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Prodotti a base di curcuma ed epatite, il ministero: «Cause dovute da suscettibilità individuale»

«A seguito delle indagini condotte sui casi di epatite colestatica segnalati dopo l’assunzione di integratori alimentari contenenti estratti e preparati di Curcuma longa, e, in un caso, dopo il consumo di Curcuma in polvere, il gruppo interdisciplinare di esperti appositamente costituito e la sezione dietetica e nutrizione del comitato tecnico per la nutrizione e la sanità animale hanno concluso che, ad oggi, le cause sono verosimilmente da ricondurre a particolari condizioni di suscettibilità individuale, di alterazioni preesistenti, anche latenti, della funzione epato-biliare o anche alla concomitante assunzione di farmaci». È quanto comunica una nota diramata lo scorso 26 luglio dal ministero della Salute, in merito ad una serie di casi di epatite colestatica acuta che ha riguardato circa 21 pazienti che hanno somministrato prodotti a base di curcuma.
«Gli eventi segnalati – evidenzia il ministero – hanno coinvolto preparati ed estratti di curcuma diversi tra di loro e si sono verificati dopo l’assunzione di dosi molto variabili di curcumina, anche se nella maggior parte dei casi il titolo di tale sostanza era elevato e spesso associato ad altri ingredienti volti ad aumentarne l’assorbimento». Dunque, il dicastero spiega che «le analisi effettuate sui campioni dei prodotti correlati ai casi di epatite hanno escluso la presenza di contaminanti o di sostanze volontariamente aggiunte quali possibili cause del danno epatico». In aggiunta a ciò, il ministero sottolinea che «dall’esame dei dati della letteratura scientifica e dalle informazioni fornite dagli altri Stati membri, sono emerse segnalazioni di casi di epatiti acute ad impronta colestatica correlati all’uso di estratti di curcuma anche in altri Paesi».
Per prevenire recidive legate ad un uso di curcuma in particolari condizioni, il ministero della Salute chiederà ai produttori di inserire sulle confezioni delle specifiche avvertenze al fine di avvisare preventivamente la possibile insorgenza di tale problematica. In ogni caso, prima di assumere qualsiasi prodotto, che sia naturale o un farmaco, è bene chiedere il parere al medico curante o al proprio farmacista di fiducia.

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Camminare lentamente può essere un segno di futuri problemi di mobilità

Essere in grado di camminare per strada a un ritmo piacevole gioca un ruolo importante nel vivere una vita vibrante e sana. Camminare per brevi distanze consente di svolgere l’attività fisica di cui si ha bisogno, vivere in modo indipendente, fare acquisti, accedere all’assistenza sanitaria e avere contatti sociali. Essere in grado di camminare anche a bassa velocità è essenziale per tutti questi benefici. Tuttavia, camminare troppo lentamente può prefigurare futuri problemi che potrebbero impedire di essere completamente in movimento. È quanto hanno evidenziato diversi ricercatori nello studio denominato Health Aging and Body Composition (Health ABC), pubblicato sulla rivista scientifica Journal of American Geriatrics Society.
Nella ricerca, gli esperti hanno valutato i modi per misurare le complesse attività di camminata per saperne di più sui cambiamenti precoci e sottili della camminata. Nello specifico,  hanno esaminato se le prestazioni su complesse attività di camminata che coinvolgono sfide sia fisiche che mentali prevedevano un rischio maggiore per l’incapacità di camminare per 400 metri. I ricercatori sospettavano che queste complesse attività di deambulazione fossero più fortemente legate al rischio di problemi di mobilità rispetto alla semplice deambulazione.
Ebbene, al termine dello studio, i ricercatori hanno stabilito che la bassa velocità di deambulazione in condizioni sia normali sia complesse era associata a un rischio maggiore di sviluppare disabilità motoria nei successivi otto anni. Inoltre, hanno anche concluso che misurare la semplice velocità di camminata potrebbe essere sufficiente per capire se potresti essere a rischio di futuri problemi di mobilità.

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Telefoni cellulari, quali sono le buone abitudini per usarli?

«Effettuare telefonate preferibilmente in condizioni di buona ricezione del segnale e in zone ad alta copertura dalle reti di telefonia mobile», «utilizzare sistemi a “mani libere” (auricolari e sistemi viva-voce)» e «ridurre le telefonate non necessarie». Sono tre, dei dieci consigli, divulgati dal ministero della Salute in una campagna informativa partita il 19 luglio 2019, relativa al corretto uso del telefono cellulare. In aggiunta ai primi, il ministero evidenzia di «utilizzare messaggi di testo» e «limitare alle situazioni di effettiva necessità l’uso del telefono in auto e durante la guida, anche ove si utilizzino sistemi in viva voce e a mani libere. È dimostrato che l’uso telefono cellulare durante la guida di veicoli aumenta il rischio di incidenti stradali, diminuendo la capacità di attenzione del conducente».
Dunque, «incoraggiare i bambini e i ragazzi alle corrette misure di riduzione dei livelli di esposizione e all’utilizzo dell’auricolare», «non fare uso di dispositivi commerciali pubblicizzati come in grado di ridurre i livelli di esposizione del telefono, la cui efficacia non è in realtà mai stata dimostrata ed anzi possono sortire l’effetto contrario», «non tenere il cellulare acceso negli ospedali (attenersi alla segnaletica), o dove sono presenti apparecchiature elettromedicali», «per i portatori di pace-maker o di altri dispositivi medici attivi, non mantenere il telefono in prossimità o a contatto con l’impianto (ad esempio nel taschino della giacca sul lato dell’impianto stesso) così da prevenire eventuali interferenze sul corretto funzionamento del dispositivo», e, ultimo, ma non meno importante, «prestare particolare attenzione all’uso del telefono in strada, soprattutto in relazione alla lettura e scrittura di messaggi di testo. L’uso in strada del telefono può comportare una forte diminuzione del livello di attenzione verso l’ambiente esterno e concorrere al verificarsi di incidenti e investimenti, con conseguenze potenzialmente molto gravi».

