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Gli italiani sono attenti alla salute?

Solo 1 italiano su 3 fa visite mediche regolari. Questo è il primo dato lampante che emerge da un recente studio condotto da UniSalute insieme all’Istituto di Ricerca Nomisma per sondare se gli italiani facciano o meno visite mediche regolari di routine e specialistiche. Secondo questa ricerca, il 46% degli italiani dichiara di rimandare le visite quando ha un problema trascurabile, mentre il 48% inizia a curarsi quando ha un disturbo o una malattia. Negli ultimi due anni, coincidenti con lo scoppio della pandemia da COVID-19, sono stati rimandati il 49% degli esami di prevenzione. Gli esami del sangue sono stati rimandati nel 24% dei casi. Sono stati ridotti anche esami di base come visite dermatologiche e controlli cardiologici. Nel corso del biennio 2020-2022 il 38% degli italiani ha limitato qualsiasi tipo di visita medica di base o specialistica.

Gli esami più annullati o rinviati.

Fra il 2020 e il 2022 gli esami medici più annullati o rinviati sono stati: le analisi del sangue (24%), visite dermatologiche (17%), esami cardiologici (14%). 13 italiani su cento hanno dichiarato che preferiscono sottrarsi il più possibile a qualsiasi visita medica. Una delle più classiche visite mediche di base come il controllo periodico dei nei non è mai stata fatta dal 54% degli italiani. La pandemia ha senza dubbio inciso sulle scelte degli italiani, comprese quelle relative alla cura della propria salute. Dal 2020 ad oggi è stato annullato un controllo su 5, mentre 1 su 3 è stato rinviato. Quindi, in sintesi, una visita su due è stata cancellata o rimandata.

Pandemia e visite di controllo.

Ciò che ha spinto a rinunciare o a posticipare le visite mediche è stata l’emergenza sanitaria nella maggior parte dei casi: molti italiani hanno preferito evitare di entrare in una struttura sanitaria temendo un eventuale contagio da COVID-19. Altri hanno evidenziato i tempi di attesa troppo lunghi causa pandemia e quindi hanno preferito disdire o rimandare le visite. Tuttavia nell’ultimo anno l’83% degli intervistato è andato almeno una volta dal proprio medico di base.

Prevenzione e cura della salute: non sono ancora buone abitudini.

Visite di controllo regolari, di base o specialistiche sono il primo passo per prevenire problemi di salute anche gravi e, che se non affrontati e gestiti in tempo, possono complicare pesantemente la vita di una persona e della sua famiglia. Un’analisi più approfondita dei dati raccolti da UniSalute e Nomisma rivela però, in linea di massima, una scarsa propensione degli italiani ad aver cura della propria salute. A tal proposito, Il dato più allarmante è la tendenza, nonché pericolosa abitudine, a sottovalutare l’importanza della prevenzione anche quando si tratta di visite specialistiche e controllo, in alcuni casi, salvavita.

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Attività fisica negli anziani: riduce la mortalità fino al 30%

Il 27 e il 28 ottobre scorsi si è svolto a Roma il XV Congresso Nazionale di Cardiogeriatria, presieduto dai professori Lorenzo Palleschi, direttore dell’Unità Operativa Complesso di Geriatria dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, e Francesco Vetta, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia e Aritmologia di IDI-IRCSS. Fra le tematiche affrontate, quella del fondamentale rapporto tra attività fisica, condizioni di salute e speranza di vita negli anziani.

Movimento, prevenzione, salute.

Sul legame tra movimento e riduzione del rischio di mortalità nelle persone in età avanzata il prof. Palleschi ha spiegato: “Il movimento non solo previene la maggior parte delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative (anche la demenza di Alzheimer, definita per la sua altissima prevalenza la vera epidemia del terzo millennio), ma permette una miglior conservazione dell’efficienza fisica, garantendo così di vivere a lungo in forma e in piena autonomia. Il declino della massa, forza muscolare e capacità motorie che è stato a lungo considerato un corollario ineluttabile dell’invecchiamento, non si osserva, o è molto meno evidente, in chi continua a praticare esercizio fisico anche in età matura-anziana. Gli anziani over 80 che praticano esercizi di resistenza hanno performance motorie equivalenti alla classe di età 50-54 anni”.

Degenza ospedaliera e movimento delle persone anziane.

