per gli allergici la permanenza nel verde può diventare insopportabile se compaiono i classici sintomi quali riniti, sternuti, lacrimazione e bruciore agli occhi e prurito. Evitare gli attacchi allergici non è semplice. Si possono verificare i calendari dei pollini per sapere quando ci sarà la maggior concentrazione dell’allergene a cui si è sensibili e cercare di evitare di stare all’aperto nelle giornate ventose e nelle ore più calde, quando la concentrazione dei pollini aumenta. Se però si verifica un attacco allergico e i sintomi creano disagio e malessere, è bene rivolgersi al medico o al farmacista, che potranno raccomandare l’uso di antistaminici o altri rimedi all’occorrenza.

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Il ruolo dei farmacisti nel supportare i pazienti nella gestione del diabete

Uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista scientifica “Frontiers in Pharmacology” ha sottolineato il ruolo cruciale che rivestono i farmacisti nell’aiutare i pazienti affetti da diabete nel seguire in maniera corretta il proprio trattamento farmacologico. Lo studio evidenzia in maniera chiara come sino ad ora studi simili si siano soffermati su quello che è l’influsso proficuo che la categoria dei farmacisti esercita sui pazienti interessati da diabete, senza però approfondire circa un aspetto determinante come quello relativo al concreto supporto che essi forniscono durante la fase di gestione delle cure da seguire.

Il contributo dei farmacisti.

Lo studio è stato portato avanti da ricercatori dell’Università di Groningen e del Netherlands Institute for Health Services Research, i quali hanno rielaborato i dati relativi agli studi simili che sono stati effettuati sino ad adesso focalizzando però la propria attenzione su quello che viene definito il “self-management”, cioè la capacità di auto gestire la patologia da parte del paziente che ne è affetto. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata su 24 studi in particolar modo, i quali hanno interessato 3.610 pazienti in totale. Il contributo dei farmacisti ha riguardato per buona parte indicazioni fornite per quel che riguarda potenziali problematiche legate al diabete come pure pareri farmacologici, nonché suggerimenti circa lo stile di vita più indicato e corretto.

I valori rilevati in farmacia.

I ricercatori hanno così focalizzato la propria attenzione su quelli che sono stati i risultati relativi alle terapie che i pazienti hanno seguito, registrando gli effetti positivi di cui si è avvantaggiato chi ha usufruito del supporto di un farmacista. I dati rilevati vanno quindi ad evidenziare il concreto contributo che questi può offrire nell’aiutare a seguire correttamente la terapia, in particolar modo per quanto concerne il livello di emoglobina glicata. Le farmacie italiane in particolar modo, si sono inoltre attivate non soltanto per fornire un valore aggiunto a quanti sono interessati da diabete e seguono il relativo trattamento farmacologico, ma anche per rivestire allo stesso tempo un ruolo determinante in fase di prevenzione. Ad esempio in occasione della campagna DiaDay, una iniziativa per lo screening nazionale del diabete, sono stati scoperti oltre 4.000 casi di diabete non diagnosticato.

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Mangiare una ciotola di rucola al giorno abbassa la pressione

«L’erucina, principio attivo contenuto nella rucola (ma anche nel broccolo e nel cavolo, che fanno parte insieme alla rucola della famiglia delle Brassicacee o crucifere), è un profarmaco capace di rilasciare acido solfidrico, gas dal caratteristico odore di uova marce, lo stesso che, per intenderci, ritroviamo in alcune sorgenti termali e che già i Romani sfruttavano per le sue proprietà benefiche. L’organismo è in grado di produrre acido solfidrico autonomamente ma in alcune situazioni patologiche, come ad esempio l’ipertensione arteriosa, esso risulta carente ed è pertanto necessario assumerlo da fonti esterne». È quanto si legge in una nota della Società italiana di farmacologia (Sif), la quale ha reso noto che tale principio attivo «ha un duplice effetto sul sistema cardiovascolare: da una parte induce la dilatazione dei vasi sanguigni abbassando la pressione arteriosa, dall’altra ha proprietà antiossidanti, quindi protegge la parete dei vasi sanguigni dai fenomeni ossidativi dell’invecchiamento».

Studio cinese e australiano.

