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Parkinson: sperimentata la terapia a ultrasuoni

La terapia a ultrasuoni potrebbe rivelarsi molto utile nel diminuire alcuni sintomi tipici della malattia di Parkinson, legati soprattutto ai movimenti degli arti. A dimostrarlo un gruppo di ricercatori della School of Medicine dell’Università del Maryland, il cui lavoro è stato recentemente pubblicato sul Journal of Medicine dell’Università del Maryland.

L’esperimento scientifico con ultrasuoni.

I ricercatori hanno esaminato 94 pazienti malati di Parkinson. Hanno somministrato loro in modo casuale ultrasuoni focalizzati in una specifica area del cervello oppure un trattamento del tutto neutro privo di benefici. Dai dati raccolti è emerso che circa il 70% dei pazienti trattati con ultrasuoni ha ottenuto esiti positivi tre mesi dopo la terapia sperimentale.

Vantaggi e svantaggi degli ultrasuoni.

L’intervento con ultrasuoni sperimentato dai ricercatori dell’Università del Maryland ha sortito tre ordini di vantaggi nella maggioranza dei pazienti: nella capacità di deambulazione, nel livello dei tremori, nella rigidità degli arti. Tuttavia, va detto che la terapia a ultrasuoni comporta anche dei lievi effetti collaterali: mal di testa, vertigini, nausea che, tuttavia, nel caso dei pazienti in oggetto, sono scomparsi nel giro di un paio di giorni. In alcuni pazienti, invece, sono stati diagnosticati ulteriori effetti negativi: perdita del gusto, problemi di deambulazione, stato confusionale, tutti svaniti nell’arco di qualche settimana.

Quanto durano gli effetti positivi degli ultrasuoni?.

Rebecca Lalchan, neurologa e specialista in disturbi del movimento presso il NYU Langone Hospital di Brooklyn: “L’utilizzo degli ultrasuoni ad alta frequenza per irradiare calore a una parte del cervello coinvolta nel morbo di Parkinson crea una lesione permanente che interrompe la segnalazione e migliora il movimento nei pazienti con malattia di Parkinson”. Tuttavia “Non è chiaro per quanto tempo i benefici potrebbero durare dopo il completamento del trattamento”, ha affermato il dottor Jean-Philippe Langevin, neurochirurgo presso il Providence Saint John’s Health Center in California. “Questo è un nuovo modo di trattare la malattia di Parkinson, quindi non è del tutto certo se i pazienti continuino a beneficiare del trattamento diversi anni dopo averlo completato. Questi dati sono ancora in fase di raccolta e studio”.

Gli ultrasuoni non sono la cura definitiva per il Parkinson.

“È importante notare che si tratta di un trattamento avanzato che non ha lo scopo di trattare la malattia di Parkinson precoce e non è una cura”, precisa il Dottor Alessandro Di Rocco, neurologo del Lennox Hill Hospital di New York. “Gli ultrasuoni mirati possono essere presi in considerazione quando altri trattamenti, come i farmaci e le terapie sullo stile di vita, non funzionano più”. Senza contare che non tutti i pazienti sono adatti a ricevere questa tipologia di trattamento. Ad esempio, coloro che hanno avuto un ictus o un danno cerebrale probabilmente non saranno i candidati ideali per la somministrazione di un trattamento a ultrasuoni contro il Parkinson.

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Sclerosi multipla, il ruolo delle cellule staminali in uno studio tutto italiano

Una sperimentazione scientifica iniziata all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano nel 2017 ha visto per la prima volta al mondo l’iniezione di cellule staminalI neurali in un paziente affetto da sclerosi multipla progressiva. I risultati di questo studio, chiamato STEMS e coordinato dal prof. Gianvito Martino, sono stati pubblicati in questi giorni dalla rivista Nature Medicine.

Sclerosi multipla: recidivante-remittente vs multipla progressiva.

La sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR) è la forma più diffusa di sclerosi multipla. Diagnosticata nell’85% dei casi di sclerosi, la SMRR si caratterizza per l’alternanza di episodi acuti ed altri di momentanea tranquillità per il paziente. La sclerosi multipla progressiva si distingue in “primariamente progressiva” (SM-PP) e “secondariamente progressiva” (SM-SP). La SM-PP si manifesta fin da subito in un peggioramento delle funzioni neurologiche e colpisce circa il 15% delle persone affette da sclerosi multipla. La SM-SP è l’evoluzione della SMRR, in cui la disabilità dell’individuo si fa persistente e tende ad aumentare nel corso del tempo.

Lo studio STEMS.

