Nel primo semestre 2018 vi è stato un discreto incremento del numero di Tessere Sanitarie emesse, soprattutto ai fini dell’assistenza pediatrica, aumentate del 9%.
La procedura di emissione è stata resa più snella, con un taglio del 10% dei tempi di attesa. Infatti, appena ricevuta la richiesta da parte del cittadino, il processo di produzione del supporto magnetico si mette in moto entro 24 ore. Da questo momento entro otto giorni viene emessa la tessera che poi viene ceduta alla società incaricata alla distribuzione che la recapita al diretto interessato in almeno dieci giorni.
«I dati – secondo un comunicato dell’Agenzia delle Entrate – dicono che, dal 2015 a giugno 2018, l’Agenzia ha emesso 1,5 milioni di tessere per neonati: 450mila nel 2015, 438.910 nel 2016, 425.744 nel 2017 e circa 232mila nel primo semestre 2018, evidenziando un aumento tendenziale del 9 per cento».
L’Agenzia delle Entrate ricorda che «ai neonati, dopo l’attribuzione del codice fiscale da parte del Comune o di un ufficio dell’Agenzia delle entrate, viene inviata automaticamente una tessera sanitaria valida per un anno. Alla sua scadenza, acquisiti i dati di assistenza sanitaria dalla Asl competente, arriverà una nuova tessera con scadenza standard ovvero a sei anni».
Chi invece non ha ancora ricevuto il tesserino,«può rivolgersi alla propria Azienda sanitaria locale di appartenenza, mentre per richiedere il codice fiscale basta recarsi in qualunque ufficio delle Entrate. Tutte le informazioni sull’argomento, comunque, sono a disposizione dei cittadini nell’apposita sezione del sito web dell’Agenzia delle entrate».
Per richiedere un duplicato è possibile collegarsi al sito web dell’Agenzia delle Entrate ed effettuare la richiesta o mediante l’inserimento del proprio Codice Fiscale o dei propri dati anagrafici. Il servizio permette di richiedere on-line il duplicato della Tessera Sanitaria (Ts) o del tesserino di codice fiscale indicando il codice fiscale o, in alternativa, i dati anagrafici completi del richiedente.
Clicca qui per richiedere il duplicato tessera sanitaria (link esterno) [https://telematici.agenziaentrate.gov.it/RichiestaDuplicatoWeb/ScegliModalita.jsp]
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Quale è l’elisir di lunga vita? Esiste la “pillola magica” che ci consente di essere quanto più longevi? Sappiamo tutti che non esiste un farmaco miracoloso che ci consenta di vivere a lungo, ma dai ricercatori arriva la conferma che possiamo fare qualcosa per migliorare la nostra longevità.
In uno studio pubblicato sul Journal of Internal Medicine è stato visto che seguire una dieta antinfiammatoria potrebbe diminuire il rischio di ammalarsi di ogni causa, tra cui problemi cardiovascolari, ma anche di cancro.
Nello studio dal titolo “Influence of anti‐inflammatory diet and smoking on mortality and survival in men and women: two prospective cohort studies”, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Internal Medicine edita da Wiley, 68.273 uomini e donne di età compresa tra i 48 e gli 83 anni sono stati seguiti per 16 anni. Queste persone, durante tutto il periodo di analisi, hanno seguito una dieta antinfiammatoria.
Ebbene, le persone interessate hanno avuto il 18% di rischio più basso di ammalarsi, il 20% di rischio più basso di mortalità cardiovascolare e il 13% di rischio più basso di cancro, paragonati a coloro che non avevano seguito una dieta simile. Anche i fumatori che seguivano la dieta antinfiammatoria, hanno avuto più benefici di coloro che non seguivano la dieta.
Un regime alimentare cosiddetto “antinfiammatorio” consiste nell’assunzione di frutta e legumi, te’, caffè, pane integrale, cereali integrali, formaggi con pochi grassi, olio di oliva, nocciole, cioccolato e piccole quantità di vino e birra. Mentre, una dieta proinfiammatoria, al contrario, è costituita da carne rossa, carni di organi, patatine fritte e bevande gassate.
