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Infarto e morte cardiaca, da studio Usa prevenzione grazie ad intelligenza artificiale

Un nuovo studio sulla ricerca cardiovascolare ha scoperto che l’apprendimento automatico, i modelli e le inferenze che i computer usano per imparare a svolgere compiti possono essere allo stesso modo utilizzate per prevedere il rischio a lungo termine di infarto e morte cardiaca. Secondo quanto emerso, infatti, l’apprendimento automatico sembra essere migliore nel predire gli infarti e le morti cardiache rispetto alla valutazione standard del rischio clinico utilizzata dai cardiologi. I ricercatori hanno studiato alcuni soggetti sottoposti a punteggio del calcio dell’arteria coronarica con scansioni di tac cardiache disponibili e follow-up a lungo termine. I partecipanti qui erano soggetti asintomatici di mezza età, con fattori di rischio cardiovascolare, ma nessuna malattia coronarica nota.
Lo studio finale consisteva in 1.912 soggetti, quindici anni dopo il loro primo studio. Ebbene, 76 soggetti hanno presentato un evento di infarto del miocardio e / o morte cardiaca durante questo periodo di follow-up. I punteggi previsti per l’apprendimento automatico dei soggetti si allineavano accuratamente alla distribuzione effettiva degli eventi osservati. Il punteggio del rischio di malattia cardiovascolare aterosclerotica, la valutazione standard del rischio clinico utilizzata dai cardiologi, ha sovrastimato il rischio di eventi nelle categorie a rischio più elevato. L’apprendimento automatico no. Nell’analisi non corretta, un elevato rischio di apprendimento automatico previsto era significativamente associato a un rischio più elevato di evento cardiaco.

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Camminare o andare in bici al lavoro porta a un minor numero di attacchi di cuore

Come è noto, tra i grandi fattori di rischio per le malattie cardiache sono annoverati la mancanza di esercizio fisico, il sovrappeso, il fumo e il diabete. Un recente studio condotto dall’Università di Leeds e pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology, ha evidenziato come mantenersi attivi camminando o andando a lavoro in bici potrebbero fornire importanti benefici per la salute. Nel dettaglio, nelle aree inglesi in cui camminare o andare in bicicletta al lavoro erano più comuni, l’incidenza di attacchi di cuore è diminuita per uomini e donne nei due anni successivi. I ricercatori hanno scoperto che il pendolarismo attivo era collegato ad ulteriori benefici per la salute in alcuni casi. Per le donne che si sono recate al lavoro, l’anno successivo è stata associata una riduzione dell’1,7% degli attacchi di cuore. Per gli uomini che hanno pedalato per lavorare c’è stata anche una riduzione dell’1,7% degli attacchi di cuore l’anno successivo.
«Il nostro studio – spiega Alistair Brownlee, tra gli autori – mostra che l’esercizio fisico come mezzo per recarsi al lavoro è associato a livelli più bassi di infarto. I benefici di un regolare esercizio fisico sono numerosi e sosteniamo iniziative per aiutare tutti a diventare e rimanere attivi». «Anche se non possiamo affermare in modo definitivo che il viaggio attivo per lavorare riduce il rischio di infarto – afferma Chris Gale, autore principale -, lo studio è indicativo di tale relazione».

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Studio conferma: uso dei social fa aumentare la depressione

