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Cannabis terapeutica: i contesti d’uso in ambito medico

La cannabis terapeutica è utilizzata in ambito medico per il suo ruolo nel trattamento di specifiche condizioni cliniche. I composti principali, Thc e Cbd, agiscono sul sistema endocannabinoide, coinvolto in processi fisiologici della modulazione del dolore e risposta infiammatoria. In Italia, l’utilizzo di derivati della cannabis è regolamentato e consentito per il dolore cronico resistente ai farmaci tradizionali, spasmi correlati a sclerosi multipla, nausea indotta da chemioterapia e altre condizioni patologiche. L’accesso a tali preparati avviene sotto stretto controllo medico, con prescrizioni che definiscono dosaggi, modalità e tempi di somministrazione.

Evidenze scientifiche e ambiti di applicazione documentati

La letteratura medico-scientifica ha esaminato l’efficacia della cannabis in diversi contesti. Ricerche internazionali hanno riportato risultati significativi nella gestione del dolore neuropatico e nella riduzione degli spasmi muscolari in pazienti con malattie neurologiche. Tuttavia, fattori come la modalità di assunzione – ad esempio, per via orale o inalatoria – incidono sulla biodisponibilità dei principi attivi. L’eterogeneità delle risposte individuali, dunque, richiede un approccio personalizzato, mentre la possibilità di effetti collaterali, tra cui sonnolenza o alterazioni dell’umore, impone un monitoraggio clinico continuo.

Quadro normativo e precauzioni per un utilizzo corretto.

L’impiego della cannabis a scopo terapeutico è disciplinato da leggi nazionali che ne limitano l’uso a casi specifici, previa valutazione medica. Il farmacista ha la sola funzione di garantire l’allestimento, l’aderenza alle indicazioni terapeutiche, con istruzioni precise sulla conservazione e sul consumo dei preparati. È opportuno precisare che questa opzione non rappresenta una sostituzione alle terapie convenzionali, ma può essere considerata come opzione complementare in scenari selezionati. La comunicazione tra medico, paziente e specialisti rimane essenziale per valutare rischi e opportunità, evitando iniziative prive di supervisione professionale. Le informazioni fornite non sostituiscono il consulto medico. In caso di sintomi persistenti o reazioni avverse, è necessario consultare immediatamente il proprio medico curante o uno specialista.

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“Digital detox”, come proteggere occhi e mente dall’affaticamento digitale

L’uso prolungato di dispositivi digitali nei nostri giorni è associato a problematiche fisiche e cognitive. L’esposizione alla luce blu degli schermi può affaticare e dare secchezza agli occhi, oltre a portare disturbi del sonno. Anche il sovraccarico di informazioni digitali influisce sulla concentrazione, a discapito di stress e ansia. Si tratta di fenomeni rendono che necessaria l’adozione di comportamenti mirati a preservare la salute visiva e mentale, privilegiando approcci privi di effetti collaterali.

Come limitare l’esposizione agli schermi

La riduzione del tempo trascorso davanti ai dispositivi elettronici è il primo passo per alleviare i sintomi. Fare pause regolari all’uso del computer o dello smartphone permette di interrompere l’accumulo di tensione oculare e mentale. La regola del 20-20-20, che prevede di distogliere lo sguardo ogni 20 minuti focalizzando un oggetto a 20 piedi (6 metri) per 20 secondi, è un esempio di tecnica semplice ma efficace. Anche l’attivazione di filtri per la luce blu e la regolazione della luminosità dello schermo adattano l’ambiente digitale alle esigenze fisiologiche.

Integrare rimedi naturali nella routine quotidiana

Alcune sostanze e pratiche naturali possono supportare il benessere: colliri a base di estratti vegetali, come camomilla o eufrasia, alleviano la secchezza oculare. Infusi di piante rilassanti, quali valeriana o passiflora, favoriscono il recupero psicofisico dopo l’uso intensivo di dispositivi. Anche l’esposizione alla luce naturale e attività all’aria aperta compensano gli squilibri legati alla vita digitale, stimolando la produzione di vitamina D e migliorando l’umore. I consigli presenti in questo articolo hanno scopo informativo e non sostituiscono il parere del medico curante o dello specialista. In caso di sintomi persistenti o aggravamento delle condizioni, è necessario consultare un professionista sanitario competente.

