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Contraccettivi ormonali combinati, l’Aifa: «Lieve aumento del rischio di tromboembolia venosa»

Le donne che assumono contraccettivi ormonali combinati contenenti dienogest ed etinilestradiolo sono esposte ad un rischio leggermente più elevato di coaguli nel sangue, rispetto a coloro che somministrano levonorgestrel/etinilestradiolo. Lo rende noto l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in accordo con l’Agenzia europea dei medicinali (Ema): il rischio sarebbe stimato in 8-11 casi di tromboembolia venosa ogni 10mila donne, contro i 5-7 casi per chi usa i contraccettivi ormonali combinati contenenti invece levonorgestrel, noretisterone o norgestimato, e solo 2 casi su 10mila all’anno per chi invece proprio non fa uso di questo tipo di farmaci.
In ogni caso, l’Aifa specifica che «i benefici associati all’utilizzo dei contraccettivi contenenti dienogest ed etinilestradiolo superano comunque il rischio di effetti indesiderati gravi nella maggior parte delle donne». E’ comunque sempre meglio rivolgersi al medico il quale nella prescrizione dovrà tenere conto dei fattori di rischio individuali di ciascuna paziente, anche rivalutandoli nel corso del tempo. Ma chi sono le donne più a rischio? Le over 35, le fumatrici, alle quali è vivamente consigliato di smettere o in alternativa di usare un metodo contraccettivo diverso, vale a dire non ormonale, le donne che hanno partorito da poco e quelle molto in sovrappeso. Tra i fattori a cui prestare attenzione: verificare se qualche membro della famiglia ha avuto coaguli di sangue prima dei 50 anni. Il pericolo che dunque possano formarsi coaguli nel sangue è comunque molto basso, ma non va sottovalutato perché nei casi più seri il problema potrebbe rivelarsi anche fatale.

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La ciclicità del peso è associata a un più alto rischio di morte

La Endocrine Society, comunità mondiale di oltre 18mila membri presente in 122 paesi, specializzata nella ricerca sui disturbi ormonali, ha pubblicato uno studio sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, secondo cui la ciclicità del peso è associata a un maggiore rischio di morte. Tuttavia, i ricercatori evidenziano anche un aspetto positivo: la perdita di chili dovuta alla ciclicità del peso in soggetti obesi può ridurre l’insorgere del diabete.
La ciclicità del peso, conosciuta anche come “effetto yo-yo”, ovvero la perdita e l’aumento di peso costanti di solito causati da diete sbagliate, ha effetti negativi sulla salute. Secondo alcune stime, l’80 per cento delle persone che perdono peso riguadagnano gradualmente gli stessi chili se non addirittura di più di quando hanno iniziato la dieta. La dichiarazione scientifica “Obesity Pathogenesis” dell’Endocrine Society sulle cause dell’obesità dimostra che una volta che un individuo perde peso, il corpo normalmente riduce la quantità di energia spesa a riposo, durante l’esercizio fisico e nelle attività quotidiane. Al contrario, però, la fame aumenta. La combinazione tra un più basso dispendio di energia e la fame crea quella che gli studiosi della Endocrine Society definiscono una “perfetta tempesta metabolica”, caratterizzata condizioni che scatenano l’aumento del peso corporeo.
«Lo studio dimostra che la ciclicità del peso può aumentare il rischio di morte» ha dichiarato il professor Hak C. Jang, autore principale di “Body-weight fluctuation and incident diabetes, cardiovascular disease, and mortality: a 16-year prospective chort study”. «Tuttavia abbiamo anche concluso che la perdita di peso dovuta alla ciclicità può sostanzialmente ridurre il rischio di sviluppare il diabete in persone affette da obesità». Durante il gruppo di studio della durata di ben sedici anni, i ricercatori hanno esaminato 3.678 uomini e donne dal “Korean Genome and Epidemiology Study” e hanno scoperto che l’effetto yo-yo aumenta il rischio di morte. Curiosamente, però, hanno anche notato che le persone obese che avevano sperimentato tale ciclicità erano meno predisposte allo sviluppo del diabete di altri partecipanti non obesi. Secondo la ricerca, dunque, i benefici della perdita di peso hanno eclissato gli effetti negativi della ciclicità del peso per gli individui obesi, abbassando dunque il loro rischio di contrarre il diabete. Gli endocrinologi della Endrocine Society sono al nocciolo del problema e stanno per risolvere alcuni dei problemi di salute più pressanti dei nostri tempi dal diabete all’obesità, dall’infertilità alle malattie delle ossa e a forme di cancro legate al sistema ormonale.