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«Il tuo cellulare è intelligente usalo con intelligenza», al via campagna del ministero della Salute

Il cellulare, o lo smartphone, è diventato nel corso degli ultimi anni il compagno fidato di milioni di italiani. Secondo il primo rapporto Rapporto Auditel-Censis, infatti, «una persona, uno smartphone è la metrica ormai imperante in tutte le famiglie italiane. Per la gran parte lo smartphone è il canale più importante per la connessione sempre, comunque, ovunque. Infatti: il 97,2% dei 18-34enni, l’85,8% dei 35-64enni ed il 27,8% degli anziani dispone di uno smartphone connesso al web». Ne consegue che, a qualsiasi ora del giorno, si interagisce continuamente con lo strumento sempre più digitale, ovvero un dispositivo che spesso non viene usato per chiamare ma per restare in contatto con le differenti modalità.
A proposito dell’uso continuato, a parte i risvolti psicologici che ne conseguono, vale a dire la dipendenza da smartphone, esistono anche possibili conseguenze derinvanti all’esposizione ai campi elettromagnetici. Per questo motivo, il ministero della Salute, in esecuzione della sentenza 500/2019 del Tar Lazio, ha disposto l’attuazione di «una campagna informativa avente ad oggetto l’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi». I messaggi veicolati della campagna sono diversi. Prima di tutto l’esposizione alle onde elettromagnetiche da cellulare e cordless. Il ministero ha divulgato «consigli utili per ridurre l’esposizione, il punto sulla ricerca, i requisiti di sicurezza degli apparecchi e delle stazioni radio». In seguito, le «interferenze delle onde elettromagnetiche sui dispositivi medici: cosa sapere se porti un pacemaker». In aggiunta a ciò, «rischi della distrazione in strada: consigli utili per non distrarsi alla guida o mentre si cammina, cosa prevede il codice della strada, dati e informazioni sugli incidenti da distrazione», ed infine «rispetto dell’ambiente: le indicazioni per smaltire correttamente il vecchio cellulare anche presso i punti vendita».

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Dieta paleolitica, studio: «Aumento biomarcatori rischio malattie cardiache»

Le persone che seguono la dieta paleolitica (paleodieta) hanno il doppio della quantità di un importante biomarcatore del sangue collegato strettamente alle malattie cardiache. È quanto rilevato dal primo studio al mondo che esamina l’impatto della dieta sui batteri intestinali. La ricerca dal nome «Long-term Paleolithic diet is associated with lower resistant starch intake, different gut microbiota composition and increased serum TMAO concentrations», è stata pubblicata sulla rivisita scientifica «European Journal of Nutrition», edita dalla casa editrice Springer. Secondo quanto riferito dallo stesso giornale, i ricercatori della Edith Cowan University (Eco) hanno confrontato 44 persone sulla dieta con 47 seguendo una dieta tradizionale australiana. La ricerca ha misurato la quantità di trimetilammina-n-ossido (Tmao) nel sangue dei partecipanti. Alti livelli di Tmao, composto organico prodotto nell’intestino, sono associati ad un aumentato rischio di malattie cardiache.

Come è noto, la dieta Paleo prevede un regime costituito da carne, verdure, frutta secca e frutta limitata ed esclude cereali, legumi, latticini, sale, zucchero raffinato e oli lavorati. Secondo quanto evidenziato da Angela Genoni, principale ricercatrice dello studio, «con la crescente popolarità della dieta, era importante capire l’impatto che potrebbe avere sulla salute generale». In tal senso, «molti sostenitori della dieta paleo sostengono che la dieta è benefica per la salute dell’intestino, ma questa ricerca suggerisce che quando si tratta della produzione di Tmao nell’intestino, la dieta Paleo potrebbe avere un impatto negativo in termini di salute del cuore».  Nello specifico, Genoni sottolinea che «abbiamo anche scoperto che le popolazioni di specie batteriche benefiche erano inferiori nei gruppi paleolitici, associati all’assunzione ridotta di carboidrati, che può avere conseguenze per altre malattie croniche a lungo termine». Documentando dunque la ragione per cui la Tmao fosse così elevata, riconducendo il tutto ad una mancanza di cereali integrali nella dieta.

«Abbiamo scoperto – spiega la ricercatrice – che la mancanza di cereali integrali era associata ai livelli di tmao, che possono fornire un collegamento tra il ridotto rischio di malattie cardiovascolari che vediamo in popolazioni che somministrano alte quantità di cereali integrali». In aggiunta a ciò, «la dieta Paleo – prosegue Genoni – esclude tutti i cereali e sappiamo che i cereali integrali sono una fantastica fonte di amido resistente e molte altre fibre fermentabili che sono vitali per la salute del tuo microbioma intestinale». «Poiché il Tmao è prodotto nell’intestino, la mancanza di cereali integrali potrebbe modificare le popolazioni di batteri in misura sufficiente a consentire una maggiore produzione di questo composto». Dunque, la preoccupazione dei ricercatori: «La dieta Paleo include più porzioni al giorno di carne rossa, che fornisce i composti precursori per produrre Tmao, e seguaci Paleo consumato il doppio del livello raccomandato di grassi saturi, che è motivo di preoccupazione».