Erano il lontano anno 2000, i social non esistevano e per dirsi qualcosa bisognava farsi un colpo di telefono o incontrarsi di persona. Tempi che cambiano, tecnologia che innova e stravolge, ma anche conseguenze inaspettate a seguito del largo uso che si fa dei dispositivi. Esiti che spesso mettono a repentaglio il nostro stato di salute, che si tratti di quella fisica, ma soprattutto di quella mentale. E’ il caso dei risultati di uno studio pubblicato su una rivista statunitense, il Journal of Social and Clinical Psychology, che ha documentato con esattezza la correlazione tra uso smodato dei social ed impatto su solitudine e depressione.
La ricerca, condotta dall’università della Pennsylvania, ha individuato una relazione causale tra il tempo trascorso online sui social ed un calo del benessere. I ricercatori hanno messo sotto esame 143 studenti universitari, suddivisi in due gruppi, e monitorato il tempo trascorso sui social. In seguito, agli stessi partecipanti è stato presentato un questionario con domande su umore e benessere. Un primo gruppo, rispetto un secondo, doveva ridurre per tre settimane l’uso dei social a soli 10 minuti per ognuna delle tre principali piattaforme. Mentre, nel secondo gruppo, i partecipanti avrebbero potuto usare liberamente i social.
Ebbene, secondo quanto scoperto, «usare i social media meno del solito ha comportato una diminuzione significativa di depressione e solitudine. Questi effetti sono particolarmente pronunciati per le persone che erano più depresse quando sono entrate nello studio», spiega la psicologa Melissa G. Hunt, autrice della ricerca, secondo quanto riportato da Ansa. «Può sembrare strano – spiega Hunt – che usare meno i social faccia sentire meno soli, ma alcune pubblicazioni in materia evidenziano che c’è un forte confronto sociale: quando si guarda la vita delle altre persone, in particolare su Instagram, è facile concludere che la vita di tutti gli altri è più bella o migliore della propria».

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Malattie croniche, i litigi peggiorano i sintomi

“Mens sana in corpore sano”, dicevano i latini. Ma da oggi è vero anche il contrario: avere buone relazioni sociali (mens sana) influenza positivamente anche la salute e la forma fisica. È quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Behavioral Medicine, rilanciato da Ansa Salute.
Quante volte litighiamo o siamo in collera con il partner? Se in passato precedenti studi avevano dimostrato una relazione tra soddisfacimento a seguito del matrimonio e migliore salute, in questo è stato dimostrato il contrario. I ricercatori del Penn State Center for Healthy Aging hanno infatti dimostrato che un cattivo umore può avere ripercussioni fisiche, peggiorando sintomi di patologie croniche come l’artrite o il diabete.
Sono stati considerati i dati relativi a due gruppi di partecipanti, il primo di 145 persone affette da osteoartrite al ginocchio e rispettivi coniugi, il secondo di 129 persone affette da diabete di tipo 2 e rispettivi coniugi. In entrambe i casi i partecipanti hanno descritto per 22 e 24 giorni dettagliatamente i loro stati quotidiani di salute, tenendo un diario, compresi stati d’animo e condizioni di salute in generale.
Ebbene, il dato che è emerso è che in tutti e due i gruppi l’umore peggiore era associato ad una maggiore tensione con il partner, che di conseguenza portava un peggioramento dei sintomi e un maggior dolore. Nel caso dell’artrite non solo nel giorno stesso, ma anche nel giorno successivo.
I ricercatori hanno concluso quindi che avere un buon umore, a parità di problemi, e guardare oltre la malattia, porta un impatto positivo sullo stato di salute.

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Obesità e sviluppo del QI, studio evidenzia possibile correlazione

L’obesità di una madre in gravidanza può influenzare gli anni di sviluppo del suo bambino. È quanto scoperto da un team di ricercatori di nutrizione e salute ambientale presso l’Università del Texas ad Austin e la Columbia University. Nel dettaglio, i ricercatori hanno trovato abilità motorie compromesse nei bambini in età prescolare e QI inferiore nella mezza infanzia per i ragazzi le cui madri erano gravemente in sovrappeso in attesa di loro. Il gruppo di lavoro ha studiato 368 madri e i loro bambini, tutti provenienti da circostanze economiche e quartieri simili, durante la gravidanza e quando i bambini avevano 3 e 7 anni.
All’età di 3 anni, i ricercatori hanno misurato le capacità motorie dei bambini e hanno scoperto che l’obesità materna durante la gravidanza era fortemente associata a minori capacità motorie nei ragazzi. All’età di 7 anni gli studiosi hanno nuovamente analizzato i bambini e scoperto che i ragazzi le cui madri erano in sovrappeso o obese in gravidanza avevano punteggi di 5 o più punti in meno nei test del QI su larga scala, rispetto ai ragazzi le cui madri avevano avuto un peso normale. Non è chiaro il motivo per cui l’obesità in gravidanza potrebbe colpire un bambino in un secondo momento, anche se ricerche precedenti hanno trovato collegamenti tra la dieta di una madre e lo sviluppo cognitivo, come punteggi più alti di QI nei bambini le cui madri hanno più di alcuni acidi grassi trovati nei pesci.