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Cosa è il “biohacking domestico” e quali strategie per il benessere quotidiano

Il “biohacking domestico” è un insieme di metodologie per migliorare il benessere con piccoli aggiustamenti delle abitudini quotidiane. L’obiettivo è agire su aspetti fisiologici, come il sonno o l’idratazione, per ottimizzare le risorse dell’organismo. L’approccio non richiede strumentazioni avanzate, ma si basa sull’osservazione consapevole delle proprie abitudini e sull’adozione graduale di comportamenti mirati. Un esempio è la regolazione degli orari di riposo, allineandoli ai cicli naturali di luce e buio, o l’introduzione di pause brevi durante la giornata per ridurre l’affaticamento mentale.

Ambiente domestico e regolazione dei ritmi circadiani

La qualità dell’ambiente influisce sul benessere fisico e cognitivo. Un primo intervento riguarda l’esposizione alla luce naturale: posizionare postazioni di lavoro vicino alle finestre può aiutare alla sincronizzazione del ritmo circadiano, migliorando la vigilanza durante il giorno. La sera, invece, è utile limitare l’uso di dispositivi a schermo luminoso, preferendo luci calde e soffuse. Anche la temperatura degli ambienti va moderata, mantenendola tra i 18°C e i 22°C per facilitare il rilassamento. Si tratta di accorgimenti che uniti a una costante idratazione e a brevi sessioni di stretching possono stabilizzare l’energia quotidiana.

Alimentazione e gestione dello stress

Privilegiare cibi non processati, ricchi di fibre e proteine magre, aiuta a mantenere stabili i livelli glicemici, evitando picchi di sonnolenza o irritabilità. È consigliabile distribuire i pasti in modo regolare, senza saltare la colazione, e limitare il consumo di sostanze eccitanti dopo le ore pomeridiane. Parallelamente, tecniche di respirazione diaframmatica o sessioni di pochi minuti dedicate alla meditazione possono attenuare gli effetti dello stress cronico, migliorando la capacità di recupero psicofisico. Il presente articolo fornisce suggerimenti generici. Il consiglio dei farmacisti non sostituisce il consulto medico: in caso di sintomi persistenti o patologie specifiche, è necessario rivolgersi al proprio curante o a uno specialista.

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Abbracci e carezze: il potere del contatto sul benessere quotidiano

Il contatto è un elemento centrale nelle relazioni interpersonali che ha anche delle ripercussioni sulla salute. Diverse ricerche hanno evidenziato come gesti semplici, un abbraccio o una carezza, attivino risposte fisiologiche misurabili come il rilascio di ossitocina, ormone associato alla sensazione di tranquillità, e la riduzione del cortisolo, legato allo stress. Meccanismi che aiutano a migliorare l’umore e a favorire uno stato di rilassamento, dimostrando che l’interazione corporea può avere effetti paragonabili a terapie non farmacologiche.

Meccanismi biologici alla base degli effetti positivi

Le reazioni chimiche scatenate dal contatto coinvolgono diversi sistemi dell’organismo: vengono stimolati serotonina e dopamina, neurotrasmettitori correlati alla regolazione del piacere e della motivazione. Si è osservata anche la modulazione dell’attività cardiovascolare, con possibile diminuzione della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco. I processi, uniti a una maggiore produzione di anticorpi, rafforzano le difese immunitarie, confermano il legame tra benessere emotivo e salute fisica.

