Come è noto, la metformina è un principio attivo contenuto, da solo o in associazione, nei medicinali utilizzati per il controllo del diabete di tipo 2. È un farmaco che agisce con l’obiettivo di ridurre la produzione di glucosio nell’organismo, per mantenere sotto controllo i valori glicemici. Proprio in merito a questo farmaco, l’Agenzia europea dei medicinali, organismo preposto alla verifica che i farmaci commercializzati in Europa siano sicuri, ha reso noto del ritrovamento, «in un ristretto numero di medicinali antidiabetici a base di metformina al di fuori dell’Unione Europea», di alcune tracce di una sostanza, la N-nitrosodimetilammina (Ndma). Questa sostanza è classificata come «probabile cancerogeno per l’uomo», ovvero un agente che potrebbe causare il cancro, sulla base di studi condotti sugli animali. È naturalmente presente negli alimenti, come gli insaccati o altri cibi soggetti a conservazione, oltre che nell’acqua potabile. Nonostante ciò, non ci si aspetta che causi danni se ingerita in quantità molto basse.
In seguito al ritrovamento di tracce di Ndma all’interno di alcuni medicinali contenenti metformina, l’Agenzia europea dei medicinali ha tuttavia reso noto che i pazienti possono continuare «a prendere il suo medicinale a base di metformina per tenere sotto controllo il diabete». Inoltre, la stessa Ema ha avvisato che «interrompere il trattamento potrebbe determinare un mancato controllo del diabete» ed esporre i pazienti «a sintomi causati da elevati livelli di glucosio nel sangue come: sete, sonnolenza e visione annebbiata». Infine, che «le complicanze a lungo termine del diabete non controllato includono malattie del cuore, problemi ai nervi, danni renali, problemi agli occhi e danni ai piedi che possono portare ad amputazione». Per ulteriori dettagli su quanto evidenziato si possono reperire aggiornamenti puntuali sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco all’indirizzo www.aifa.gov.it. In alternativa, è possibile consultare il proprio medico curante o il farmacista di fiducia: entrambi potranno fornire chiarimenti su quanto evidenziato.
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Così come la plastica è presente in grandi quantità in parte degli oggetti presenti nelle abitazioni, dando luogo al rilascio nell’aria di micro e nano particelle, allo stesso modo, l’alluminio è molto diffuso per l’uso che se ne fa in cucina. Con l’obiettivo di ridurre l’esposizione a questo metallo, il cui eccesso nell’organismo può provocare una serie danni alla salute, il ministero della Salute ha predisposto una campagna informativa al fine di sensibilizzare sulla problematica. Nel dettaglio, il dicastero ha divulgato una serie di raccomandazioni da mettere in pratica nell’ambiente domestico, e, più in generale, in caso di utilizzo dell’alluminio in ambito alimentare. Primo suggerimento è quello di leggere sempre l’etichetta verificando che i contenitori utilizzati «siano idonei al contatto con gli alimenti», ciò seguendo le istruzioni per l’uso.
Seconda raccomandazione è di evitare il contatto dell’alluminio con alimenti fortemente acidi o molto salati. Tra questi, succo di limone, aceto, alici salate, capperi sotto sale, ed altri cibi che potrebbero erodere l’alluminio provocandone il passaggio dal contenitore all’alimento e dunque all’organismo. Il terzo consiglio riguarda la conservazione degli alimenti riposti in contenitori di alluminio: vanno stipati a contatto con l’alluminio al massimo per 24 ore. Oltre le 24 ore, è bene conservarli a temperatura di refrigerazione o di congelamento. Sempre riguardo le temperature di conservazione, il ministero evidenzia che è possibile «conservare a temperature ambiente, anche oltre le 24 ore, solo gli alimenti solidi secchi», come caffè, frutta secca, paste secche, pane, ed altri alimenti simili.
Un’altra tra le principali regole da seguire è di non riutilizzare i contenitori monouso. Poi, l’attenzione a non graffiare pentole, padelle e altri contenitori durante il loro utilizzo. Quanto al lavaggio delle stoviglie in alluminio, il ministero ricorda in proposito che non vanno pulite con prodotti abrasivi. Seguendo questi suggerimenti è possibile ridurre l’esposizione all’alluminio ed evitare che il metallo si accumuli nell’organismo.
