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Prurito notturno: i fattori scatenanti e come alleviarlo

Il prurito che si intensifica durante le ore notturne è un fenomeno comune, legato a diversi fattori fisiologici e ambientali. Nella notte la riduzione degli stimoli esterni può far percepire maggiormente il fastidio. La pelle tende a perdere più acqua a causa della minore attività delle ghiandole sebacee, aumentando la secchezza cutanea. Alcune condizioni, come dermatiti, allergie o patologie sistemiche, possono peggiorare il disagio.

Fattori che influenzano il prurito notturno

Il rilascio notturno di citochine pro-infiammatorie può accentuare la sensazione di prurito. Anche l’aumento della temperatura corporea dovuta alla posizione supina o all’utilizzo di coperte troppo pesanti può peggiorare il problema. Altri elementi da considerare sono l’esposizione ad acari della polvere o a detergenti aggressivi, che possono irritare la pelle durante il riposo.

Ridurre il fastidio e favorire il riposo

Per attenuare il prurito notturno, è consigliabile mantenere l’idratazione della pelle con creme emollienti prima di coricarsi. Scegliere indumenti di cotone leggeri e regolare la temperatura della stanza può aiutare a evitare un’eccessiva sudorazione. In caso di allergie, è utile lavare frequentemente le lenzuola con detergenti ipoallergenici. Se il problema persiste, è opportuno valutare con un professionista l’eventuale necessità di trattamenti specifici. I consigli forniti dai farmacisti non sostituiscono il parere del medico curante. In caso di prurito persistente o associato ad altri sintomi, è necessario consultare un medico o uno specialista di riferimento.

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Detrazione fiscale per le spese veterinarie: ecco cosa sapere

La presentazione della dichiarazione dei redditi è un appuntamento importante per i contribuenti. I modelli precompilati, come il 730 e il Redditi persone fisiche, contengono già una serie di dati relativi a varie tipologie di spese detraibili, tra cui la voce dedicata ai costi sostenuti per la cura degli animali domestici. L’agevolazione fiscale permette di recuperare parte delle somme spese per le necessità sanitarie dei propri animali. La norma prevede specifiche condizioni che è necessario rispettare per poter accedere al beneficio, delineando con precisione quali spese possono essere considerate e quali sono escluse.

Quali spese veterinarie sono detraibili

L’agevolazione concerne esclusivamente le spese per la cura di animali legalmente detenuti per compagnia o per attività sportive. Sono incluse nel beneficio le prestazioni professionali del medico veterinario, l’acquisto di medicinali, sia quelli ottenuti con prescrizione che quelli acquistati senza ricetta presso farmacie o esercizi autorizzati, e le spese per analisi di laboratorio o interventi chirurgici effettuati in cliniche veterinarie. Un elemento fondamentale riguarda la modalità di pagamento, che deve avvenire in modo tracciabile – ossia mediante bonifico, carta di credito o debito, o bollettino postale –. La documentazione fiscale, come lo scontrino o la fattura, deve riportare il codice fiscale di chi ha sostenuto la spesa, la natura dei prodotti acquistati e il codice di autorizzazione del farmaco.

Limiti di reddito e calcolo della detrazione

Il beneficio fiscale consiste in una detrazione dall’imposta lorda pari al diciannove per cento delle spese veterinarie sostenute. L’importo massimo delle spese che può concorrere al calcolo è fissato in cinquecentocinquanta euro, al netto di una franchigia di centoventinove euro e undici centesimi. La detrazione massima ottenibile è quindi di ottanta euro. L’importo è valido per ogni contribuente, indipendentemente dal numero di animali posseduti. L’agevolazione è riconosciuta per intero ai titolari di un reddito complessivo non superiore a centoventimila euro. Superata la soglia, il beneficio diminuisce progressivamente fino ad annullarsi al raggiungimento di 240mila euro di reddito. È opportuno verificare attentamente i limiti per una corretta compilazione del modello. Il presente articolo ha scopo puramente informativo e non sostituisce in alcun modo il parere di un consulente fiscale o commercialista. Per quesiti relativi alla propria situazione contributiva è necessario sempre fare riferimento alle guide ufficiali dell’Agenzia delle entrate o rivolgersi a un professionista abilitato.

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Bocca amara al mattino, come affrontare il problema

La sensazione di amaro in bocca al mattino è un disturbo comune, spesso legato a cause non gravi. Tra i fattori più frequenti vi sono il reflusso gastroesofageo, che può far risalire succhi gastrici durante la notte, oppure una scarsa igiene orale, che favorisce la proliferazione batterica. Anche l’assunzione di alcuni farmaci, come antibiotici o antidepressivi, può alterare il gusto. Inoltre, il consumo di alcol o cibi piccanti la sera precedente può contribuire al problema.