Il responsabile dello studio, Dr. Joanna Kaluza, professoressa associata all’università di Varsavia, in Polonia, ha detto che «l’analisi dose-risposta ha dimostrato che anche l’adesione parziale alla dieta anti-infiammatoria può fornire un beneficio per la salute».
E’ stata pubblicata sul sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione “L’Agenzia Informa”, la guida “Le agevolazioni fiscali sulle spese sanitarie”, che fa il punto in maniera completa e approfondita sulla tipologia più richiesta di detrazioni prevista dalla normativa fiscale italiana. Ne da notizia “FiscoOggi.it”, sito Web informativo a cura dell’Agenzia delle Entrate.
La prima parte del testo introduce gli aspetti generali e le regole principali per usufruire della detrazione: è necessario anzitutto indicare le spese nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui sono state sostenute, documentandole adeguatamente e conservando i giustificativi per i cinque anni successivi a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Le detrazioni possono essere richieste solo da chi ha effettivamente sostenuto la spesa sanitaria, includendo anche quelle effettuate nell’interesse di familiari a carico del richiedente. La misura della detrazione rimane invariata, ovvero è possibile chiedere il rimborso del 19% delle spese sanitarie per la parte eccedente l’importo di 129,11 euro. A proposito delle spese sostenute all’estero, queste seguono lo stesso trattamento di quelle effettuate in Italia, quindi anche in questo caso è necessario produrre dei giustificativi che, se in lingua straniera, devono essere tradotti in italiano.
Il terzo capitolo della guida elenca le spese sanitarie detraibili: tra le novità introdotte c’è la possibilità di ottenere un rimborso per gli alimenti medici a fini speciali, ad esclusione di quelli per lattanti e di quelli senza glutine. E’ possibile consultare l’elenco completo degli alimenti detraibili sul sito del Ministero della Salute al seguente link. La detrazione è attualmente prevista solo per gli anni 2017 e 2018, non c’è un tetto massimo di spesa e il beneficio spetta anche per gli acquisti effettuati nell’interesse di un familiare a carico. La spesa in questo caso va certificata con fattura o scontrino che deve specificare natura, qualità e quantità dei prodotti acquistati, oltre al codice fiscale del destinatario di questi alimenti.
A proposito delle prestazioni mediche, alcune sono detraibili senza necessità di prescrizioni, come quelle effettuate da psicologi e psicoterapeuti, biologi nutrizionisti e ambulatori specialistici per la cura da assuefazione da tabacco. Altre prestazioni invece possono essere detratte solo se vi è una prescrizione medica che dimostri il collegamento tra la prestazione e la patologia, come ad esempio per i trattamenti di mesoterapia e ozonoterapia, le prestazioni chiropratiche, le cure termali e le spese per le prestazioni rese dal massaggiatore capo bagnino degli stabilimenti idroterapici.
Sono inoltre detraibili le spese per gli prestazioni di luce pulsata, quando effettuate per sopperire ai danni estetici provocati dall’irsutismo, la spesa per gli interventi di procreazione medicalmente assistita (PMA) e quella per la conservazione delle cellule del cordone ombelicale, solo ad uso del neonato.
Le somme per l’acquisto o affitto di dispositivi medici, tra cui le protesi, possono essere portate in detrazione a patto che dalla certificazione fiscale risulti chiaramente la descrizione del prodotto acquistato e la persona che sostiene la spesa.
Inoltre, le spese relative a patologie esenti possono essere detratte per un limite massimo di 6.197,48 euro.
Lo stesso tetto economico è previsto per le detrazioni riguardanti spese per familiari con patologie esenti che non sono a carico fiscalmente.
A proposito poi delle detrazioni delle spese mediche e di assistenza ai disabili, queste sono interamente deducibili dal reddito complessivo, anche se sostenute dai familiari dei disabili e anche se questi non risultano fiscalmente a carico.
Infine, per chi volesse approfondire la legislazione in merito, l’ultimo capitolo della guida riporta i riferimenti delle normative, circolari e risoluzioni che regolano la materia.