Implicazioni pratiche nella vita di tutti i giorni

Praticare gesti di affetto ogni giorno migliora la qualità della vita. In contesti sociali, familiari o di coppia, il contatto rafforza i legami e crea un senso di appartenenza. In ambito sanitario, approcci come il massaggio o il sostegno empatico tramite il tatto trovano spazio come complementi a trattamenti tradizionali. È tuttavia essenziale rispettare le preferenze individuali, facendo in modo che ogni forma di interazione sia consensuale e appropriata al contesto. I consigli presenti nell’articolo non sostituiscono il parere del medico curante. In caso di malessere persistente o disturbi è necessario rivolgersi a professionisti sanitari qualificati per una valutazione personalizzata.

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Antibiotico-resistenza: l’impegno condiviso per contrastarla

La resistenza agli antimicrobici è tra le maggiori minacce per la salute, con un impatto in termini di vite umane e costi economici. Nella sola Europa, le infezioni correlate alla resistenza agli antimicrobici causano tra 33mila e 35mila decessi annuali, di cui circa un terzo riguarda l’Italia. Il fenomeno genera un costo annuo di 11,7 miliardi di euro nell’Unione europea, mentre nel contesto nazionale l’impatto economico supera i 2,4 miliardi. I dati, diffusi dall’Ecdc, hanno messo in luce l’urgenza di strategie integrate per ridurre la diffusione di batteri resistenti. In tale contesto, nel marzo 2025 Cittadinanzattiva ha presentato a Roma un Manifesto civico per favorire la collaborazione attiva tra istituzioni, professionisti sanitari e popolazione.

Strategie istituzionali e azioni collettive

Il documento propone interventi concreti per ottimizzare la risposta al fenomeno. Tra le priorità indicate, vi è l’implementazione del Piano nazionale di contrasto alla antibiotico-resistenza (Pncar), la cui efficacia dipende dall’utilizzo appropriato delle risorse stanziate e dal monitoraggio costante dei risultati. Altre misure vedono l’incentivazione alla ricerca di nuovi antibiotici, l’adozione di test diagnostici rapidi per ridurre prescrizioni inappropriate e la formazione specifica per gli operatori sanitari. Il Manifesto ha messo in luce l’importanza di regolamentare l’uso di antibiotici in agricoltura e negli allevamenti, in linea con l’approccio “One Health”, che considera interdipendenti la salute umana, animale e ambientale.

Il contributo delle associazioni civiche e dei pazienti

Le organizzazioni civiche e di pazienti sono chiamate a svolgere un ruolo attivo nella sensibilizzazione della popolazione. Attraverso campagne informative in collaborazione con Asl, farmacie e scuole, è possibile promuovere comportamenti responsabili, come l’aderenza terapeutica, la prevenzione delle infezioni e lo smaltimento corretto dei farmaci scaduti. All’interno delle strutture sanitarie, inoltre, le associazioni possono supportare attività di monitoraggio per raccogliere dati sulle infezioni ospedaliere, contribuendo a identificare criticità e soluzioni. La partecipazione civica, soprattutto delle fasce più vulnerabili, è considerata un elemento chiave per contenere la diffusione dell’Amr e garantire l’efficacia delle terapie future.

Cosa è l’antibiotico-resistenza e perché è importante

L’antibiotico-resistenza è un fenomeno naturale per cui i batteri sviluppano la capacità di sopravvivere all’azione dei farmaci progettati per eliminarli. Il processo, accelerato dall’uso eccessivo o scorretto degli antibiotici, riduce progressivamente l’efficacia delle terapie, rendendo le infezioni più difficili da curare. Quando i batteri diventano resistenti, infezioni comuni – ad esempio quelle urinarie o respiratorie – possono richiedere trattamenti più aggressivi, prolungare i tempi di guarigione o, in casi gravi, diventare incurabili. La diffusione del fenomeno è favorita da comportamenti come l’auto-prescrizione, l’interruzione precoce della terapia o l’uso di antibiotici per patologie virali, contro le quali questi farmaci sono inefficaci. È utile ricordare che il consiglio dei farmacisti non intende sostituire il consulto con i medici curanti. In caso di problematiche persistenti, è necessario rivolgersi al proprio medico di riferimento o a uno specialista.