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Perdita dei capelli: fisiologica o patologica?

Tutti i nostri capelli sono soggetti a caduta, in un ciclo continuo costituito da una fase di crescita detta anagen, una fase di transizione definita catagen e una fase di riposo, telogen. Il fenomeno della caduta dei capelli si accentua in primavera e autunno: se dunque in questo periodo dell’anno al risveglio si nota un numero consistente di capelli sul cuscino e le ciocche risultano indebolite non c’è da preoccuparsi.

Una dieta sana, varia ed equilibrata svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento di una capigliatura forte e robusta. Deficit di proteine, vitamine, minerali e acidi grassi polinsaturi sono associati alla riduzione del diametro del fusto dovuta a un’alterazione nei processi di formazione della cheratina, la proteina principale componente dei capelli, composta da aminoacidi alternati a vitamine e oligoelementi. Ai cambi di stagione può essere utile integrare l’alimentazione con supplementi specifici contenenti vitamine del gruppo B e vitamina A, minerali come zinco, selenio, rame e cisteina, aminoacido abbondante nella cheratina.

La situazione è diversa se si assiste ad una significativa diminuzione del numero di capelli: si parla in questo caso di alopecia, che può portare alla perdita totale dei capelli. Nell’alopecia cicatriziale, che comprende diverse forme dovute a lesioni o ustioni del cuoio capelluto, stati infettivi e patologie del sistema immunitario, si assiste alla distruzione del follicolo pilifero. Si tratta quindi di una condizione irreversibile e la perdita dei capelli è definitiva. Le forme di alopecia non cicatriziali includono l’alopecia androgenetica, la forma più comune di calvizie che colpisce soprattutto il sesso maschile in età adulta, l’alopecia areata, l’anagen effluvium e il telogen effluvium.

Nell’alopecia androgenetica la fase anagen del ciclo di vita del capello si accorcia così tanto da rendere impossibile la fuoriuscita del nuovo capello sulla superficie cutanea. Si osserva inoltre un’importante riduzione delle dimensioni dei follicoli mediata dagli ormoni androgeni, ma il meccanismo alla base del processo non è ancora chiaro. Soluzioni cutanee a base di minoxidil sono utilizzate per prolungare la durata della fase anagen. Oltre ai preparati industriali, possono essere allestite dal farmacista preparazioni galeniche, con un costo più basso, ma lo svantaggio di una minore stabilità e quindi di una durata inferiore. Nell’uomo trova impiego anche la finasteride a basse dosi, dispensabile dietro presentazione di ricetta non ripetibile.

L’alopecia areata può interessare non soltanto la chioma, ma pure altri distretti corporei ricoperti da peli, come barba e sopracciglia. È probabile un’origine autoimmune, anche se ad oggi le cause non sono note. Si può presentare a chiazze oppure può coinvolgere l’intero cuoio capelluto o tutto il corpo. Nell’anagen effluvium si verifica una rottura dei capelli durante la fase di crescita, conseguenza di chemio- e radioterapia. Il telogen effluvium si caratterizza per la perdita diffusa dei capelli in un periodo transitorio di durata compresa tra i tre e i cinque mesi, a seguito di stress psicofisici. Malattie epatiche, renali, tiroidee, anemie, carenza di zinco, gravidanza, infezioni e uso di alcuni farmaci rientrano tra le cause del telogen effluvium. In tutti i casi di alopecia, si consigliano creme solari o cappelli e foulard per proteggere il cuoio capelluto esposto, anche nei mesi più freddi.