C’è un vero e proprio studio che lo dimostra. La musica è un toccasana anche durante le estenuanti sessioni sul tapis roulant o nel corso di una faticosa lezione di “total body gym”. Nel corso dell’esperimento, condotto dai ricercatori della Brunel University di Londra e pubblicato sulla rivista International Journal of Psychophysiology, sono state analizzate le aree del cervello che si attivavano durante l’esecuzione di determinati esercizi ginnici, in presenza di musica di diversa intensità. Lo studio ha riguardato 19 adulti, che sono stati seguiti nell’esecuzione di determinate attività sportive in presenza o assenza di musica. Ogni sessione è durata 10 minuti e ai partecipanti è stato richiesto di eseguire 30 prove di esercizio. L’assegnazione dell’attenzione, le risposte da sforzo e i cambiamenti affettivi sono stati valutati immediatamente dopo ogni fase. Gli esercizi legati alla musica hanno moderato la salienza degli stimoli legati alla fatica e resa l’attività più piacevole rispetto alle condizioni di controllo non musicale, potendo anche modulare, secondo gli autori, le attività cardiache, respiratorie e muscolari. Ma non solo. «I molteplici effetti della musica sull’attività cerebrale comprendono un’aumentata attivazione nel lobo temporale, nella corteccia insulare, nel sistema limbico e nelle regioni frontali del cervello. Ciò è principalmente attribuito al fatto che ogni regione del cervello riguarda l’elaborazione di componenti specifici della musica (ad es. Melodia e armonia) e/o le successive risposte emotive suscitate dalla musica (Levitin, 2008)». Ovviamente, è chiaro che il tipo di musica possa avere effetti diversi a seconda dell’effetto che si desideri ottenere, pertanto, brani energici e ritmati si prestano ad ottenere risultati migliori in attività che richiedono sforzo fisico, mentre, al contrario, melodie rilassanti e a bassa frequenza, sono particolarmente adatte ad attività che richiedono distensione muscolare e rilassamento. Secondo il ricercatore Marcelo Bigliassi, è possibile incorrere, però, in un “effetto collaterale”, come nel caso dei farmaci, ovvero il rischio di sviluppare una sorta di dipendenza dallo stimolo musicale. «Negli ultimi vent’anni – ha spiegato l’esperto intervistato da Repbublica – abbiamo imparato tanto sugli effetti psicofisici, psicologici e psicofisiologici della musica che le persone stanno quasi sviluppando una forma particolare di dipendenza dallo stimolo musicale. Perciò, se continuiamo a promuovere, anche quando non è strettamente necessario, l’uso della stimolazione uditiva e visiva, la prossima generazione potrebbe non essere più in grado di tollerare l’affaticamento dell’esercizio fisico in assenza di musica». Probabilmente, questo è un allarme infondato e poco significativo, rispetto a tante altre dipendenze, reali e nocive, che creano problematiche ben più gravi, che assumono le dimensioni della vera patologia. Ma questo ce lo potrà dire soltanto il tempo.
Le persone esposte a bassi livelli di inquinamento dell’aria possono essere maggiormente predisposti a modifiche strutturali del cuore, a loro volta precursori di insufficienza cardiaca. E’ quanto emerso in un recente studio britannico.
Mentre l’esposizione all’inquinamento dell’aria è stata da tempo collegata ad un incrementato rischio di attacchi cardiaci ed infarti, meno è risaputo su come gli inquinanti possono alterare la struttura e la funzionalità cardiaca.
I ricercatori dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Circulation”, hanno analizzato i dati sull’esposizione all’inquinamento dell’aria correlato al traffico e i risultati delle risonanze magnetiche di 3.920 adulti senza eventi cardiovascolari.
Ebbene, è stato scoperto che la precedente esposizione a piccole particelle inquinanti conosciute come PM2.5, che includono polvere, sporco, fuliggine, fumo, biossido di azoto – gas velenoso presente nei gas di scarico delle auto -, era associata ad un ispessimento di ambedue le pareti cardiache.
«L’inquinamento dell’aria sembra essere dannoso per la salute del cuore anche se in presenza di bassi livelli di esposizione», ha detto Nay Aung, l’autore dello studio.