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Insufficienza renale cronica, dalla Regione Campania contributo per prodotti alimentari aproteici

Con decreto n. 101 del 28 dicembre 2018, firmato dal presidente Vincenzo De Luca, i pazienti affetti da insufficienza renale cronica potranno ricevere una fornitura mensile di alimenti aproteici a carico della Regione Campania. Tale contributo sarà assegnato in misura massima di euro 70 per tutti i pazienti, mentre, per coloro fino a 12 anni età che avranno bisogno di latte aproteico, sarà assegnato in misura massima di euro 80.
L’erogazione dei prodotti alimentari aproteici attraverso il contributo assegnato non sarà disponibile per i pazienti sottoposti a terapia dialitica, ma solo per quelli in pre-dialisi, secondo le linee guida previste. Questi ultimi potranno spendere l’importo assegnato mensilmente presso le farmacie o le attività commerciali convenzionate che già erogavano prodotti per la celiachia. Ciò successivamente alla prescrizione da parte dei centri prescrittori e dei relativi medici specialisti nefrologi, i quali redigeranno un piano terapeutico con valenza semestrale. Gli assistiti residenti in Campania, che riceveranno prescrizioni di alimenti aproteici da centri autorizzati fuori regione, dovranno comunque rivolgersi ai centri individuati dalla Regione Campania.

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Eccesso di caffeina: da Usa allerta per bevande, cibi e integratori

La caffeina pura e in quantità eccessiva è pericolosa per la salute, se non addirittura letale. A lanciare l’allarme è la Food & Drug Administration (FDA), ente governativo americano, che lo scorso aprile ha preso alcune misure in seguito ad almeno due casi di morte sospetta da overdose di caffeina negli Stati Uniti. La caffeina pura in polvere o liquida è contenuta in cibi, bevande e integratori alimentari. A essere messi sotto accusa dalla FDA sono specialmente quest’ultimi e, nello specifico, la sempre più frequente vendita di grossi quantitativi di integratori sfusi. In questi casi, infatti, spesso il consumatore non è ben informato sulle corrette porzioni quotidiane e non si rende conto quando il prodotto in questione diventa eccessivo, pericoloso o addirittura letale. La FDA stima effetti tossici simili a crisi di astinenza quando si consumano rapidamente circa 1.200 mg di caffeina, che corrispondono a circa 0,15 cucchiaini di caffeina pura. Il rischio di overdose s’intensifica con l’aumentare della concentrazione di caffeina nel prodotto, ciò significa che anche piccole dosi con elevata concentrazione di caffeina possono avere effetti dannosi. Un cucchiaino di caffeina pura può contenere lo stesso quantitativo di 20 tazze di caffè e una dose simile è da considerarsi estremamente tossica.
Quando la caffeina diventa troppa? La Food & Drug Administration ha pubblicato un’interessante botta e risposta che tenta di fare chiarezza. Secondo gli esperti americani, la caffeina può rappresentare parte di una dieta sana per molte persone, ma troppa caffeina può altresì costituire un pericolo per la salute. Ciò dipende da diversi fattori come per esempio il peso corporeo, eventuali farmaci assunti o la sensibilità individuale, quindi il “troppa caffeina” può variare da persona a persona. La caffeina si trova in natura in alcune piante che si utilizzano per produrre il caffè, il tè e il cioccolato. Ma la si trova anche in altre specie aromatizzanti come il guaranà o piante alternative al tè molto comuni in Sudamerica tra cui l’erba mate, il cui nome scientifico è Ilex paraguariensis, dall’infusione delle cui foglie si ricava, il mate, appunto, oppure la Ilex guayusa, un’erba molto simile al mate, ma con un sapore più fruttato. Quest’ultima è molto diffusa nei paesi del Sudamerica e si beve al mattino al posto del caffè. La caffeina può inoltre essere aggiunta come ingrediente a cibi e bevande. In quest’ultimo caso, il contenuto di caffeina è dichiarato in etichetta. Oggi diversi database online forniscono i quantitativi di caffeina nei prodotti più comuni come il caffè e il tè. Tuttavia, precisa l’FDA «la quantità in queste bevande fermentate può variare in base a diversi fattori per esempio, tra cui come e dove i chicchi di caffè o le foglie di tè sono coltivati e lavorati e le modalità di preparazione della bevanda stessa». A titolo di esempio, l’Fda sottolinea come «una lattina da 33 cl. di una bibita analcolica con caffeina ne contenga dai 30 ai 40 mg, una tazza di tè verde o nero dai 30 ai 50 mg, mentre in una tazza di caffè all’americana varia dagli 80 ai 100 mg. La caffeina presente nei cosiddetti “energy drink” può oscillare dai 40 ai 250 mg ogni 0,23 litri». Anche caffè e tè decaffeinati, sebbene in dosi minori, contengono caffeina: una tazza di caffè decaffeinato “all’americana” normalmente ne contiene dai 2 ai 15 milligrammi. Per i soggetti particolarmente sensibili alla caffeina, gli esperti sconsigliano anche il consumo di bevande decaffeinate.
Per un adulto sano, la Fda suggerisce una dose massima pari a «400 mg al giorno di caffeina, che corrispondono a circa 4 o 5 tazze di caffè». «Generalmente tali dosi – spiega l’Ente – sono da considerarsi non pericolose e prive di effetti negativi». Ovviamente, anche in questo caso, è bene tenere conto dalla sensibilità della persona alla caffeina e in quanto tempo il suo corpo è in grado di metabolizzarla. Esistono inoltre alcune condizioni che rendono certi soggetti più sensibili, proprio come avviene con i medicinali: donne incinte, donne che allattano al seno o casi clinici specifici. Ecco perché, in condizioni cliniche particolari, gli esperti suggeriscono di limitare al minimo il consumo di caffeina. In generale esistono alcuni campanelli d’allarme che consentono di comprendere quando se ne sta abusando: insonnia, nervosismo, accelerazione del battito cardiaco, mal di stomaco, nausea e sbalzi di umore. La Food & Drug Administration non si espone per quanto concerne il consumo in bambini e ragazzi, sottolinea però che «l’American Academy of Pediatrics scoraggia la caffeina e altri stimolanti nei bambini e negli adolescenti in genere». La caffeina è uno stimolante che può rendere più vigili e attenti, ma non si sostituisce al sonno. Secondo gli scienziati americani «servono dalle 4 alle 6 ore per metabolizzare metà della dose di caffeina consumata». Quindi una tazza di caffè dopo cena potrebbe tenere svegli durante le ore notturne. E per chi stesse pensando di interrompere improvvisamente la propria dose quotidiana di caffè? Gli esperti lo sconsigliano. Anche la caffeina, come gli oppioidi e l’alcool, può indurre crisi di astinenza con conseguenti mal di testa, ansia e nervosismo. Anche se la rinuncia alla caffeina non è da considerarsi pericolosa, meglio agire per gradi per evitare fastidi.