Il prof. Palleschi ha poi sottolineato come l’attività fisica negli anziani faccia la differenza anche quando sono ricoverati in ospedale o in altre strutture sanitarie (se le condizioni fisiche glielo consentono, naturalmente). La scarsa mobilità causa un aumento del rischio di perdita dell’autonomia personale e altre complicazioni. “L’ipomobilità durante il ricovero può aumentare il rischio di morte di 30 volte rispetto ai soggetti ad alta mobilità. Data la pervasività di questo problema, la scarsità di movimento durante il ricovero in ospedale è stato definito per la prima volta “pericoloso” nel 1947, e successivamente descritto come un’epidemia. Gli ospedali hanno compiuto notevoli progressi nell’ultimo mezzo secolo e negli ultimi due decenni in particolare”.

COVID-19 e attività fisica degli anziani.

Nella cornice del XV Congresso Nazionale di Cardiogeriatria Palleschi ha infine ricordato che “La pandemia Covid-19 presenta nuove e gravi sfide che minacciano di compromettere i recenti sforzi e i progressi verso una cultura della mobilità. Le rigide misure di distanziamento sociale dentro le strutture sanitarie, le carenze di personale riallocate ad aree ad alto fabbisogno come il pronto soccorso o le terapie intensive, la mancanza di dispositivi di protezione, la diffidenza dei pazienti nei confronti della mobilità stanno minacciando la promozione dell’attività fisica all’interno delle strutture sanitarie. Un recente studio pubblicato quest’anno sulla prestigiosa rivista British Medical Journal ha dimostrato che un programma di esercizi condotto su una popolazione di persone anziane fragili con riduzione della massa muscolare (sarcopenia) è in grado di diminuire il rischio di disabilità motoria, nello specifico di percorrere a piedi 400 metri in autonomia”.

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Body positivity: si può essere in sovrappeso e stare bene?

Ultimamente si è spesso sentito parlare di “body positivity”. Di cosa si tratta? Per “positività del corpo” ovvero “l’essere positivi nei confronti del proprio corpo” consiste nell’assumere un atteggiamento sereno e sicuro nei confronti del proprio aspetto fisico. In altre parole, si tratta di accettarsi così come si è, nonostante il sovrappeso sia considerato socialmente una caratteristica negativa di una persona. Il concetto di body positivity ha dato vita a un vero e proprio movimento sociale fin dagli anni Sessanta. L’obiettivo, ieri come oggi, è l’accettazione sociale di tutti, al di là dei canoni di bellezza socialmente apprezzati, senza discriminazioni derivanti dall’aspetto fisico (troppo grasso/troppo magro).

Body positivity e condizioni di salute.

Il tema della body positivity ha acceso molte discussioni non soltanto sul rapporto tra aspetto fisico e accettazione personale/sociale, ma anche sul legame tra peso, malattie croniche e disabilità. Medici e nutrizionisti del Center for Weight and Metabolic Health dell’Università di Chicago Medicine hanno dato un loro parere su questi argomenti.

È possibile essere in sovrappeso e in salute?.

Silvana Pannain, endocrinologa e professoressa associata di Medicina all’UChicago Medicine: «Sì, si può essere in sovrappeso e metabolicamente sani. Allo stesso tempo, sappiamo che l’obesità è una malattia che colpisce il corpo in molti modi diversi. Tredici tipi di cancro e 200 altre condizioni di salute sono legate all’obesità. La relazione tra obesità e altre malattie è complessa e ci sono molte incognite. Come possiamo prevedere quali individui con obesità saranno colpiti da un cancro o dal virus COVID-19? L’obesità può essere curata, quindi perché vogliamo aspettare e vedere cosa succede?».

Il numero sulla bilancia è importante?.

Jessica Schultz, dietista clinica e nutrizionista: «Non necessariamente. Al Center for Weight and Metabolic Health stabiliamo degli obiettivi con i nostri pazienti. Se un paziente entrasse e volesse poter giocare con i suoi nipoti senza rimanere senza fiato, l’obiettivo da raggiungere non sarebbe un certo numero sulla bilancia ma sentirsi bene mentre gioca con i nipoti. Il punto è migliorare la qualità della vita delle persone. Non si tratta di ciò che si perde, si tratta di ciò che si guadagna. Quello che vediamo sulla bilancia non sempre indica il successo, l’aver raggiunto i nostri obiettivi più importanti». Secondo Mustafa Hussain, professore associato di Chirurgia, «Il numero sulla bilancia è solo un dato che fa parte di un quadro più ampio. Credo nella body positivity ma, allo stesso tempo, voglio essere realista con i miei pazienti. Questi numeri sono direttamente correlati all’aspettativa di vita. Se sei in sovrappeso di 50 libbre (più di 20 Kg) la tua probabilità di morire per qualsiasi causa è doppia rispetto a una persona che non è in sovrappeso. Se sei in sovrappeso di 100 libbre (più di 45 Kg) è tre volte superiore».

