Categorie
Notizie

Uso dei farmaci, i rischi dell’abuso e di un’assunzione non corretta

La facilità con la quale oggi si reperiscono e maneggiano i medicinali può indurre i pazienti ad abusarne o a usarli in modo non corretto. Il consiglio del medico o del farmacista è sempre fondamentale quando si pensa di assumere un farmaco o un parafarmaco, anche se si tratta di un prodotto usato in altre occasioni o consigliato da chiunque non sia un operatore sanitario. Le conseguenze non ricadono solo sulla salute di chi li assume. Oltre al rischio di sviluppare effetti indesiderati o danni alla salute che si sarebbero potuti evitare, è bene ricordare che una terapia sbagliata o inefficace grava su tutto il sistema sanitario, o per risolvere eventuali effetti collaterali o perché il paziente non guarisce e deve quindi essere curato con altra terapia. Inoltre, l’uso non necessario di farmaci come gli antibiotici sta creando una grave antibiotico-resistenza, ovvero la capacità dei batteri di resistere ai farmaci, rendendoli inefficaci. Il che significa avere sempre meno opzioni terapeutiche per guarire determinate infezioni.

Tanti motivi per chiedere sempre un parere esperto.

Un uso improprio o superficiale di un principio attivo è sempre svantaggioso. Il principale motivo è che moltissimi disturbi e patologie si presentano con gli stessi sintomi e solo un esperto può capire a quale malattia corrisponde un determinato sintomo. In molti casi, quindi, l’uso di un medicinale potrebbe non essere efficace, mentre il medico avrebbe saputo consigliare quello corretto per la guarigione. Proprio in questi anni di pandemia, si è assistito a pazienti della stessa famiglia, affetti da febbre, ma non tutti con Covid-19. I sintomi che spesso si riconducono genericamente all’influenza possono avere diverse cause (virali, batteriche, infiammatorie), per le quali i rimedi sono differenti. Ciò dimostra che nemmeno con sintomi identici tra membri della stessa famiglia è opportuno usare lo stesso farmaco senza aver consultato il medico. Va inoltre sottolineato che gli operatori sanitari seguono tutta la comunità di un territorio e sono quindi gli unici a conoscenza delle patologie contagiose che si stanno diffondendo in quella zona in un determinato momento.

Il consiglio del farmacista.

Federfarma ha stilato un elenco di consigli utili per ricordare ai pazienti come usare correttamente i medicinali. I farmacisti, principali esperti in materia, raccomandano di «rispettare la posologia (dose, modalità e tempo di somministrazione) indicata dal medico, non assumere più farmaci contemporaneamente senza il consiglio del medico o del farmacista, non interrompere arbitrariamente una terapia, controllare sempre la data di scadenza prima di utilizzare il farmaco (ricordando che colliri, sciroppi, gocce e spray, una volta aperti, scadono prima della data indicata sulla confezione), conservare integra la confezione senza gettare l’astuccio contenitore e il foglietto illustrativo, riporre i farmaci in luogo fresco e asciutto (non in bagno, non in cucina, in frigo se espressamente specificato).

Categorie
Notizie

Lo stress riduce le probabilità di rimanere incinta

Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università Southeast di Jiangsu in Cina, pubblicato su Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica, ha analizzato l’impatto dello stress sulle possibilità di concepimento delle donne. Il fattore essenziale che è stato preso in considerazione si chiama “carico allostatico”, vale a dire tutto ciò che l’organismo è chiamato a “sopportare” per adattarsi e affrontare le più diverse circostanze della vita.

L’esperimento sul “carico allostatico”.

I ricercatori cinesi hanno esaminato 444 donne orientate a concepire un figlio. 9 gli indicatori di stress (pressione del sangue, livelli di zuccheri, cortisolo, noradrenalina, colesterolo) attraverso i quali hanno analizzato i livelli di stress raggiunti da ciascuna di loro. Il team di ricercatori ha così suddiviso il campione in 4 gruppi: dal gruppo A, con un carico allostatico minimo, al gruppo D con un carico allostatico notevole.

Cosa succede alle aspiranti mamme stressate.

Le 444 donne campionate sono state monitorate per 12 mesi durante i quali hanno tentato di concepire un bambino. Le percentuali di gravidanza di ciascuno dei quattro gruppi sono state: gruppo A 55,4%, gruppo B 44,5%, gruppo C 50,9%, gruppo D 26,9%. Escludendo altre possibili cause di una mancata gravidanza, il gruppo D, ovvero quello con il più alto carico allostatico, ha rivelato una diminuzione del 59% delle probabilità di aspettare un figlio rispetto al gruppo A.

Possibili cause dello stress pre-gravidanza.