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Statine per abbassare il colesterolo, studio: «Funzionano meglio con Dieta Mediterranea»

Una dieta basata principalmente sui fondamenti di quella Mediterranea, migliora l’effetto delle statine nei pazienti che hanno avuto un attacco di cuore o un ictus. E’ questo in sintesi il risultato dello studio Moli-sani, basato sull’osservazione di circa 1.000 adulti, pubblicato sulla rivista scientifica «International Journal of Cardiology». Come noto, la Dieta Mediterranea è ricca in frutta, verdura, legumi, cereali, olio di olivo, vino usato con moderazione, pesce e basso consumo di carne e di latte e derivati. Mentre, le statine pravastatina, atorvastatina, cerivastatina, fluvastatina, sono farmaci ampiamente usati per ridurre la colesterolemia totale e LDL.
«Abbiamo scoperto – spiega Marialaura Bonaccio, epimediologa presso il dipartimeto di Epidemiloogia e prevezione e prima autrice dello studio – che statine e Dieta Mediterranea insieme lavorano meglio, se prese singolarmente, riducendo il rischio di mortalità cardiovascolare. Probabilmente, la Dieta Mediterranea ha facilitato l’effetto benefico delle statine, che nel nostro studio di vita reale venivano generalmente utilizzate a basse dosi».
I ricercatori hanno analizzato quindi i potenziali meccanismi nascosti di questa interazione positiva, tra farmaci e abitudine alimentari.
«La combinazione favorevole tra statine e Dieta Mediterranea – spiega Licia Iacoviello, responsabile del Laboratorio di Epidemiologia molecolare e nutrizionale dello stesso dipartimento, e professore di igiene presso l’università di Insubria – sembrerebbe favorire, più che i livelli di colesterolo, la riduzione dell’infiammazione subclinica, condizione che predispone ad un rischio maggiore di malattia e di mortalità. Questa scoperta è di particolare interesse soprattutto alla luce della nostra osservazione che un alto livello di infiammazione subclinica ha raddoppiato il rischio di mortalità in pazienti che avevano avuto già un infarto o ictus».
«I nostri dati – ha spiegato Giovanni de Gaetano, direttore del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione – suggeriscono che dovremmo focalizzare maggiormente la nostra attenzione alle possibili interazioni tra cibo e farmaci, aspetto largamente trascurato nella ricerca epidemiologica. Naturalmente, saranno necessari studi clinici controllati per chiarire tali risultati». Tuttavia, spiega il ricercatore, «se i nostri dati saranno confermati, nuove possibilità terapeutiche potrebbero essere progettate per coloro che hanno già avuto un evento cardiovascolare, consentendo una migliore modulazione dell’intervento farmacologico in relazione alle abitudini di vita. Questo è un nuovo aspetto della medicina personalizzata».