La ricerca condotta dal San Raffaele ha applicato al campione di pazienti una terapia sperimentale fondata sull’uso di cellule staminali neurali cioè del cervello. Ad ogni paziente è stata iniettata un’infusione di queste cellule tramite puntura lombare per veicolarle direttamente nel liquido cerebrospinale affinché raggiungessero velocemente cervello e midollo spinale, le aree colpite dalla sclerosi multipla. Le cellule staminali neurali sono cellule cosiddette progenitrici perché capaci di specializzarsi in qualsiasi tipo di cellula nervosa. Nelle sperimentazioni su animali è stato rilevato che queste cellule, dopo essere state trapiantate, raggiungono le lesioni cerebrali e midollari proprio perché diventano funzionali ad un eventuale danno cellulare. A quel punto, nella sede lesa, attivano meccanismi di protezione e riparazione cellulare.

I risultati dello studio STEMS.

Ciò che hanno dimostrato i ricercatori italiani è che le cellule staminali neurali possono rallentare la progressione di una sclerosi multipla in fase progressiva. È stata riscontrata una riduzione dell’atrofia cerebrale dei pazienti trattati e una rigenerazione delle cellule nelle aree colpite dalla malattia. Tuttavia questi risultati richiedono ulteriori conferme attraverso studi che coinvolgano campioni più ampi di pazienti. Solo così si potrà procedere ad un uso clinico della sperimentazione. Le cellule staminali neurali rappresentano una terapia innovativa e promettente per la cura di una patologia così complessa e variegata come la sclerosi multipla, nella quale i meccanismi che innescano la progressiva disabilità dell’individuo possono essere i più diversi (dall’infiammazione alla neurodegenerazione).

Cellule staminali neurali: la terapia del futuro?.

“È un traguardo importante quello raggiunto, anche se rappresenta solo la prima tappa del percorso clinico-sperimentale che porta ad una vera e propria terapia. Il mio primo pensiero va, soprattutto, alle persone malate e alle loro famiglie che hanno sostenuto la nostra ricerca in tutti questi anni, certo drammatici dal punto di vista della sanità pubblica, con pazienza, speranza, dedizione e sacrificio. Non saremmo arrivati fin qui senza il loro contributo. La strada intrapresa è però ancora lunga”, afferma Gianvito Martino. “Il fine ultimo, che è la grande sfida che abbiamo deciso di affrontare 20 anni fa, è quello di sviluppare una terapia innovativa ed efficace per le persone con forme progressive di sclerosi multipla che hanno, ad oggi, opzioni terapeutiche limitate”, conclude il professor Martino.

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Quale è il ruolo del farmacista nella lotta all’antibiotico-resistenza?

Il farmacista è spesso il primo punto di contatto per i pazienti che necessitano di un trattamento con gli antibiotici e ha una conoscenza approfondita dei farmaci e delle pratiche di prescrizione. Il farmacista può aiutare i pazienti a comprendere la questione della resistenza agli antibiotici e a scegliere l’antibiotico più adeguato per il loro caso, in modo da evitare l’uso eccessivo e inappropriato di questi farmaci. Inoltre, può consigliare pratiche sane per l’uso degli antibiotici, come l’evitare di interrompere il trattamento prima del tempo stabilito dal medico e di conservare gli antibiotici non utilizzati per usi futuri.

Collaborazione tra farmacista e medico.

Il farmacista può anche collaborare con il medico per monitorare l’efficacia degli antibiotici prescritti e per identificare eventuali segni di resistenza. Questo tipo di collaborazione può aiutare a garantire che i pazienti ricevano il trattamento più adeguato e che la resistenza agli antibiotici sia controllata.

Il ruolo del farmacista nella sensibilizzazione.

Il farmacista può svolgere un ruolo attivo nella sensibilizzazione del pubblico sulla questione della resistenza agli antibiotici. Può fornire informazioni sulle pratiche corrette per l’uso degli antibiotici e sulle conseguenze della resistenza agli antibiotici, e può anche partecipare a campagne di sensibilizzazione per informare la popolazione su questo importante problema per la salute pubblica. Il farmacista è un partner importante nella lotta contro la resistenza agli antibiotici e può contribuire a garantire che gli antibiotici siano utilizzati in modo sicuro e adeguato. La sua conoscenza, esperienza e impegno sono fondamentali per prevenire la diffusione della resistenza agli antibiotici e per garantire un futuro più sano per tutti.

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Obesità e perdita di capelli, quale meccanismo?

Un gruppo di ricercatori della Tokyo Medical and Dental University (TMDU) ha scoperto la causa per cui all’obesità si associa spesso la perdita di capelli. Esperimenti effettuati sui topi hanno dimostrato che le cellule staminali all’interno dei follicoli piliferi dei roditori con una dieta ipercalorica si comportavano in modo diverso da quelle dei topi con una dieta standard. I segnali infiammatori nelle cellule staminali hanno condotto a queste differenze, con conseguente diradamento e perdita di capelli.

Obesità e malattie correlate.

L’obesità è legata allo sviluppo di numerose altre malattie. Dalle patologie cardiache al diabete ad altri disturbi, esiste una casistica scientificamente accertata di disturbi derivanti dalla condizione di forte sovrappeso. Tuttavia, non è del tutto chiaro come gli organi del corpo si deteriorino e perdano funzionalità a causa dell’obesità cronica. Fra gli effetti di questo tipo di obesità vi è anche la perdita di capelli, oggetto di studio di un team di ricercatori dell’Università TMDU di Tokyo.

