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Insufficienza renale cronica, dalla Regione Campania contributo per prodotti alimentari aproteici

Con decreto n. 101 del 28 dicembre 2018, firmato dal presidente Vincenzo De Luca, i pazienti affetti da insufficienza renale cronica potranno ricevere una fornitura mensile di alimenti aproteici a carico della Regione Campania. Tale contributo sarà assegnato in misura massima di euro 70 per tutti i pazienti, mentre, per coloro fino a 12 anni età che avranno bisogno di latte aproteico, sarà assegnato in misura massima di euro 80.
L’erogazione dei prodotti alimentari aproteici attraverso il contributo assegnato non sarà disponibile per i pazienti sottoposti a terapia dialitica, ma solo per quelli in pre-dialisi, secondo le linee guida previste. Questi ultimi potranno spendere l’importo assegnato mensilmente presso le farmacie o le attività commerciali convenzionate che già erogavano prodotti per la celiachia. Ciò successivamente alla prescrizione da parte dei centri prescrittori e dei relativi medici specialisti nefrologi, i quali redigeranno un piano terapeutico con valenza semestrale. Gli assistiti residenti in Campania, che riceveranno prescrizioni di alimenti aproteici da centri autorizzati fuori regione, dovranno comunque rivolgersi ai centri individuati dalla Regione Campania.

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Eccesso di caffeina: da Usa allerta per bevande, cibi e integratori