Ebbene, secondo quanto evidenziano i ricercatori, «uno studio cinese e uno australiano hanno verificato i parametri cardiovascolari generali su pazienti che erano soliti mangiare rucola, broccolo o cavolo, evidenziando una riduzione significativa delle morti per cause cardiovascolari. Rispetto a cavoli e broccoli, va detto che la rucola ha un vantaggio: dal momento che viene consumata cruda, preserva intatto il principio attivo dal deterioramento conseguente alla cottura, cosa a cui cavoli e broccoli vanno inevitabilmente incontro, trattandosi di verdure che vengono mangiate cotte».

Erucina studiata da più di 10 anni.

Alma Martelli, professoressa associata di Farmacologia presso il dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa e membro della Società Italiana di Farmacologia ha spiegato che «studiamo l’erucina da più di 10 anni prima attraverso test in vitro, poi su colture di cellule umane provenienti dalla parete dell’aorta e dell’endotelio, poi sui vasi isolati degli animali e, infine, su animale integro sano e iperteso. Attualmente, grazie alla collaborazione con il dipartimento di medicina interna dell’Università di Pisa, stiamo studiando gli effetti dell’erucina sui vasi umani di pazienti obesi, prelevati durante gli interventi di chirurgia bariatrica. Dopo questa fase, si passerà alla sperimentazione clinica con somministrazione, quindi, di erucina ai pazienti. I dati ottenuti finora sono molto promettenti, ma mancano ancora dati su un numero significativo di pazienti». Ciò sebbene l’erucina «non per tutti quelli che soffrono di ipertensione, però, è indicato assumere rucola attenzione se si assume warfarin (Coumadin) o si soffre di problemi alla tiroide».

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Come ridurre il consumo di sodio… con gusto

La maggior parte del sodio che ingeriamo proviene dal sale che mangiamo in alimenti trasformati, confezionati, per lo più di origine industriale. Il limite raccomandato è di 2.300 mg al giorno per persone di età superiore ai 14 anni.

Perché controllare i livelli di sodio nel sangue.

L’eccesso di sodio nel sangue può portare ad aumentarne la pressione. Il sodio attira l’acqua nel flusso sanguigno aumentandone il volume e, di conseguenza, la spinta del fluido dal cuore nelle arterie. Problema che non riguarda soltanto gli adulti ma anche i bambini e gli adolescenti, probabili futuri soggetti ipertesi. L’ipertensione è una condizione in cui la pressione sanguigna resta alta nel tempo, sforza eccessivamente cuore e flusso sanguigno fino a danneggiare organi e arterie. Se incontrollata, può portare a infarto, insufficienza cardiaca, ictus, malattie renali, cecità. Tende ad aggravarsi con l’età, dunque è fondamentale diminuire l’assunzione di sodio anno dopo anno.

I 10 consigli per ridurre il sodio nei pasti.

Diminuire cibi ricchi di sodio (carne e derivati, pizza, panini, snack salati,…), Prima di acquistare un prodotto verificare il quantitativo di sodio riportato sull’etichetta alla voce “Valori nutrizionali”. Confrontare due prodotti simili per categoria ma di marche diverse, per esempio il pane confezionato, Rimanere sotto la soglia giornaliera di sodio consigliata: 5% o meno di sodio a porzione è considerato un valore basso; il 20% o più a porzione è considerato un valore alto, Fare attenzione alle porzioni: la percentuale di sodio indicata su una confezione di cibo già pronto o da cuocere si riferisce in genere a una porzione di quell’alimento o a un certo quantitativo giornaliero minimo o consigliato, Sostituire il sale con le spezie: provare miscele di spezie ed erbe aromatiche che non contengono sale. Evitare gli insaporitori già pronti, sempre ricchi di sale.

A ciò si aggiunge acquistare cibi freschi e controllare se sia stata aggiunta qualche soluzione salina nella confezione, Acquistare verdure in scatola fresche, congelate (senza salsa o condimento) o a basso contenuto di sodio o senza sale. Scegliere condimenti per verdure a basso contenuto di sodio. Preferire olio e/o aceto per le insalate, evitando i condimenti già pronti in monoporzione o le salse per insalate, Sciacquare gli alimenti in scatola contenenti sodio, come fagioli tonno e verdure, prima di mangiarli, Cucinare il cibo da sé senza ricorrere a piatti pronti (confezionati; da ristorazione), Scegliere frutta secca, semi e snack a basso contenuto di sodio o senza sale (come patatine e salatini) oppure sostituirli con carote o bastoncini di sedano.

Da non dimenticare.