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Ansia e insonnia da emergenza sanitaria: strategie per affrontarle

L’ansia è un meccanismo fisiologico che l’organismo attua in risposta a sollecitazioni esterne. Situazioni inattese che creino disagio inducono uno stato d’allerta, con attivazione di riflessi autonomi, secrezione di corticosteroidi ed emozioni negative. Quando queste reazioni avvengono in maniera indipendente dall’esposizione ad eventi stressogeni, si parla di stati d’ansia patologici, caratterizzati da sintomi che interferiscono con le normali attività. Dall’inizio della pandemia di Covid il mondo intero si trova ad affrontare un evento imprevisto che crea indubbie difficoltà e, alla paura del contagio, si somma una serie di preoccupazioni legate più o meno direttamente all’emergenza sanitaria, come la perdita di persone care o l’esperienza della malattia, situazioni lavorative precarie, aumento del carico di lavoro domestico nel caso di figli piccoli da accudire con le scuole chiuse, magari sperimentando modalità di telelavoro che richiedano una ripianificazione dell’organizzazione famigliare. Al tutto va aggiunta l’impossibilità di fare progetti per il futuro e di dedicarsi ai propri interessi al di fuori delle mura domestiche, con l’assenza o comunque la forte riduzione della vita sociale.

Queste condizioni hanno contribuito a creare nella popolazione un senso di incertezza, portando le persone più predisposte a provare un senso di timore anche di fronte alle comuni situazioni della vita, sperimentando scarsa concentrazione e talvolta insonnia. Ai sintomi mentali si possono accompagnare quelli fisici, con tachicardia, palpitazioni, difficoltà respiratorie, sensazione di dolore al torace, nausea, sudorazione, debolezza e affaticabilità, secchezza delle fauci.

Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, si parla di ansia generalizzata quando vi è un costante stato d’ansia immotivata; gli attacchi di panico sono crisi di paura improvvise con manifestazioni fisiche marcate; le fobie sono forti paure che si verificano in specifiche circostanze; nel disturbo ossessivo-compulsivo l’ansia si manifesta con atteggiamenti ripetitivi; nei disturbi da stress post-traumatico l’ansia è invece causata dal ricordo di esperienze stressanti.

Per contrastare l’ansia lieve e i disturbi del sonno ad essa associati possono essere impiegati preparati a base di estratti vegetali, per esempio valeriana, melissa, passiflora, luppolo, lavanda. Per le forme più severe il medico di base o lo specialista in psichiatria potranno prescrivere farmaci ansiolitici e ipnotici. La classe di ansiolitici più largamente utilizzata è quella delle benzodiazepine, che comprendono alprazolam, lorazepam, lormetazepam, triazolam, diazepam, facilmente assorbite per bocca e distinte sulla base della durata d’azione.

Quest’ultima condiziona la scelta del farmaco, che varia a seconda dell’uso clinico: la molecola scelta per trattare un’ansia grave accompagnata da aggressività sarà quindi diversa da quella usata per indurre il sonno o una riduzione del tono muscolare nella cefalea conseguente a uno stato ansioso.

Un’alternativa alle benzodiazepine è il buspirone, che risulta meno efficace ma non provoca sedazione né dipendenza. Vi sono infine farmaci ipnoinducenti non benzodiazepinici, come lo zolpidem, verso i quali non è stata descritta dipendenza, e antidepressivi a cui è utile ricorrere per trattare l’ansia cronica associata a stati depressivi. Si tratta in ogni caso di farmaci poco maneggevoli, con numerosi effetti collaterali anche importanti, pertanto la terapia deve essere seguita dal medico. Il trattamento delle manifestazioni d’ansia severa prevede inoltre l’affiancamento della psicoterapia alla terapia farmacologica.

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Gastroenterite virale, un’infezione frequente nella stagione fredda

In autunno e inverno si sente parlare ripetutamente di influenza stagionale, che l’Istituto superiore di sanità definisce come “una malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali”. I virus dell’influenza si trasmettono soprattutto attraverso i droplet, le goccioline di saliva emesse quando si parla, si tossisce o si starnutisce. Assai frequenti sono anche le sindromi comunemente note come influenze intestinali, in termini medici dette gastroenteriti. Si tratta di infezioni che provocano un’infiammazione a carico della mucosa di stomaco e intestino, molto comuni in particolare in età pediatrica, causate da batteri, più raramente da parassiti o, nella maggior parte dei casi, da virus. I principali batteri coinvolti nelle infezioni gastrointestinali sono salmonella, campylobacter e clostridium difficile, mentre i virus maggiormente implicati in queste tipologie di infezione appartengono ai generi rotavirus e calicivirus. La trasmissione avviene per via oro-fecale attraverso il contatto con mani sporche o l’ingestione di acqua e cibi contaminati. Lavare le mani prima di mangiare ed evitare di portarle inavvertitamente alla bocca se poco pulite rappresentano importanti forme di prevenzione del contagio.