La caffeina pura e in quantità eccessiva è pericolosa per la salute, se non addirittura letale. A lanciare l’allarme è la Food & Drug Administration (FDA), ente governativo americano, che lo scorso aprile ha preso alcune misure in seguito ad almeno due casi di morte sospetta da overdose di caffeina negli Stati Uniti. La caffeina pura in polvere o liquida è contenuta in cibi, bevande e integratori alimentari. A essere messi sotto accusa dalla FDA sono specialmente quest’ultimi e, nello specifico, la sempre più frequente vendita di grossi quantitativi di integratori sfusi. In questi casi, infatti, spesso il consumatore non è ben informato sulle corrette porzioni quotidiane e non si rende conto quando il prodotto in questione diventa eccessivo, pericoloso o addirittura letale. La FDA stima effetti tossici simili a crisi di astinenza quando si consumano rapidamente circa 1.200 mg di caffeina, che corrispondono a circa 0,15 cucchiaini di caffeina pura. Il rischio di overdose s’intensifica con l’aumentare della concentrazione di caffeina nel prodotto, ciò significa che anche piccole dosi con elevata concentrazione di caffeina possono avere effetti dannosi. Un cucchiaino di caffeina pura può contenere lo stesso quantitativo di 20 tazze di caffè e una dose simile è da considerarsi estremamente tossica.
Quando la caffeina diventa troppa? La Food & Drug Administration ha pubblicato un’interessante botta e risposta che tenta di fare chiarezza. Secondo gli esperti americani, la caffeina può rappresentare parte di una dieta sana per molte persone, ma troppa caffeina può altresì costituire un pericolo per la salute. Ciò dipende da diversi fattori come per esempio il peso corporeo, eventuali farmaci assunti o la sensibilità individuale, quindi il “troppa caffeina” può variare da persona a persona. La caffeina si trova in natura in alcune piante che si utilizzano per produrre il caffè, il tè e il cioccolato. Ma la si trova anche in altre specie aromatizzanti come il guaranà o piante alternative al tè molto comuni in Sudamerica tra cui l’erba mate, il cui nome scientifico è Ilex paraguariensis, dall’infusione delle cui foglie si ricava, il mate, appunto, oppure la Ilex guayusa, un’erba molto simile al mate, ma con un sapore più fruttato. Quest’ultima è molto diffusa nei paesi del Sudamerica e si beve al mattino al posto del caffè. La caffeina può inoltre essere aggiunta come ingrediente a cibi e bevande. In quest’ultimo caso, il contenuto di caffeina è dichiarato in etichetta. Oggi diversi database online forniscono i quantitativi di caffeina nei prodotti più comuni come il caffè e il tè. Tuttavia, precisa l’FDA «la quantità in queste bevande fermentate può variare in base a diversi fattori per esempio, tra cui come e dove i chicchi di caffè o le foglie di tè sono coltivati e lavorati e le modalità di preparazione della bevanda stessa». A titolo di esempio, l’Fda sottolinea come «una lattina da 33 cl. di una bibita analcolica con caffeina ne contenga dai 30 ai 40 mg, una tazza di tè verde o nero dai 30 ai 50 mg, mentre in una tazza di caffè all’americana varia dagli 80 ai 100 mg. La caffeina presente nei cosiddetti “energy drink” può oscillare dai 40 ai 250 mg ogni 0,23 litri». Anche caffè e tè decaffeinati, sebbene in dosi minori, contengono caffeina: una tazza di caffè decaffeinato “all’americana” normalmente ne contiene dai 2 ai 15 milligrammi. Per i soggetti particolarmente sensibili alla caffeina, gli esperti sconsigliano anche il consumo di bevande decaffeinate.
Per un adulto sano, la Fda suggerisce una dose massima pari a «400 mg al giorno di caffeina, che corrispondono a circa 4 o 5 tazze di caffè». «Generalmente tali dosi – spiega l’Ente – sono da considerarsi non pericolose e prive di effetti negativi». Ovviamente, anche in questo caso, è bene tenere conto dalla sensibilità della persona alla caffeina e in quanto tempo il suo corpo è in grado di metabolizzarla. Esistono inoltre alcune condizioni che rendono certi soggetti più sensibili, proprio come avviene con i medicinali: donne incinte, donne che allattano al seno o casi clinici specifici. Ecco perché, in condizioni cliniche particolari, gli esperti suggeriscono di limitare al minimo il consumo di caffeina. In generale esistono alcuni campanelli d’allarme che consentono di comprendere quando se ne sta abusando: insonnia, nervosismo, accelerazione del battito cardiaco, mal di stomaco, nausea e sbalzi di umore. La Food & Drug Administration non si espone per quanto concerne il consumo in bambini e ragazzi, sottolinea però che «l’American Academy of Pediatrics scoraggia la caffeina e altri stimolanti nei bambini e negli adolescenti in genere». La caffeina è uno stimolante che può rendere più vigili e attenti, ma non si sostituisce al sonno. Secondo gli scienziati americani «servono dalle 4 alle 6 ore per metabolizzare metà della dose di caffeina consumata». Quindi una tazza di caffè dopo cena potrebbe tenere svegli durante le ore notturne. E per chi stesse pensando di interrompere improvvisamente la propria dose quotidiana di caffè? Gli esperti lo sconsigliano. Anche la caffeina, come gli oppioidi e l’alcool, può indurre crisi di astinenza con conseguenti mal di testa, ansia e nervosismo. Anche se la rinuncia alla caffeina non è da considerarsi pericolosa, meglio agire per gradi per evitare fastidi.

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Statine per abbassare il colesterolo, studio: «Funzionano meglio con Dieta Mediterranea»