Dieta, diradamento e perdita di capelli.

Lo studio giapponese ha esaminato come una dieta ricca di grassi o l’obesità geneticamente indotta possono influenzare il diradamento e la caduta dei capelli. Gli autori hanno scoperto che l’obesità può portare all’esaurimento delle cellule staminali del follicolo pilifero (HFSC) attraverso l’induzione di alcuni segnali infiammatori, bloccando la rigenerazione del follicolo pilifero fino alla conseguente perdita di follicoli piliferi.

Perché l’obesità causa alopecia?.

“L’alimentazione con una dieta ricca di grassi accelera il diradamento dei capelli esaurendo le cellule staminali dei follicoli piliferi. Queste cellule hanno lo scopo di reintegrare le cellule mature che fanno crescere i capelli, specialmente nei topi anziani”, afferma l’autore principale dello studio Hironobu Morinaga. “Abbiamo confrontato l’espressione genica nelle cellule staminali dei follicoli piliferi di topi alimentati con cibi ipercalorici con quella di topi sottoposti a un regime alimentare equilibrato. Ciò che abbiamo scoperto è che le cellule staminali dei peli dei topi obesi nutriti con cibi grassi si trasformano, tanto che quei topi mostrano una perdita di peli più rapida e follicoli piliferi più piccoli dei topi normopeso”.

Risultati e prospettive.

Questo studio fornisce nuove interessanti intuizioni su specifici cambiamenti cellulari e sulla disfunzione tissutale, anomalie che possono verificarsi a seguito di una dieta ricca di grassi o di un’obesità geneticamente tracciata. La speranza è che i risultati ottenuti e le ulteriori sperimentazioni in corso possano indirizzare la ricerca verso la futura prevenzione e il trattamento del diradamento dei capelli, ma anche di altre patologie, connessi all’obesità.

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Microclima, ambienti troppo umidi danneggiano la salute

Il tasso di umidità nell’ambiente è un fattore molto importante per la salute. Ambienti eccessivamente umidi, infatti, determinano varie conseguenze per la salute ed è quindi importante seguire una serie di regole per riportare l’umidità a livelli ottimali. Non di rado abitazioni ed edifici di altro tipo, nei quali si trascorre la maggior parte del tempo, specie in inverno, presentano elevati livelli di umidità, provocando la formazione di muffe, dannose per l’apparato respiratorio. «Uno dei problemi più fastidiosi e dannosi per il comfort abitativo è quello legato all’umidità – si legge in un opuscolo del ministero della Salute dedicato a questo tema -. La presenza di acqua nelle murature può provocare inconvenienti come la diminuzione del comfort termico, il degrado dei materiali a causa di reazioni chimiche distruttive e la comparsa di muffe». Con il termine “muffe” si indicano microrganismi fungini, in grado di proliferare a grande velocità, disseminando le loro spore ovunque.

I danni delle muffe.

Come spiegano gli esperti del Ministero, le muffe «si trovano soprattutto dove è presente umidità in eccesso e scarsa ventilazione e tendono a svilupparsi più rapidamente con un clima caldo umido, come in estate e in luoghi poco illuminati, su oggetti e materiali umidi, in umidificatori o sistemi di condizionamento d’aria, non sottoposti a regolare pulizia e manutenzione». L’esposizione a muffe e umidità domestica causa diversi disturbi respiratori, come asma e tosse. I soggetti più colpiti sembrano essere i più piccoli. Secondo il Ministero, «i risultati complessivi di studi trasversali su bambini di 6-12 anni hanno confermato la relazione positiva tra la muffa visibile e la tosse notturna e diurna dei bambini e, nelle famiglie più affollate, la relazione con asma e sensibilizzazione ad allergeni inalanti».

Gli accorgimenti per ridurre l’esposizione.

Ci sono vari metodi per limitare i danni dell’umidità e delle muffe. Si può anzitutto verificare se muri esterni, fondamenta, sottotetti e attico siano isolati e sufficientemente ventilati. In casa è invece importante fare in modo che il tasso di umidità non superi il 50%. Da evitare poi l’uso di tappeti o moquette in bagno, cucina e lavanderia. È inoltre sconsigliato stendere il bucato umido in ambienti chiusi poco ventilati. In caso vi siano macchie di muffa visibili, è opportuno rimuoverle con prodotti specifici, come le tinture speciali antimuffa a base di acqua. Un’altra importante raccomandazione è quella di eseguire periodicamente la manutenzione di umidificatori, condizionatori e del sistema di ventilazione meccanica, pulendo o sostituendo i filtri. Una pulizia regolare va fatta anche alle guarnizioni dei frigoriferi. Infine, gli esperti segnalano che i depuratori di aria muniti di filtri adeguati possono essere efficaci nel rimuovere le spore fungine.