In linea generale, lo stress può derivare da eventi o circostanze percepiti come un pericolo o una minaccia. Può trattarsi di un singolo evento, di preoccupazioni collegate a fatti già accaduti oppure a eventi possibili in futuro, a una serie di situazioni quotidiane che sommate tra loro producono stress. La stessa paura di non riuscire a concepire un figlio può generare stress che, a sua volta, riduce le probabilità di una gravidanza. La forma acuta di stress, quella dovuta a un singolo evento, aumenta la tachicardia e i livelli di pressione sanguigna, affanna il respiro, raffredda e inumidisce la pelle. Lo stress cronico può portare a stati depressivi e disturbi del sonno, nonché a un indebolimento delle difese immunitarie dell’organismo.

Cosa fare per abbassare lo stress.

Se è vero, come è stato dimostrato, che lo stress incide sulle possibilità di rimanere incinta, quali strategie dovrebbe adottare una donna per alleggerire il cosiddetto carico allostatico? Ce ne sono diverse, tutte utili ad abbassare i livelli di stress (e non solo in funzione di un eventuale concepimento): esercizio fisico, tecniche di rilassamento, meditazione, un’alimentazione equilibrata, rapporto sonno-veglia bilanciato, sedute di psicoterapia tramite il supporto di un professionista.

Categorie
Notizie

Diabete e parodontite: che relazione c’è?

Diabete e parodontite sono malattie fra loro collegate? Chi è affetto da una delle due può verosimilmente sviluppare l’altra? Il diabete è una malattia che provoca un aumento di glicemia (ovvero dei livelli di zucchero) nel sangue. Spesso è chiamato “diabete mellito” (dal latino mellitus: “dolce come il miele”) poiché le urine di un paziente diabetico “si addolciscono” a causa dell’eccesso di zuccheri nel sangue ed eliminati dai reni. La parodontite è un’infiammazione del parodonto, il sistema di supporto dentale che mantiene le radici dei denti ancorate alle ossa mascellari. A lungo andare la parodontite, se non curata in tempo, può portare alla perdita dei denti.

L’associazione tra diabete e parodontite. Da anni il rapporto tra diabete e parodontite è oggetto di studi che dimostrano come il diabete si associ a un aumento dei casi di parodontite nei soggetti diabetici. Si stima che il rischio di sviluppare la malattia parodontale nei pazienti diabetici sia pari al doppio o al triplo di quello di una persona non diabetica. In un soggetto diabetico l’iperglicemia e alterazioni del metabolismo accrescono non soltanto il rischio di insorgenza ma anche la gravità di una parodontite, nonché peggiori risultati clinici nella sua cura. Ulteriori studi sul tema sembrano indicare che l’associazione tra diabete e parodontite sia bidirezionale (chi sviluppa la parodontite è più probabile che diventi diabetico e vicevera). L’infiammazione del parodonto aumenterebbe il carico infiammatorio globale dell’organismo e quindi, nel corso del tempo, una progressiva resistenza all’insulina. Ciò significa che chi soffre di parodontite ha una maggiore probabilità (o tendenza) ad ammalarsi di diabete rispetto a chi non ne è affetto.

Prevenire il diabete dal dentista.

Il dentista di fiducia che diagnostica la parodontite è in grado, dialogando con il paziente, di rilevare segnali e sintomi di un sospetto diabete (ad esempio: polidipsia, poliuria, calo ponderale ed astenia, infezioni genito-urinarie ricorrenti). A quel punto gli consiglierà alcuni esami del sangue e una visita dal dabietologo. Il ruolo del dentista è quindi molto importante sia per una diagnosi precoce della malattia diabetica sia per un processo di cura più articolato e mirato nei pazienti diabetici-parodontici. La terapia parodontale antinfiammatoria contribuisce infatti a mantenere i livelli di glicemia sotto controllo, inserendosi di fatto nel percorso curativo di un paziente affetto da diabete mellito. Viceversa, anche un diabetologo può individuare una sintomatologia parodontica nei propri pazienti, come ad esempio sanguinamento delle gengive, alterazione del senso del gusto, ringofiamento gengivale, instabilità di alcuni denti, ecc. In tali casi indirizzerà il paziente diabetico dall’odontoiatra per una visita più approfondita.

Categorie
Notizie

La gentilezza fa bene alla salute

L’essere altruisti, mettere il benessere degli altri davanti al proprio senza aspettarsi nulla in cambio, gratifica le persone perché stimola i centri di ricompensa del cervello. Chi fa volontariato, per esempio, “compensa” i propri livelli di stress e migliora eventuali stati depressivi, secondo un recente studio dell’Università del Michigan, USA.

Chi è gentile vive più a lungo.

Fare qualcosa per gli altri, l’essere solidali, aiutare il prossimo può perfino ridurre il rischio di deterioramento cognitivo e aiutarci a vivere più a lungo. Perché? Gli esperti statunitensi dell’Università di Brigham, Utah, spiegano che la gentilezza contribuisce ad alimentare il nostro senso di appartenenza e di comunità, fattore molto importante nella conduzione di una più vita sana, più serena e più lunga.