Alcuni cibi che non hanno un sapore salato possono, al contrario, contenere parecchio sodio. Affidarsi esclusivamente al sapore dei cibi per selezionare quelli più salati dagli altri non è la scelta migliore. Ad esempio, alcuni cibi ricchi di sodio, come i sottaceti e la salsa di soia, sono salati al palato; altri, come i cereali o i dolciumi, contengono sodio ma non hanno un sapore espressamente sapido. Fare attenzione anche a tutti quei cibi mangiati più volte al giorno: possono aumentare il carico di sodio proprio per un effetto cumulativo delle porzioni, non perché la singola porzione sia di per sé ricca di sodio.

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Apparecchi acustici: cosa c’è da sapere

Più la tecnologia di settore continua a fare progressi, maggiori sono i dettagli e le caratteristiche da considerare nella scelta di un apparecchio acustico adatto alle proprie esigenze. “Le persone che già utilizzano un apparecchio acustico sanno che sceglierne uno non è mai una scelta facile”, afferma Eric Mann, Chief Medical Officer presso l’ufficio della Food and Drug Administration responsabile degli apparecchi acustici. “La perdita dell’udito colpisce le persone in modi diversi. Pertanto, è opportuno scegliere un’apparecchiatura acustica idonea alla propria condizione e al proprio stile di vita”.

Apparecchi acustici: perché usarli.

Si può nascere con un senso dell’udito debole o assente. Oppure si può perderlo via via nel corso della vita, causa logoramento interno dell’orecchio dovuto all’età o per anni di esposizione a rumori forti. Talvolta la perdita dell’udito è temporanea, talaltra è permanente ma può essere migliorata grazie agli apparecchi acustici. Si tratta di dispositivi medici indossati dietro o dentro l’orecchio che aumentano la percezione del volume dei suoni.

Apparecchi acustici: come funzionano.

Gran parte di questi strumenti funziona attraverso la conduzione aerea. Conducono, cioè, il suono amplificato nel canale uditivo. Il suono passa attraverso il timpano e le tre minuscole ossa dell’orecchio medio (il martello, l’incudine e la staffa), per poi arrivare all’interno dell’apparato uditivo. Qui il suono viene elaborato e il segnale acustico inviato al cervello. Coloro che invece hanno problemi con l’orecchio esterno o medio utilizzano apparecchi acustici a conduzione ossea: funzionano inviando il suono attraverso il cranio per arrivare all’orecchio interno.

Tipologie di apparecchi acustici.

Apparecchi retroauricolari (BTE): di dimensioni relativamente grandi, sono formati da una custodia in plastica posizionata dietro l’orecchio e contenente la parte elettronica del dispositivo. Una chiocciola anatomica la collega nel condotto uditivo. Adatti a tutte le età.

Apparecchi con ricevitore nel canale (RIC): posizionati dietro l’orecchio ma più piccoli e meno visibili dei BTE. Un dispositivo acustico RIC è fissato a un tubo contenente un filo il cui apice poggia sul condotto uditivo.

Apparecchi intrauricolari (ITE): occupano completamente l’orecchio esterno (la “coppa” dell’orecchio). L’elettronica dell’apparecchio acustico è racchiusa in un guscio su misura.

Ausili nel canale: sono i più piccoli. L’elettronica è contenuta in un piccolo guscio su misura che si inserisce parzialmente (ITC – Apparecchi acustici endoauricolari) o del tutto (CIC – Completamente Interni al Canale) nel condotto uditivo.

Principali funzioni degli apparecchi acustici.

Microfoni direzionali: captano il suono proveniente da una direzione specifica. Aiutano in una conversazione faccia a faccia, per esempio.

Bobine telefoniche: permettono al dispositivo acustico di captare il suono da telefoni o sistemi audio compatibili in luoghi pubblici (cinema, teatri, luoghi di culto, ecc.).

Connettività wireless: il Bluetooth consente agli apparecchi acustici di interagire con TV, cellulari, pc, tablet, ecc.

La perdita dell’udito potrebbe essere segno di un problema facilmente curabile come il cerume accumulato oppure di un problema più grave come un tumore benigno del nervo uditivo. In ogni caso, se la perdita dell’udito aumenta nel breve periodo e/o se si accusano sintomi associati come ad esempio vertigini o dolore all’orecchio è sempre bene rivolgersi al proprio medico di base per un consulto e una prima diagnosi qualificata.