Una dieta basata principalmente sui fondamenti di quella Mediterranea, migliora l’effetto delle statine nei pazienti che hanno avuto un attacco di cuore o un ictus. E’ questo in sintesi il risultato dello studio Moli-sani, basato sull’osservazione di circa 1.000 adulti, pubblicato sulla rivista scientifica «International Journal of Cardiology». Come noto, la Dieta Mediterranea è ricca in frutta, verdura, legumi, cereali, olio di olivo, vino usato con moderazione, pesce e basso consumo di carne e di latte e derivati. Mentre, le statine pravastatina, atorvastatina, cerivastatina, fluvastatina, sono farmaci ampiamente usati per ridurre la colesterolemia totale e LDL.
«Abbiamo scoperto – spiega Marialaura Bonaccio, epimediologa presso il dipartimeto di Epidemiloogia e prevezione e prima autrice dello studio – che statine e Dieta Mediterranea insieme lavorano meglio, se prese singolarmente, riducendo il rischio di mortalità cardiovascolare. Probabilmente, la Dieta Mediterranea ha facilitato l’effetto benefico delle statine, che nel nostro studio di vita reale venivano generalmente utilizzate a basse dosi».
I ricercatori hanno analizzato quindi i potenziali meccanismi nascosti di questa interazione positiva, tra farmaci e abitudine alimentari.
«La combinazione favorevole tra statine e Dieta Mediterranea – spiega Licia Iacoviello, responsabile del Laboratorio di Epidemiologia molecolare e nutrizionale dello stesso dipartimento, e professore di igiene presso l’università di Insubria – sembrerebbe favorire, più che i livelli di colesterolo, la riduzione dell’infiammazione subclinica, condizione che predispone ad un rischio maggiore di malattia e di mortalità. Questa scoperta è di particolare interesse soprattutto alla luce della nostra osservazione che un alto livello di infiammazione subclinica ha raddoppiato il rischio di mortalità in pazienti che avevano avuto già un infarto o ictus».
«I nostri dati – ha spiegato Giovanni de Gaetano, direttore del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione – suggeriscono che dovremmo focalizzare maggiormente la nostra attenzione alle possibili interazioni tra cibo e farmaci, aspetto largamente trascurato nella ricerca epidemiologica. Naturalmente, saranno necessari studi clinici controllati per chiarire tali risultati». Tuttavia, spiega il ricercatore, «se i nostri dati saranno confermati, nuove possibilità terapeutiche potrebbero essere progettate per coloro che hanno già avuto un evento cardiovascolare, consentendo una migliore modulazione dell’intervento farmacologico in relazione alle abitudini di vita. Questo è un nuovo aspetto della medicina personalizzata».

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Disfunzione erettile, i ricercatori: «Diabete di tipo 2 possibile causa»

La prova che il diabete di tipo 2 è una causa di disfunzione erettile è stata trovata in un’analisi genomica su vasta scala. E’ il risultato di uno studio coordinato dall’università di Exeter e dall’università di Oxford, che ha analizzato i dati di 220.000 uomini, 6.000 dei quali con un’esperienza di disfunzione erettile. La ricerca ha fatto eco alle recenti scoperte secondo le quali la disfunzione erettile ha una causa genetica, e va oltre aprendo la possibilità che vivere uno stile di vita sano possa aiutare a ridurre il rischio.
Nell’ambito dei loro studi, i ricercatori hanno scoperto che coloro che avevano una predisposizione genetica al diabete di tipo 2 avevano un legame con la disfunzione erettile, dimostrando che il diabete può essere causa di problemi di erezione. Ciò alla luce del fatto che un numero davvero limitato di studi sul diabete aveva evidenziato la disfunzione erettile come risultato di una migliore gestione del controllo della glicemia.
«La disfunzione erettile colpisce almeno un uomo su cinque, oltre i 60 anni, ma fino ad ora si sapeva poco della sua causa», ha spiegato Anna Murray, della Exter Medical School, coautrice nello studio. «Il nostro lavoro riecheggia le recenti scoperte secondo cui la causa può essere genetica e va oltre. Abbiamo scoperto che una predisposizione genetica al diabete di tipo 2 è collegata alla disfunzione erettile. Ciò significa che se le persone possono ridurre il rischio di diabete attraverso corretti stili di vita, allo stesso modo possono evitare di sviluppare la disfunzione erettile».
Michael Holmes, professore all’univeristà di Oxford, tra gli autori dello studio, ha osservato che «la nostra scoperta è importante in quanto il diabete è prevenibile e in effetti ora è possibile ottenere una “remissione” dal diabete con perdita di peso, come illustrato in recenti studi clinici». «Questo va oltre – spiega Holmes – la ricerca di un legame genetico con la disfunzione erettile a un messaggio che è di ampia diffusione per il pubblico in generale, soprattutto considerando la crescente diffusione del diabete».