Dare agli altri ci fa soffrire meno.

Un recente studio dell’Università di Princeton sul rapporto tra altruismo e dolore fisico ha rilevato come le persone in procinto di fare una donazione in denaro fossero meno sensibili a una scossa elettrica di coloro che invece si erano rifiutati di donare. Anzi, più le persone erano convinte che la loro donazione sarebbe stata utile, meno dolore provavano. Lo studio ha dimostrato che le regioni del cervello interessate dallo stimolo del dolore fossero in qualche modo “disattivate” dagli atti di altruismo.

La gentilezza porta alla felicità.

Uno studio britannico ha messo in relazione gli atti di gentilezza al grado di soddisfazione nella vita. I ricercatori inglesi hanno scoperto che l’essere gentili potrebbe aumentare la felicità personale in soli tre giorni. Per constatarlo hanno coinvolto 3 gruppi di volontari assegnando loro compiti diversi: il primo gruppo doveva compiere un’azione gentile ogni giorno, il secondo doveva impegnarsi in una nuova attività, il terzo non doveva fare nulla di diverso dalla propria routine. I risultati dell’esperimento dimostrano che coloro che erano stati gentili ogni giorno e quelli che avevano fatto qualcosa di nuovo erano diventati più felici. E quando si parla di atti di gentilezza valgono davvero tutti: anonimi o pubblici, spontanei o programmati, semplici come un complimento o aprire una porta a qualcuno.

Gentilezza: suggerimenti pratici.

Come praticare, in sintesi, la gentilezza? Per esempio, durante la guida, lasciando spazio all’auto che sta aspettando di immettersi nella nostra corsia. Oppure facendo un complimento sincero a un familiare, a un amico, a un collega. Si può esercitare gentilezza lasciando evaporare rancori e ostilità, perdonando chi ci ha fatto un torto (ammesso che questa scelta non peggiori le cose). Essere gentili significa anche ascoltare un amico che sta attraversando un brutto periodo, senza necessariamente dirgli cosa fare. A volte, basta semplicemente ascoltare per dimostrarsi vicini e gentili. Le opportunità di praticare gentilezza sono pressoché infinite. Fra queste, ultime ma non meno importanti, anche le azioni gentili nei confronti di sé stessi, qualunque cosa ciò significhi per noi.

Categorie
Notizie

Mal di testa: quale può essere la causa del dolore?

Un gruppo di scienziati di Farmacologia Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Cefalee dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha scoperto che il mal di testa ha sede nel sistema nervoso periferico. Tuttavia i risultati di questa ricerca, pubblicati su Nature Communications, evidenziano come i meccanismi all’origine del dolore periferico siano ancora poco chiari.

I numeri dell’emicrania.

Un miliardo e duecento milioni di persone nel mondo soffrono di emicrania, in particolare le donne dai 15 ai 50 anni. Il mal di testa frequente o cronico condiziona pesantemente la qualità della vita, sia a livello lavorativo che famigliare ed affettivo, al punto che per l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità è uno dei disturbi più disabilitanti in quella fascia di età.

Perché l’emicrania non colpisce il cervello.

La tesi più diffusa è sempre stata quella di ritenere che il mal di testa avesse origine nel sistema nervoso centrale. “A lungo si è creduto che l’origine dell’emicrania fosse da ricondurre al sistema nervoso centrale – spiega il responsabile scientifico dello studio Pierangelo Geppetti –. Questa convinzione è venuta meno con l’introduzione di farmaci come gli anticorpi monoclonali che, pur non intervenendo sul cervello, si sono rivelati molto efficaci nel bloccare il Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP) o il suo recettore. La sede del dolore dell’emicrania doveva essere ricercata altrove”.

Come agisce il mal di testa.

In base agli studi condotti dai ricercatori fiorentini il CGRP – catena di amminoacidi vasodilatatori e veicolo di trasmissione del dolore – agisce all’interno delle cellule di Schwann, ovvero di quello strato cellulare che ricopre e protegge le fibre nervose periferiche. Ed è qui che provocano quel dolore battente e prolungato tipico dell’emicrania, per poche ore o alcuni giorni.

Centri Cefalee ed efficacia delle cure.

Nei Centri Cefalee presenti in tutta Italia l’emicrania viene curata con anticorpi monoclonali anti-CGRP. Nonostante gli ottimi risultati assicurati da simili trattamenti, circa il 30% dei pazienti non ottiene i benefici sperati. Pertanto i ricercatori italiani, insieme a colleghi statunitensi e australiani, stanno studiando una nuova “nanomedicina” più potente di quelle utilizzate finora. Questo progetto apre nuove possibilità (e speranze) di cura a tutti quei pazienti che non rispondo alle cure per l’emicrania attualmente disponibili.