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Diabete e parodontite: che relazione c’è?

Diabete e parodontite sono malattie fra loro collegate? Chi è affetto da una delle due può verosimilmente sviluppare l’altra? Il diabete è una malattia che provoca un aumento di glicemia (ovvero dei livelli di zucchero) nel sangue. Spesso è chiamato “diabete mellito” (dal latino mellitus: “dolce come il miele”) poiché le urine di un paziente diabetico “si addolciscono” a causa dell’eccesso di zuccheri nel sangue ed eliminati dai reni. La parodontite è un’infiammazione del parodonto, il sistema di supporto dentale che mantiene le radici dei denti ancorate alle ossa mascellari. A lungo andare la parodontite, se non curata in tempo, può portare alla perdita dei denti.

L’associazione tra diabete e parodontite. Da anni il rapporto tra diabete e parodontite è oggetto di studi che dimostrano come il diabete si associ a un aumento dei casi di parodontite nei soggetti diabetici. Si stima che il rischio di sviluppare la malattia parodontale nei pazienti diabetici sia pari al doppio o al triplo di quello di una persona non diabetica. In un soggetto diabetico l’iperglicemia e alterazioni del metabolismo accrescono non soltanto il rischio di insorgenza ma anche la gravità di una parodontite, nonché peggiori risultati clinici nella sua cura. Ulteriori studi sul tema sembrano indicare che l’associazione tra diabete e parodontite sia bidirezionale (chi sviluppa la parodontite è più probabile che diventi diabetico e vicevera). L’infiammazione del parodonto aumenterebbe il carico infiammatorio globale dell’organismo e quindi, nel corso del tempo, una progressiva resistenza all’insulina. Ciò significa che chi soffre di parodontite ha una maggiore probabilità (o tendenza) ad ammalarsi di diabete rispetto a chi non ne è affetto.

Prevenire il diabete dal dentista.

Il dentista di fiducia che diagnostica la parodontite è in grado, dialogando con il paziente, di rilevare segnali e sintomi di un sospetto diabete (ad esempio: polidipsia, poliuria, calo ponderale ed astenia, infezioni genito-urinarie ricorrenti). A quel punto gli consiglierà alcuni esami del sangue e una visita dal dabietologo. Il ruolo del dentista è quindi molto importante sia per una diagnosi precoce della malattia diabetica sia per un processo di cura più articolato e mirato nei pazienti diabetici-parodontici. La terapia parodontale antinfiammatoria contribuisce infatti a mantenere i livelli di glicemia sotto controllo, inserendosi di fatto nel percorso curativo di un paziente affetto da diabete mellito. Viceversa, anche un diabetologo può individuare una sintomatologia parodontica nei propri pazienti, come ad esempio sanguinamento delle gengive, alterazione del senso del gusto, ringofiamento gengivale, instabilità di alcuni denti, ecc. In tali casi indirizzerà il paziente diabetico dall’odontoiatra per una visita più approfondita.

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La gentilezza fa bene alla salute

L’essere altruisti, mettere il benessere degli altri davanti al proprio senza aspettarsi nulla in cambio, gratifica le persone perché stimola i centri di ricompensa del cervello. Chi fa volontariato, per esempio, “compensa” i propri livelli di stress e migliora eventuali stati depressivi, secondo un recente studio dell’Università del Michigan, USA.

Chi è gentile vive più a lungo.

Fare qualcosa per gli altri, l’essere solidali, aiutare il prossimo può perfino ridurre il rischio di deterioramento cognitivo e aiutarci a vivere più a lungo. Perché? Gli esperti statunitensi dell’Università di Brigham, Utah, spiegano che la gentilezza contribuisce ad alimentare il nostro senso di appartenenza e di comunità, fattore molto importante nella conduzione di una più vita sana, più serena e più lunga.

Dare agli altri ci fa soffrire meno.