Come prevenire il sapore amaro al risveglio

Adottare alcune accortezze può ridurre la comparsa del sapore amaro. È consigliabile evitare pasti abbondanti o ricchi di grassi prima di dormire, preferendo cibi leggeri e facili da digerire. Bere acqua durante la giornata aiuta a mantenere la bocca idratata e a diluire eventuali residui di sostanze amare. La corretta pulizia dei denti, inclusa la lingua, è fondamentale per eliminare i batteri responsabili del cattivo sapore. In caso di reflusso, sollevare leggermente la testata del letto può limitare il ritorno dei succhi gastrici.

Quando è necessario rivolgersi a un medico

Se il disturbo persiste nonostante le misure adottate, è opportuno consultare un professionista. Un sapore amaro prolungato potrebbe essere sintomo di infezioni del cavo orale, problemi epatici o diabete. Anche alcune patologie delle vie respiratorie, come la sinusite, possono influenzare il gusto. In tali casi, una valutazione medica è indispensabile per identificare la causa precisa e intraprendere il trattamento adeguato. I consigli forniti non sostituiscono il parere del medico curante. In caso di sintomi persistenti, è necessario rivolgersi a un professionista sanitario.

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Frutta dopo i pasti: cosa dice la scienza?

La questione se consumare frutta dopo i pasti sia dannoso è un argomento che genera spesso confusione. Alcune teorie suggeriscono che ciò possa rallentare la digestione o causare fermentazione nello stomaco, portando a gonfiore o disagio. Ciò nonostante, non esistono evidenze scientifiche solide che supportino tali affermazioni. La frutta, indipendentemente dal momento in cui viene consumata, apporta vitamine, fibre e antiossidanti utili all’organismo.

Digestione e tempi di assimilazione: cosa cambia?

Tra i timori più diffusi, vi è quello che la frutta, se mangiata a fine pasto, rimanga troppo a lungo nello stomaco a contatto con altri alimenti, fermentando e creando disturbi. In realtà, lo stomaco è progettato per gestire diversi tipi di cibo contemporaneamente, e i processi digestivi non vengono compromessi dalla presenza della frutta. Zuccheri naturali presenti nella frutta potrebbero essere fermentati dai batteri intestinali, ma ciò avviene indipendentemente dal momento del consumo e dipende più dalla sensibilità individuale.

Consigli pratici per un consumo equilibrato

Se non si soffre di particolari condizioni digestive, non vi è alcuna controindicazione nel mangiare frutta dopo i pasti. Anzi, in alcuni casi, può aiutare a completare l’apporto nutrizionale del pasto stesso. Chi avverte fastidi come gonfiore o pesantezza potrebbe sperimentare un consumo moderato o preferire frutti meno ricchi di fruttosio. L’importante è ascoltare le reazioni del proprio corpo e adattare le abitudini alimentari di conseguenza. I consigli forniti dai farmacisti non sostituiscono il parere del medico curante. In caso di sintomi persistenti o dubbi, è sempre necessario rivolgersi a un professionista sanitario di riferimento.

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Uso prolungato dei dispositivi: gli effetti su occhi e postura

L’uso intensivo di dispositivi come smartphone, tablet e computer è diventato parte integrante della vita quotidiana. L’abitudine può però generare conseguenze negative per la salute, in particolare a carico degli occhi e della postura. L’affaticamento visivo si manifesta con sintomi quali secchezza oculare, bruciore e difficoltà di messa a fuoco, mentre posture scorrette possono provocare tensioni a collo, spalle e schiena.

Come ridurre l’affaticamento degli occhi

È importante assicurarsi che l’illuminazione ambientale sia adeguata, evitando riflessi sullo schermo o contrasti eccessivi tra luce artificiale e naturale. L’utilizzo di lacrime artificiali può aiutare a mantenere l’occhio idratato, soprattutto in ambienti con aria condizionata o riscaldamento.

Migliorare la postura durante l’uso dei dispositivi

Anche la posizione del corpo riveste un ruolo nella prevenzione di disturbi muscoloscheletrici. Lo schermo del computer dovrebbe essere posizionato all’altezza degli occhi, a una distanza di circa 50-70 centimetri, per evitare di piegare il collo in avanti. La schiena deve essere sostenuta da una seduta ergonomica, con i piedi appoggiati al pavimento e le braccia rilassate. Per chi utilizza smartphone e tablet, è utile alternare la posizione del dispositivo, evitando di mantenerlo troppo in basso o di chinare la testa per lunghi periodi. Il consiglio dei farmacisti non intende sostituire il consulto con i medici curanti. In caso di problematiche persistenti, è necessario rivolgersi al proprio medico di riferimento o a uno specialista.