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Studio: «Gli antibiotici possono aumentare il rischio di allergie»

Oltre all’antibiotico-resistenza, fenomeno mediante il quale a lungo andare i farmaci per la lotta alle infezioni batteriche riducono il proprio beneficio terapeutico se usati in maniera non appropriata, anche l’uso di antibiotici in età pediatrica potrebbe influenzare negativamente la salute aumentando il rischio di sviluppare allergie. È quanto evidenziato in un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica “Jama Pediatrics”, relativo alle prescrizione di cinque tipologie di antibiotici, ovvero pennicilline, pennicilline con inibitori delle beta-lattamasi, cefalosporine, sulfonamidi e macrolidi, classi di antibiotici ampiamente usate in ambito pediatrico. I ricercatori hanno utilizzato le informazioni relative a 798.426 bambini presenti nel database del Sistema sanitario militare statunitense dal 2001 al 2013, monitorando le prescrizioni di antibiotici nelle diagnosi infantili e allergiche durante l’infanzia.

Ebbene, secondo quanto emerso dall’analisi dei dati, l’assunzione di un antibiotico era associata a un rischio significativamente maggiore di anafilassi (una grave reazione allergica), asma, allergie alimentari e allergie e infiammazione della pelle (dermatite), delle vie respiratorie (rinite) e degli occhi (congiuntivite). La penicillina ha aumentato il rischio del 30 percento, i macrolidi del 28 percento e le cefalosporine del 19 percento rispetto ai neonati che non avevano ricevuto alcuna prescrizione di antibiotici. Infine, lo studio ha controllato il parto cesareo, la prematurità, il sesso, l’uso di farmaci antiacidi e il numero di giorni in cui i bambini hanno assunto il medicinale.

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Coronavirus, le informazioni dell’Iss su trasmissione e prevenzione

«Sulla base dei dati al momento disponibili, l’Oms ribadisce che il contatto con i casi sintomatici (persone che hanno contratto l’infezione e hanno già manifestato i sintomi della malattia) è il motore principale della trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV». È quanto rende noto l’Istituto superiore di sanità (Iss), citando il Situation Report 12 pubblicato il 1 febbraio 2020 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Iss). Il documento contiene il punto sui meccanismi di trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV.

«L’Oms – puntualizza l’Istituto – è a conoscenza di una possibile trasmissione del virus da persone infette ma ancora asintomatiche e ne sottolinea la rarità. In base a quanto già noto sui coronavirus, sappiamo infatti che l’infezione asintomatica potrebbe essere rara e che la trasmissione del virus da casi asintomatici è molto rara. Sulla base di questi dati, l’Oms conclude che la trasmissione da casi asintomatici probabilmente non è uno dei motori principali della trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV».

Nella pagina predisposta, inoltre, l’Iss fornisce chiarimenti in merito alla prevenzione: «È possibile – si legge – ridurre il rischio di infezione, proteggendo se stessi e gli altri, seguendo alcuni accorgimenti». Tra questi, «lavati spesso le mani (dopo aver tossito/starnutito, dopo aver assistito un malato, prima durante e dopo la preparazione di cibo, prima di mangiare, dopo essere andati in bagno, dopo aver toccato animali o le loro deiezioni o più in generale quando le mani sono sporche in qualunque modo)». Una nota particolare riguarda l’uso di dispositivi di protezione individuali, per i quali l’Iss sostiene che «non è raccomandato l’utilizzo generalizzato di mascherine chirurgiche in assenza di sintomi».

Dunque, uno sguardo ad un eventuale trattamento antivirale, in merito al quale l’Iss chiarisce che «non esistono trattamenti specifici per le infezioni causate dai coronavirus e non sono disponibili, al momento, vaccini per proteggersi dal virus. La maggior parte delle persone infette da coronavirus comuni guarisce spontaneamente». Più nel dettaglio, «riguardo il nuovo coronavirus 2019-nCoV, non esistono al momento terapie specifiche, vengono curati i sintomi della malattia (così detta terapia di supporto) in modo da favorire la guarigione, ad esempio fornendo supporto respiratorio».

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L’inquinamento dell’aria influenza sviluppo del cervello dei bambini

I bambini con livelli più alti di esposizione all’inquinamento atmosferico da traffico alla nascita avevano riduzioni a 12 anni del volume della materia grigia e dello spessore corticale rispetto ai bambini con livelli più bassi di esposizione. Sono le conclusioni di uno studio portato a termine dai ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, struttura sanitaria operante negli Stati Uniti. I ricercatori dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, hanno utilizzato la risonanza magnetica per ottenere immagini anatomiche del cervello da 147 bambini dell’età di 12 anni. Questi bambini sono un sottoinsieme di un precedente studio sull’allergia e l’inquinamento dell’aria nell’infanzia di Cincinnati, che ha reclutato volontari prima dei sei mesi per esaminare l’esposizione all’inquinamento atmosferico da traffico e gli esiti di salute della prima infanzia.