Aumentare il metabolismo accelera la perdita di peso? E se sì, come si accelera il metabolismo?.

Hussain: «Il metabolismo riguarda la funzione cellulare e il modo in cui le cellule interagiscono tra loro. Il peso, o l’obesità, ha un impatto diretto su questo. Il metabolismo può rallentare o accelerare determinati processi. Bisogna tener presente che gli individui hanno tassi metabolici diversi: per questo hanno bisogno di piani personalizzati di controllo del peso e della salute metabolica».

L’IMC (Indice di Massa Corporea) è una misura accurata dello stato di salute di una persona?.

Hussain: «Non è affatto perfetta. L’IMC misura il grasso corporeo in base all’altezza e al peso. Dobbiamo utilizzarlo in combinazione con una varietà di fattori diversi: sesso, genere, etnia e massa muscolare. In linea generale l’IMC è ancora uno strumento utile per valutare l’aspettativa di vita di una persona e il rischio di sviluppare malattie come il diabete o il cancro. Sebbene ci siano altri test più approfonditi e accurati, è comunque molto utile perché chiunque può calcolarlo in base all’altezza e al peso».

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Mal di testa e fastidio alla luce

Uno dei sintomi tipici del mal di testa è un certo fastidio nei confronti della luce. Durante gli attacchi più aggressivi di emicrania chi ne soffre tende a cercare ambienti bui dove trascorrere il tempo finché la fase acuta non è passata. Da un punto di vita scientifico questo comportamento è stato considerato piuttosto contraddittorio. In effetti l’emicrania diminuisce l’attività neuronale nella corteccia visiva, dunque non dovrebbe stimolare l’ipersensibilità della vista verso fonti luminose.

Relazione mal di testa – luce: la dimostra uno nuovo studio scientifico.

Una recente ricerca scientifica frutto della collaborazione tra l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, l’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, pubblicato sulla rivista Journal of Headache and Pain, dimostra lo stretto rapporto tra emicrania-fonti luminose. Nel corso di un mal di testa, i neuroni sono sì meno attivi del solito ma al contempo si “sincronizzano” più rapidamente, tanto che la reazione della corteccia visiva si fa più sensibile nei confronti della luce. “Il nostro studio mostra che i neuroni nella corteccia sono meno attivi in risposta a uno stimolo visivo – afferma Nicolò Meneghetti, primo autore dello studio e studente PhD dell’Istituto di BioRobotica -. Questo succede a causa di un potenziamento, nelle persone con mal di testa, dei neuroni “inibitori” il cui ruolo è quello di diminuire l’attività cerebrale. Meno attività però non significa per forza che le informazioni non continuino a viaggiare: non solo i neuroni continuano a parlare tra di loro, ma proprio i neuroni inibitori sincronizzano le comunicazioni impacchettandole più velocemente di quanto non succeda senza emicrania, portando quindi a una trasmissione troppo efficace dell’informazione visiva”.

Metodo scientifico: un modello matematico.

Per comprendere il comportamento dei neuroni durante l’emicrania è stato utilizzato un modello matematico. “Per capire i comportamenti patologici dei neuroni partiamo sempre da un modello matematico del comportamento sano e poi studiamo come le modifiche che la malattia induce nei singoli neuroni portino a cambiamenti nella dinamica della rete e quindi a malfunzionamenti – racconta Alberto Mazzoni, responsabile del Laboratorio di Neuroingegneria Computazionale della Scuola Superiore Sant’Anna e co-coordinatore del progetto –. Questo è possibile solo con una collaborazione molto stretta tra chi acquisisce i dati e chi li analizza e modella, ovvero i neurofisiologi e i neuroingegneri. I risultati di oggi in particolare non sarebbero stati possibili senza Matteo Caleo, professore al CNR di Pisa e all’Università di Padova, che ha ideato il lavoro e ne ha guidato gli aspetti sperimentali fino alla tragica e prematura scomparsa di questa primavera. Il lavoro è dedicato a lui”.