La sintomatologia include nausea, vomito, dissenteria, dolore addominale, talvolta febbre. Solitamente i sintomi regrediscono in maniera spontanea nel giro di pochi giorni, ma occorre prestare particolare attenzione al rischio di disidratazione nei bambini piccoli e negli anziani. Per quanto riguarda la dieta, si consigliano alimenti facilmente digeribili quali pane, riso e pasta in bianco, pesce, carne magra e frutta come mele e pere crude, dall’azione astringente. È d’obbligo sforzarsi di bere in abbondanza, introducendo i liquidi a piccoli sorsi se è presente nausea, per reintegrare i liquidi persi con diarrea e vomito.

Per contrastare nausea e vomito sono d’aiuto integratori a base di zenzero e vitamina B6; se non fossero sufficienti, si può ricorrere a farmaci antiemetici come metoclopramide e domperidone. L’assunzione di medicinali antidiarroici, tra cui si ricordano loperamide e diosmectite, non sempre risulta utile, in quanto potrebbe prolungare i tempi di guarigione. Se compare febbre, il farmaco di elezione è il paracetamolo.

Per riequilibrare la flora intestinale si suggerisce un ciclo di probiotici, anche detti fermenti lattici. Specifico per le sindromi diarroiche è il saccharomyces boulardi, un lievito resistente ai farmaci antibatterici che può quindi essere utilizzato anche per prevenire o trattare le forme di diarrea conseguenti alle terapie antibiotiche.

Nella prima infanzia e nei soggetti debilitati, rispetto al trattamento con antidiarroici risulta prioritaria la reidratazione con soluzioni a base di sali minerali e zuccheri da somministrare per via orale, in modo da facilitare il ripristino dell’equilibrio elettrolitico alterato.

Segni di disidratazione riconoscibili dalle persone che si prendono cura di bambini e anziani sono la secchezza delle mucose, la sete, le estremità fredde, la colorazione scura delle urine e una riduzione del loro volume. Se la frequenza delle evacuazioni è elevata e compare febbre è in tutti i casi necessario consultare il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale.

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Antibiotico-resistenza, un problema grave da non sottovalutare

L’antibiotico-resistenza è il problema che consegue all’uso eccessivo, inappropriato e indiscriminato degli antibiotici, rendendo sempre più difficile la lotta alle infezioni, a causa dello sviluppo, da parte dei batteri, di meccanismi di difesa che portano all’inutilità via via maggiore dei farmaci utilizzati. Inefficacia che si traduce nel dover utilizzare antibiotici sempre più forti, anche per la cura di infezioni che un tempo richiedevano un uso di famaci meno potenti.

Come ogni anno, a novembre si celebra la Giornata europea degli antibiotici, nell’ambito della contestuale “Settimana mondiale sull’uso consapevole degli antibiotici”, evento mondiale con l’obiettivo di diffondere la consapevolezza che un eccessivo uso di antibiotici porta un danno non solo in termini di sviluppo di antibiotico-resistenza ma anche in termini di vite umane.

Basti pensare che a causa del fenomeno dell’antibiotico-resistenza, ogni anno perdono la vita in Europa oltre 30mila persone. Nei prossimi 20 anni, secondo quanto rilevato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), la resistenza agli antibiotici diventerà la prima causa di morte, superando quella dei tumori. L’Italia è al quinto posto in Europa per morti a causa dell’antibiotico-resistenza. Un terzo di queste, circa 10.000, avvengono sul territorio nazionale, non solo a causa di resistenza dovuta alla somministrazione diretta di tali farmaci, ma anche a causa dell’eccessivo quantitativo di antimicrobici utilizzati negli animali per la produzione di carni per uso alimentare.