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Campi elettromagnetici e salute, le preoccupazioni degli scienziati internazionali

«Siamo scienziati impegnati nello studio degli effetti biologici e sanitari dei campi elettromagnetici non ionizzanti (EMF). Basandoci sulle ricerche pubblicate da riviste peer-reviwed, siamo seriamente preoccupati riguardo all’esposizione ubiquitaria e sempre più in aumento agli EMF generati da apparecchiature elettriche e wireless». Apre così l’appello sottoscritto da un gruppo di 244 scienziati, pubblicato sul portale emfscientist.org, inviato alle Nazioni Unite, alle relative sotto-organizzazioni e a tutti gli stati membri, con lo scopo di informare tali rappresentanti per sensibilizzare a mantenere alta l’attenzione sulla problematica relativa al crescente grado di intensità dei campi elettromagnetici emessi dal sempre più alto numero di dispositivi utilizzati nella vita di tutti i giorni, ed al loro effetto sulla salute umana.
«Queste includono, ma non si limitano – spiegano gli scienziati nell’appello -, le apparecchiature che emettono radiazione a radiofrequenza (RFR), quali i cellulari, i telefoni cordless e le loro stazioni base, il Wi-Fi, le antenne di trasmissione, gli smart-meter e i monitor per neonati oltre alle apparecchiature elettriche e alle infrastrutture utilizzate nel trasporto e consegna di elettricità che generano un campo elettromagnetico a frequenza estremamente bassa (ELF EMF)».
Secondo quanto evidenziano gli scienziati, «numerose pubblicazioni scientifiche recenti hanno mostrato che i EMF influiscono gli organismi viventi a livelli ben inferiori a molte linee guida sia nazionali che internazionali». Tali effetti, si legge nell’appello, «includono l’aumentato rischio di tumori, lo stress cellulare, l’aumento di radicali liberi dannosi, danno genetico, modifiche strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, deficit di apprendimento e di memoria, disturbi neurologici, e impatti negativi sul generale benessere degli esseri umani». Danni occorsi non solo sulla razza umana, «visto che ci sono sempre più in aumento le prove degli effetti dannosi sia sulla vita delle piante che su quella degli animali».
Sono nove le richieste che gli scienziati indirizzano alle organizzazioni internazionali. Esse sollecitano che «vengano protetti i bambini e le donne incinte», «si rinforzino le linee guida e gli standard regolamentari», «i produttori vengano incoraggiati a sviluppare tecnologia più sicura», che «i servizi di utilità pubblica (società dell’energia elettrica, telefonia, etc.) responsabili della produzione, trasmissione, distribuzione, e monitoraggio del mantenimento dell’elettricità, mantengano di un’adeguata qualità della corrente elettrica e assicurino cavi elettrici appropriati per minimizzare i danni prodotti dalla corrente a terra», «il pubblico venga pienamente informato riguardo ai rischi potenziali per la salute derivanti dall’energia elettromagnetica e vengano loro insegnate le strategie per la riduzione del danno», «ai professionisti del campo medico si provveda un’educazione adeguata riguardo agli effetti biologici dell’energia elettromagnetica e sia provvista una formazione al trattamento di pazienti che soffrono di elettrosensibilità», «i governi finanzino formazione e ricerca sui campi elettromagnetici e la salute che sia indipendente dall’industria e impongano la cooperazione tra industria e ricercatori», «i mass media rivelino i rapporti tra gli esperti della finanza con l’industria quando citano le loro opinioni riguardo gli aspetti sulla salute e la sicurezza delle tecnologie di emissione di EMF», ed infine, che «vengano stabilite delle zone-bianche (aree libere da radiazioni)».