Nuove opportunità di cura dell’emicrania e non solo.

I risultati di questo studio offrono l’opportunità di formulare cure mirate per l’ipersensibilità alla luce in caso di emicrania ma permettono altresì di comprendere i meccanismi di altre malattie legate al rapporto con la luce. “L’emicrania – conclude Meneghetti – condivide alcune caratteristiche comuni con altre malattie, come ad esempio l’epilessia. Il nostro modello potrebbe quindi aiutare a spiegare alcune caratteristiche di queste patologie e a trovare nuove soluzioni per combatterle”.

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Prevenire l’influenza, le regole e lo stile di vita contro i malanni di stagione

L’Istituto superiore di sanità (Iss) definisce l’influenza «malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali». Aggiunge poi che si tratta di una patologia stagionale che, nell’emisfero occidentale, si presenta durante il periodo invernale. La trasmissione di questi virus avviene in genere per via aerea, attraverso la diffusione nell’aria di goccioline di saliva che il malato produce tossendo, starnutendo o parlando. Oltre che per contatto diretto con persone infette, ci si può contagiare anche attraverso gli oggetti, perché il virus dell’influenza persiste per lungo tempo. «Le persone infette – spiega l’Iss – sono contagiose da un giorno o due prima che i sintomi compaiono, fino a circa cinque giorni dopo l’inizio della sintomatologia, talvolta fino a dieci giorni dopo. Questo significa che il virus può essere trasmesso anche da persone apparentemente sane». La prevenzione passa quindi attraverso regole mirate a evitare di entrare in contatto con i virus e, viceversa, usare accorgimenti per non trasmetterli agli altri. Uno stile di vita sano, dormendo a sufficienza ed evitando stress prolungati, oltre a una dieta equilibrata contribuiscono poi a rafforzare le difese immunitarie rendendo l’organismo meno esposto al contagio.

I comportamenti da adottare.

Prevenire i malanni della stagione fredda è possibile, seguendo poche regole ribadite ogni anno dal ministero della Salute. Le principali le abbiamo acquisite con la pandemia e sono efficaci anche contro la gran parte dei virus che portano a contrarre l’influenza, perché si propagano in maniera analoga al Covid-19. Il primo accorgimento resta l’igiene delle mani, lavandole spesso e in modo accurato o utilizzando i gel disinfettanti durante l’arco della giornata. Se non si ha modo di igienizzare le mani, è bene evitare di toccarsi gli occhi e la bocca. Quando si tossisce o si sternutisce è sempre fondamentale coprire la bocca con un fazzoletto. Un’altra regola ormai nota è quella di tenere le distanze da soggetti raffreddati o influenzati, evitando luoghi chiusi affollati. In qualsiasi ambiente chiuso, inoltre, è sempre fondamentale arieggiare spesso in modo da favorire il ricambio di aria.

La prevenzione comincia a tavola.

Chi può contare su un sistema immunitario efficiente, riduce il rischio di contagiarsi e contrarre raffreddore o sindromi influenzali. Secondo la Fondazione Veronesi, un’alimentazione ricca di frutta e verdura è alla base della prevenzione dei tipici malanni stagionali. Per contrastarne l’insorgenza, è raccomandato fare il pieno di vitamina C, soprattutto attraverso cavolfiori, cavoli, broccoli e verza che sono ricchi anche di principi attivi dall’azione antinfiammatoria e antiossidante. Gli esperti della Fondazione suggeriscono anche di consumare ravanelli, radicchio, sedano, porri, zucche, carote, pomodori e peperoni. Aggiungono inoltre che «aglio e cipolla, utilizzati nella preparazione e condimento dei cibi, non solo forniscono all’organismo vitamine e sali minerali, ma hanno anche proprietà antisettiche, fluidificano e aiutano a eliminare il catarro». È importante, infine, non rinunciare ad almeno tre porzioni di frutta al giorno, dando priorità agli agrumi. «Quella che può aiutare maggiormente l’azione preventiva contro l’influenza è l’arancia – sottolineano gli esperti -. Insieme agli altri agrumi, abbonda di vitamina C. Ne sono sufficienti piccole quantità per aumentare le difese immunitarie e svolgere un’azione antiossidante». Il limone, invece, anche come condimento, potenzia le difese naturali contro raffreddore, mal di gola e tosse.