Un recente studio dell’Università di Princeton sul rapporto tra altruismo e dolore fisico ha rilevato come le persone in procinto di fare una donazione in denaro fossero meno sensibili a una scossa elettrica di coloro che invece si erano rifiutati di donare. Anzi, più le persone erano convinte che la loro donazione sarebbe stata utile, meno dolore provavano. Lo studio ha dimostrato che le regioni del cervello interessate dallo stimolo del dolore fossero in qualche modo “disattivate” dagli atti di altruismo.

La gentilezza porta alla felicità.

Uno studio britannico ha messo in relazione gli atti di gentilezza al grado di soddisfazione nella vita. I ricercatori inglesi hanno scoperto che l’essere gentili potrebbe aumentare la felicità personale in soli tre giorni. Per constatarlo hanno coinvolto 3 gruppi di volontari assegnando loro compiti diversi: il primo gruppo doveva compiere un’azione gentile ogni giorno, il secondo doveva impegnarsi in una nuova attività, il terzo non doveva fare nulla di diverso dalla propria routine. I risultati dell’esperimento dimostrano che coloro che erano stati gentili ogni giorno e quelli che avevano fatto qualcosa di nuovo erano diventati più felici. E quando si parla di atti di gentilezza valgono davvero tutti: anonimi o pubblici, spontanei o programmati, semplici come un complimento o aprire una porta a qualcuno.

Gentilezza: suggerimenti pratici.

Come praticare, in sintesi, la gentilezza? Per esempio, durante la guida, lasciando spazio all’auto che sta aspettando di immettersi nella nostra corsia. Oppure facendo un complimento sincero a un familiare, a un amico, a un collega. Si può esercitare gentilezza lasciando evaporare rancori e ostilità, perdonando chi ci ha fatto un torto (ammesso che questa scelta non peggiori le cose). Essere gentili significa anche ascoltare un amico che sta attraversando un brutto periodo, senza necessariamente dirgli cosa fare. A volte, basta semplicemente ascoltare per dimostrarsi vicini e gentili. Le opportunità di praticare gentilezza sono pressoché infinite. Fra queste, ultime ma non meno importanti, anche le azioni gentili nei confronti di sé stessi, qualunque cosa ciò significhi per noi.

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Mal di testa: quale può essere la causa del dolore?

Un gruppo di scienziati di Farmacologia Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Cefalee dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha scoperto che il mal di testa ha sede nel sistema nervoso periferico. Tuttavia i risultati di questa ricerca, pubblicati su Nature Communications, evidenziano come i meccanismi all’origine del dolore periferico siano ancora poco chiari.

I numeri dell’emicrania.

Un miliardo e duecento milioni di persone nel mondo soffrono di emicrania, in particolare le donne dai 15 ai 50 anni. Il mal di testa frequente o cronico condiziona pesantemente la qualità della vita, sia a livello lavorativo che famigliare ed affettivo, al punto che per l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità è uno dei disturbi più disabilitanti in quella fascia di età.

Perché l’emicrania non colpisce il cervello.

La tesi più diffusa è sempre stata quella di ritenere che il mal di testa avesse origine nel sistema nervoso centrale. “A lungo si è creduto che l’origine dell’emicrania fosse da ricondurre al sistema nervoso centrale – spiega il responsabile scientifico dello studio Pierangelo Geppetti –. Questa convinzione è venuta meno con l’introduzione di farmaci come gli anticorpi monoclonali che, pur non intervenendo sul cervello, si sono rivelati molto efficaci nel bloccare il Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP) o il suo recettore. La sede del dolore dell’emicrania doveva essere ricercata altrove”.

Come agisce il mal di testa.

In base agli studi condotti dai ricercatori fiorentini il CGRP – catena di amminoacidi vasodilatatori e veicolo di trasmissione del dolore – agisce all’interno delle cellule di Schwann, ovvero di quello strato cellulare che ricopre e protegge le fibre nervose periferiche. Ed è qui che provocano quel dolore battente e prolungato tipico dell’emicrania, per poche ore o alcuni giorni.

