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La vitamina D riduce il rischio di malattie autoimmuni?

Uno studio statunitense ha dimostrato che esiste un nesso causale tra somministrazione di vitamina D e prevenzione di una malattia autoimmune.

Le malattie autoimmuni prevedono una reazione anomala del sistema immunitario che per errore aggredisce e distrugge cellule sane del nostro organismo. Tra le strutture e i tessuti che possono essere attaccati vi sono i vasi sanguigni, il tessuto connettivo, le ghiandole endocrine (tiroide, pancreas), le articolazioni, i muscoli, la pelle. Purtroppo ad oggi la cause che innescano un comportamento errato del sistema immunitario non sono state ancora accertate. Le malattie autoimmuni si configurano così come disturbi cronici, gestibili adottando le opportune terapie. I sintomi si manifestano periodicamente a fasi alterne, tra momenti di regressione e momenti di riacutizzazione del disturbo. Ne sono esempio: il diabete mellito di tipo 1, il morbo di Crohn, il morbo celiaco, l’epatite autoimmune, l’alopecia, l’anemia emolitica autoimmune, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica progressiva, la sindrome di Sjögren.

Karen Costenbader e il suo gruppo di lavoro al Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno studiato il rapporto tra malattie autoimmuni e assunzione di vitamina D. Per farlo la studiosa ha suddiviso casualmente 26 mila persone di età pari o superiore ai 50 anni in due gruppi. A un gruppo è stata somministrata vitamina D, all’altro del placebo. I partecipanti all’esperimento sono stati monitorati per circa 5 anni allo scopo di misurare l’eventuale sviluppo di malattie autoimmuni. Lo studio ha dimostrato che una dose di 0,05 mg di vitamina D al giorno riduce l’insorgere di malattie autoimmuni del 22% rispetto al placebo.

Non è ancora chiaro come la vitamina D prevenga la comparsa di tali patologie. Quello che si sa è che essa, una volta metabolizzata dall’organismo, può alterare il comportamento delle cellule immunitarie. Costenbader ipotizza che la vitamina D possa aiutare il sistema immunitario a distinguere tra le proprie cellule e quelle estranee (microbi, batteri) oppure contribuisca a ridurre la risposta infiammatoria dell’organismo. Tuttavia la ricercatrice del Brigham and Women’s Hospital sottolinea come l’assunzione di qualsiasi integratore vada fatta in tutta sicurezza, previo parere favorevole del proprio medico di riferimento. Il passo successivo per la ricerca in materia sarà quello di capire quanto durano gli effetti positivi della vitamina D, nella speranza di poter effettuare una sperimentazione anche su fasce di popolazione più giovani.

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