Ciò che una donna mangia e come si prende cura della sua salute del cuore durante la gravidanza può influenzare la salute cardiovascolare generale del bambino e il peso corporeo anni dopo. È quanto scientificamente dimostrato da due studi presentati dall’American Heart Association’s Scientific a Filadelfia. Più nel dettaglio, gli studi hanno identificato i fattori di salute e nutrizione durante la gravidanza che possono essere collegati alla salute di un bambino mentre maturano, evidenziando l’impatto a lungo termine delle decisioni sullo stile di vita e sulla nutrizione durante la gravidanza. I bambini di età compresa tra 10 e 14 anni hanno maggiori probabilità di avere una buona salute cardiovascolare se le loro madri avevano una buona salute del cuore durante la gravidanza.
Dopo aver predisposto dei questionari con un relativo punteggio, è emerso che le madri che hanno avuto i più alti punteggi di salute cardiovascolare durante la gravidanza hanno avuto bambini con il cuore più sano come interpolazioni e adolescenti. Le madri con i punteggi più bassi di salute del cuore durante la gravidanza hanno avuto bambini con punteggi cardiovascolari significativamente più bassi da 10 a 14 anni. «Siamo rimasti sorpresi da quanto fosse forte questa relazione», ha affermato Amanda M. Perak, autrice principale dello studio e professore di pediatria e medicina preventiva presso la Northwestern University. «I nostri risultati – conclude Perak – suggeriscono che la salute cardiovascolare della madre durante la gravidanza influisce sull’ambiente in utero in un modo che può programmare la salute cardiovascolare del bambino a lungo termine».
La salute di coloro che manifestano malattie cardiovascolari è messa in stretta correlazione con la qualità del sonno e lo stato socio-economico. È quanto afferma un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Cardiovascular Research, edita dalla Società europea di cardiologia (Sec). Nello specifico, gli studiosi hanno evidenziato che un sonno insufficiente è uno dei motivi per cui i gruppi svantaggiati hanno più malattie cardiache. Tale condizione invalidante può colpire le persone con uno stato socioeconomico inferiore. Queste infatti dormono meno per una serie di ragioni: possono fare diversi lavori, lavorare a turni, vivere in ambienti rumorosi e avere livelli più elevati di stress emotivo e finanziario.
Lo studio raggruppa i dati di otto coorti per un totale di 111.205 partecipanti provenienti da quattro paesi europei. Lo stato socioeconomico era classificato come basso, medio o alto in base all’occupazione del padre e all’occupazione personale. L’anamnesi di malattia coronarica e ictus è stata ottenuta dalla valutazione clinica, dalla cartella clinica e dall’auto-rapporto. La durata media del sonno è stata auto-segnalata e classificata come sonno normale o raccomandato (da 6 a 8,5), sonno breve (6) e sonno lungo (oltre 8,5) ore a notte. Ebbene, al termine dello studio, è emerso che il breve sonno ha spiegato il 13,4% del legame tra occupazione e malattia coronarica negli uomini.
In occasione della Settimana mondiale della consapevolezza antibiotica, dal 18 al 24 novembre 2019, l’Agenzia italiana del farmaco, ente di controllo per la sicurezza dei farmaci, ha pubblicato il rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia” contenente i dati di consumo degli antibiotici in Italia. Come è noto, tali classi di medicinali sono particolarmente importanti perché il loro maggior uso contribuisce negativamente al fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Nello specifico, una forma di difesa messa in atto da parte dei microrganismi che col tempo rendono inutilizzabile gli antibiotici, mettendo a serio rischio la salute di adulti e bambini. Secondo quanto evidenziato nel rapporto, sebbene vi sia una maggiore consapevolezza per l’uso ed un’assunzione più attenta di tali medicinali, vi sono ad oggi alcune Regioni d’Italia a maggior consumo. Tra queste, Puglia e Calabria.
Tra i farmaci più usati le pennicilline, che «hanno rappresentato la classe a maggior prevalenza d’uso, seguite dai macrolidi e dalle cefalosporine, antibiotici considerati di seconda scelta secondo le linee guida per il trattamento delle infezioni pediatriche più comuni». In merito all’uso, l’Aifa evidenzia che «nelle regioni del Sud si è riscontrato un minor utilizzo dell’amoxicillina rispetto all’associazione amoxicillina/acido clavulanico, raccomandata nella popolazione pediatrica solo nei casi severi/complicati e recidivanti delle infezioni più frequenti (es. otiti)». Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, assumere antibiotici senza la prescrizione del medico mette a rischio la propria saluta soprattutto nei casi in cui tali farmaci non abbiano più effetto per trattare infezioni sostenute da batteri sensibili. Per questo motivo, è sempre bene far riferimento al proprio medico curante, allo specialista, o al farmacista di fiducia, per chiedere informazioni utili alla problematica in atto o a tali tipi di farmaci.