I volontari avevano livelli di esposizione da inquinamento atmosferico da traffico alti o bassi durante il loro primo anno di vita. I ricercatori hanno stimato l’esposizione utilizzando una rete di campionamento dell’aria di 27 siti nell’area di Cincinnati e il campionamento 24/7 è stato condotto contemporaneamente in quattro o cinque siti in diverse stagioni. I bambini partecipanti hanno completato le visite cliniche all’età di 1, 2, 3, 4, 7 e 12 anni. Precedenti studi relativi all’inquinamento atmosferico da traffico suggeriscono che contribuisce alle malattie neurodegenerative e ai disturbi dello sviluppo neurologico. Questo lavoro sostiene dunque che l’inquinamento atmosferico da traffico cambia la struttura del cervello nelle prime fasi della vita.

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Prevenire le metastasi impedendo alle cellule tumorali di produrre grasso

Le cellule tumorali immagazzinano i lipidi in piccole vescicole intracellulari chiamate “goccioline lipidiche”. Le cellule tumorali caricate con lipidi sono più invasive e quindi hanno maggiori probabilità di formare metastasi. È la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Istituto di ricerca sperimentale e clinica dell’Università di Lovanio, in Belgio, i quali hanno cercato di comprendere in che modo si formano le metastasi da un tumore.
Gli studiosi hanno identificato un fattore chiamato TGF-beta2 come interruttore responsabile sia della conservazione dei lipidi che della natura aggressiva delle cellule tumorali. Sembra che i due processi si rafforzino a vicenda. Infatti, accumulando lipidi, più precisamente acidi grassi, le cellule tumorali accumulano riserve di energia, che possono quindi utilizzare secondo necessità durante il loro corso metastatico.

Era già noto che l’acidità riscontrata nei tumori favorisce l’invasione da parte delle cellule tumorali del tessuto sano. Il processo richiede il distacco della cellula cancerosa dal suo sito di ancoraggio originale e la capacità di sopravvivere in tali condizioni (che sono fatali per le cellule sane). La nuova scoperta dei ricercatori ha dimostrato che questa acidità promuove, attraverso lo stesso “interruttore” TGF-beta2, il potenziale invasivo e la formazione di goccioline lipidiche. Questi forniscono alle cellule invasive l’energia di cui hanno bisogno per muoversi e resistere alle dure condizioni incontrate durante il processo di metastatizzazione. È come un alpinista che prende il cibo e le attrezzature necessarie per raggiungere la vetta nonostante le condizioni meteorologiche complesse.

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Farmaci nel 730, per detrarli non è necessario pagare con bancomat

La manovra di Bilancio in vigore dal 1 gennaio 2020 stabilisce che per ottenere i vantaggi derivanti dalle detrazioni Irpef del 19% per gli oneri fiscalmente rilevanti è obbligatorio l’uso dei sistemi di pagamento tracciabili. Tuttavia, alla luce della nuova norma approvata, il pagamento con bancomat o carta di credito non è necessario per i farmaci, né per i dispositivi medici, né per le prestazioni sanitarie erogate da strutture pubbliche o accreditate dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, per quanto riguarda l’acquisto di farmaci, non è necessario che il pagamento sia tracciabile. Questo chiarimento si è reso necessario in seguito ad una serie di notizie fuorvianti diffuse sui social che hanno contribuito ad alimentare confusione sull’argomento.

Al momento del pagamento di un farmaco per uso umano, di un dispositivo medico o di un ticket sulle ricette Ssn, non è necessario pagare con bancomat. La sola condizione per poter caricare automaticamente gli importi nel 730 precompilato è quella di fornire il proprio codice fiscale (a voce o da tessera sanitaria) appena prima della chiusura della transazione e dell’emissione dello scontrino fiscale (ora chiamato “Documento di vendita o di prestazione”). Solo in tal modo il farmacista invierà in automatico all’Agenzia delle entrate il dettaglio degli importi delle spese sostenute e saranno automaticamente portate in detrazione. Se, per motivi di privacy, il paziente non volesse far comparire tali spese nella propria dichiarazione precompilata, può opporsi al trattamento dei dati comunicandolo al farmacista sempre prima della chiusura della transazione. Quanto indicato non si applica ai medicinali veterinari e ai vari altri servizi erogati in farmacia che devono essere sempre pagati con pagamento tracciabile.