Cosa fare allora per apportare il proprio contributo all’uso consapevole di antibiotici? La risposta è semplice, quanto disarmante: somministrare tali importanti farmaci solo se prescritti dal medico curante o dal medico specialista. Queste figure professionali sono le uniche a poter stabilire la necessità dell’assunzione di un antibiotico. Molti farmaci contro i batteri, infatti, sono inutili nel caso di infezioni virali o di infiammazioni non sostenute da batteri. Il che riduce, se non annulla, la necessità di somministrare l’antibiotico.

Dal canto loro, anche i farmacisti non possono erogare i medicinali antibiotici senza la necessaria prescrizione del medico. Possono però fornire tutte le informazioni necessarie alla corretta somministrazione di tale importante classe di farmaci. Comprese le nozioni su eventuali interazioni con altri farmaci e con terapie in corso. È vero infatti che oltre al fenomeno dell’antibiotico-resistenza, un’altra complicazione legata all’uso degli antibiotici, come di gran parte dei farmaci, è l’interazione con altri medicinali.

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Lattosio, uno zucchero talvolta difficile da digerire

L’intolleranza al lattosio, cioè l’incapacità di digerire lo zucchero del latte, è dovuta a un deficit di β-galattosidasi o lattasi, l’enzima presente sulla superficie delle cellule intestinali deputato alla sua scissione in glucosio e galattosio, i due zuccheri più semplici che lo costituiscono. Il lattosio indigerito presente nel lume intestinale, oltre a richiamare liquidi, va incontro a fermentazione ad opera della flora microbica con produzione di gas come metano, anidride carbonica e idrogeno e di altre sostanze volatili: ciò determina una sensazione di gonfiore e pesantezza a livello addominale e può provocare dolori crampiformi, diarrea, nausea, cefalea e spossatezza.

Nella prima infanzia si tratta solitamente di un’intolleranza secondaria temporanea, dovuta a infezioni, allergie o stati di malnutrizione che causano lesioni a livello della mucosa dell’intestino, con conseguente riduzione della sintesi di lattasi. Anche la celiachia, ossia l’intolleranza al glutine, portando ad un appiattimento dei villi intestinali e riducendo così la superficie preposta all’assorbimento dei nutrienti, può essere causa di intolleranza al lattosio. Vi sono soggetti che manifestano i sintomi dell’intolleranza al lattosio fin dalla nascita: si parla in questo caso di intolleranza primaria, una condizione non transitoria dovuta a un difetto genetico che fa sì che l’organismo non sia in grado di produrre lattasi. In generale, in età adulta la diminuita sintesi di lattasi si verifica in maniera progressiva e si riscontra prevalentemente in determinate etnie, come negli individui asiatici e africani.

Il breath test o test del respiro, misurando la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata dopo un carico di lattosio, consente di diagnosticare l’intolleranza. In caso di esito positivo, si consiglia di limitare il consumo di latte e derivati, eventualmente reintroducendoli in maniera graduale se lo specialista in gastroenterologia lo ritiene opportuno, così da stimolare la sintesi dell’enzima carente. Se i prodotti lattiero-caseari vengono esclusi del tutto dalla dieta può essere utile un’integrazione con calcio.

In commercio si trovano diversi alimenti alternativi al latte e ai latticini. È possibile sostituire formaggi, yogurt, panna e burro con derivati di origine vegetale, per esempio a base di soia, riso, avena. Si possono inoltre consumare alcuni formaggi, come il parmigiano-reggiano, grana padano e pecorino oltre i 36 mesi di stagionatura, il gorgonzola, l’emmenthal. Per i lattanti esistono formule contenenti lattosio idrolizzato, vale a dire già scisso nei due componenti, oppure costituite da zuccheri diversi dal lattosio, per esempio saccarosio, glucosio, destrine. Per i soggetti adulti sono disponibili latti delattosati, preparati enzimatici in gocce da addizionare al latte prima di consumarlo e compresse da masticare prima di introdurre alimenti tra i cui ingredienti figuri il latte.