Centri Cefalee ed efficacia delle cure.

Nei Centri Cefalee presenti in tutta Italia l’emicrania viene curata con anticorpi monoclonali anti-CGRP. Nonostante gli ottimi risultati assicurati da simili trattamenti, circa il 30% dei pazienti non ottiene i benefici sperati. Pertanto i ricercatori italiani, insieme a colleghi statunitensi e australiani, stanno studiando una nuova “nanomedicina” più potente di quelle utilizzate finora. Questo progetto apre nuove possibilità (e speranze) di cura a tutti quei pazienti che non rispondo alle cure per l’emicrania attualmente disponibili.

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Piante d’appartamento e benessere mentale

Ricercatori dell’Università di Reading e della Royal Horticultural Society hanno scoperto che piante da interno trascurate, malate o morenti possono avere effetti peggiori sulla salute mentale che il non avere affatto piante in casa. Lo studio, pubblicato sulla rivista Building and Environment, ha verificato l’effetto di 12 piante d’appartamento sul benessere mentale di 502 adulti nel Regno Unito.

Piante d’appartamento e benessere mentale.

Questo studio ha scoperto che le persone si sentivano più sollevate e rilassate intorno a piante che percepivano belle e interessanti. Ad esempio, il Ficus Benjamin, la Calathea e la Monstera Deliciosa sono quelle che hanno riscontrato il maggiore successo, ovvero quelle che hanno avuto gli effetti più positivi sulla psiche dei partecipanti. Le piante dal fogliame palmato ricordavano le vacanze e i momenti felici trascorsi durante le ferie dal lavoro. Quelle con fogliame più morbido e rigoglioso erano considerate esteticamente più belle. Al contrario, le piante malate o trascurate hanno influito negativamente sulla percezione dell’ambiente domestico o di lavoro.

Piante d’appartamento ed estetica.

“La nostra ricerca ha dimostrato che quando si scelgono le piante d’appartamento l’aspetto è importante”, ha affermato Jenny Berger, ricercatrice presso l’Università di Reading e autrice principale dello studio. “Le piante che le persone trovano attraenti e interessanti probabilmente stimoleranno positivamente la loro mente mentre le piante verdi e rigogliose doneranno una preziosa nota di benessere all’ambiente circostante. Per mantenere le piante attraenti e in salute, bisogna scegliere quelle più facilmente gestibili in base al proprio stile di vita e alla propria quotidianità”.

Piante da interno e riduzione dello stress.

Secondo quanto raccolto dai ricercatori inglesi, una pianta di palma trascurata ha fatto sentire i partecipanti significativamente più stressati rispetto a tutte le altre piante. Inoltre, alcuni partecipanti dimostravano segnali d’ansia in presenza di piante dalle foglie danneggiate, poiché le associavano ad insetti, parassiti o altri animali in qualche modo pericolosi e minacciosi anche per se stessi. “Questo studio aggiunge peso all’importante ruolo che le piante d’appartamento possono svolgere nel migliorare la salute mentale e il benessere offerto da un ambiente interno (casa, ufficio,…). Non tutti hanno un giardino, ma la maggior parte di noi può trovare spazio per una pianta d’appartamento”, ha affermato la dott.ssa Tijana Blanusa, scienziata in orticoltura presso la RHS.

Come scegliere le piante d’appartamento.

Quando si tratta di scegliere una pianta da interno, gli esperti raccomandano di scegliere piante che richiedono poca acqua per sopravvivere, come le Zamioculcas_. _In alternativa, si può investire in un contenitore autoirrigante per piante particolarmente assetate come i gigli della pace (Spathiphyllum), in modo da assicurare loro buone condizioni di salute. Altre piante a bassa manutenzione per la casa e l’ufficio includono la lingua della suocera (Sanseveria), una delle piante d’appartamento più forti e facili da gestire (quindi più difficili da trascurare e, in definitiva, da uccidere). La pianta ragno (Clorofito o Clorophytum_)_ è un’altra scelta indicata per gli ambienti interni poiché cresce meglio se esposta indirettamente alla luce, sebbene richieda un’irrigazione regolare.

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Controllo del peso, le strategie per compensare gli eccessi delle Feste

Natale è alle porte e la tradizione impone tavole imbandite a non finire. Trattenersi è quasi impossibile, considerato il clima di festa, la convivialità e le pietanze ricercate che non si mangiano ogni giorno. Per non rovinare un momento gioviale con le preoccupazioni alimentari, è bene elaborare qualche strategia prima di iniziare le feste, così da arrivare preparati per godersi i pranzi e le cene in allegria, senza pentirsi troppo dopo. Le regole fondamentali sono tre: conoscere quello che c’è in tavola, alternare i pasti ricchi con quelli più leggeri e, naturalmente, fare un po’ di movimento tra un pasto e l’altro. Alla fine delle feste, poi, è sempre utile una dieta disintossicante.

Mangiare consapevolmente.

Darsi delle limitazioni in vista dei pasti natalizi non significa stare a dieta. Bisogna solo godersi le portate più sfiziose, rinunciando per esempio ad accompagnarle con grandi quantità di pane o fiumi di alcolici, che contribuiscono da soli a innalzare non poco il conteggio finale delle calorie di un pasto. Altra regola fondamentale è quella di assaggiare tutto, ma in quantità moderata. Solitamente le portate delle feste sono numerose e non ha senso fare il bis di antipasti, sapendo che seguiranno molti altri piatti. Se poi siamo in grado di fare qualche distinzione anche tra le pietanze, evitando quelle troppo ricche a favore di quelle più light, riusciremo senza dubbio ad alzarci da tavola ragionevolmente sazi ma non troppo appesantiti.

Più attenzione tra un pasto e l’altro.

Se proprio non si riesce a trattenersi durante i pasti delle feste, è molto importante impegnarsi a mangiare in modo sano, depurativo e moderato nei giorni che intervallano i pranzi e le cene più importanti. In tal modo si andranno a smaltire gli eccessi senza aggiungere ulteriori calorie. È inoltre sempre raccomandato fare movimento ogni giorno. Passeggiare, correre, fare esercizi o, vista la stagione, sciare per chi ama questo sport e si trova vicino alle piste. Ogni forma di attività contribuisce non solo ad aiutare le lente digestioni dei pasti abbondanti ma anche a bruciare i grassi accumulati, velocizzando il metabolismo anche a favore dei pasti delle feste successive.

Disintossicarsi dopo le Feste.

Quando si riprende la routine quotidiana è utile fare qualche giorno di dieta disintossicante. Mai però compensare le abbuffate con digiuni o diete drastiche. Come spiega la dottoressa Chiara Boscaro, biologa nutrizionista all’Istituto Clinico San Siro, agli Istituti Clinici Zucchi di Monza e alla Smart Clinic di Cesano Boscone (Mi) – saltare i pasti, per compensare il fatto di aver esagerato con le calorie durante le Feste, comporta il rischio di un aumento della fame e di un rallentamento del metabolismo, che va in modalità risparmio energetico. I pasti vanno consumati tutti, a partire dalla prima colazione, importante perché fornisce almeno il 20% delle calorie giornaliere. Non dimentichiamo gli spuntini da consumare poco e spesso nell’arco della giornata come, ad esempio qualche galletta di riso integrale, frutta fresca, yogurt magro, verdura cruda, frutta secca». Tra gli alimenti da preferite per i pasti principali, la dottoressa Boscaro suggerisce pesce azzurro, legumi, frutta e verdura di stagione, alimenti ricchi di potassio come legumi, frutta secca, patate, banane; avocado, in grado di fronteggiare la ritenzione idrica; uova, da consumare 1-2 volte a settimana per il contenuto di vitamina B12. Tassativo poi bere due litri di acqua al giorno.