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Obesità infantile: 120 milioni di bambini obesi negli ultimi 40 anni

Sono ormai 120 milioni, tra bambini e adolescenti, in forte sovrappeso nel mondo. Fra il 1975 e il 2016 i bambini e gli adolescenti obesi sono passati da 5 a 50 milioni tra le femmine e da 6 a 74 milioni tra i maschi. Il problema si rivela particolarmente serio in proiezione futura, visto che il 40% dei bambini obesi oggi diventeranno adolescenti obesi domani e che l’80% degli adolescenti obesi saranno adulti obesi. L’Italia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di obesità infantile, insieme a Cipro, Grecia e Spagna. La pandemia ha peggiorato la situazione, vista la sospensione delle attività sportive, la maggiore sedentarietà e l’aumento del consumo di alimenti calorici.

Secondo un’indagine condotta nell’anno cruciale del lockdown per COVID-19, il 2020, ad aver mangiato di più e peggio sono stati proprio bambini e adolescenti fra i 12 e i 18 anni. Annamaria Staiano, Presidente della Società Italiana di Pediatria: “L’obesità è un modello precursore di malattie croniche che il Servizio Sanitario Nazionale deve affrontare in epoche successive della vita. Occorre investire sulla prevenzione di questa emergenza sociale e delle sue complicanze. Sono infatti in aumento anche le malattie correlate, tra cui il diabete di tipo 2, in crescita tra i bambini e che paradossalmente in passato veniva chiamato diabete dell’adulto”. Come contrastare l’obesità infantile? Con una sana alimentazione, attività fisica regolare, un buon riposo sostengono i pediatri. Quando si dice “sana alimentazione” si fa riferimento, ormai da decenni, alla dieta mediterranea che, come ricorda la Presidente Staiano, è patrimonio dell’Unesco.

“Abbiamo questo patrimonio, cerchiamo di usarlo. Sollecitiamo le mamme ad usare prodotti quanto meno raffinati possibili: ritorniamo a una dieta del passato, sana, ricca di cereali, carboidrati complessi, che danno sazietà al bambino, senza ricorrere invece a prodotti che hanno una quantità enorme di zuccheri semplici, come succhi di frutta e bevande zuccherate, che favoriscono l’insorgenza di obesità. È poi importante mangiare frutta, verdura, pesce, carne bianca e raramente quella rossa, usare come condimento l’olio d’oliva e limitare l’uso, se possibile evitarlo proprio, di scatolame e alimenti conservati, perché si sta osservando che gli additivi alimentari e gli emulsionanti contribuiscono all’infiammazione cronica dei tessuti, fattori di rischio per l’insorgenza di diabete e malattie infiammatorie croniche intestinali”.

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Retinopatia e diabete: si rischia l’infarto

“La retinopatia diabetica, al di là del grado della patologia, costituisce uno dei principali parametri del rischio cardiovascolare. Il soggetto diabetico colpito da retinopatia è come se avesse avuto un infarto, dal punto di vista del rischio per la sua salute. Prevenzione e controlli periodici sono fondamentali: il paziente diabetico ha una vista perfetta ma da un giorno all’altro improvvisamente non vede più. La retinopatia nel frattempo ha progredito e ha causato la perdita della vista”. Questo è il messaggio lanciato all’Adnkronos dal prof. Edoardo Midena, membro della Società italiana della retina (Sir) e direttore della Clinica oculistica dell’Università degli Studi di Padova, a margine dell’XI Convegno Nazionale Amd dal titolo “Amd per la diabetologia: crescita, comunità e partecipazione”.

Oculisti e diabetologi hanno evidenziato due aspetti: i pazienti affetti da retinopatia diabetica in genere non si lamentano della perdita della vista, rischiando di accorgersene troppo tardi. Inoltre, è stato appurato che la retinopatia diabetica non è soltanto una malattia della circolazione sanguigna della retina ma anche di tipo infiammatorio. Di conseguenza l’oftalmologo dovrà analizzare gli occhi del paziente tramite una OCT – Tomografia Ottica Computerizzata (un esame approfondito delle varie parti dell’occhio), così da poter adottare la terapia più adatta. Sono quasi 4 milioni gli italiani diabetici, dei quali circa 1,2 milioni è affetto da retinopatia diabetica. Di questi, il 6-7% perde la facoltà visiva a causa della malattia. Midena: “La retinopatia può avere due forme: non proliferante e proliferante.

In entrambi i casi ci può essere la complicanza più pericolosa ai fini della capacità visiva: l’edema maculare diabetico. La forma proliferante si cura ancora con il laser, tecnica che negli Stati Uniti è considerata superiore ad altre terapie. L’edema maculare, che determina la perdita visiva, viene attualmente trattato con iniezioni intravitreali di due categorie diverse di farmaci. La prima è quella degli anti-Vegf, somministrati mensilmente per almeno 5 mesi e poi a distanza di due mesi, per un totale di 8 iniezioni nel primo anno di trattamento. Negli anni successivi si valuta a seconda della risposta che si è avuta dal primo ciclo terapico. La seconda tipologia di farmaci comprende quelli cortisonici, dal rilascio lento e progressivo. Il loro effetto ha una durata media di 4 mesi e vengono ripetuti qualora l’edema maculare ricomparisse.

Grazie a questi farmaci intravitreali possiamo gestire meglio e tenere sotto controllo la malattia, senza troppe limitazioni per i nostri pazienti”. Il paziente curato con terapie intravitreali “è quello”- afferma Midena – “al quale è stata diagnosticata la malattia perché si sottopone regolarmente a una procedura di screening o perché si è accorto che la sua capacità visiva è diminuita e quindi si rivolge a un oculista per fare l’esame Oct. Quest’esame oculare studia specificatamente la macula, l’area centrale della retina, rivelando la presenza di liquido, cioè l’edema”. Evidenziato il problema, il paziente “inizia il percorso di cura. Un trattamento che non dura per tutta la vita: la retinopatia diabetica è una malattia curabile in un arco temporale che va da da 1 a 3 anni”, conclude Midena.

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Piedi, una parte del corpo di cui avere cura tutto l’anno

La salute del piede influenza il benessere della persona molto più di quanto si crede. Se diventano doloranti per qualche motivo faremo molta fatica a camminare, con il rischio di assumere posture scorrette e creare problemi anche alla schiena. È quindi importante prendersi cura di questa parte del corpo ogni giorno per prevenire disturbi e patologie. Le attenzioni principali che ognuno può avere a casa propria, riguardano prevalentemente le unghie e la pelle. Il taglio e la cura dell’unghia, infatti, se trascurati o effettuati male, possono provocare infezioni, lesioni o micosi. È bene quindi dotarsi di strumenti di qualità, come forbicine, limette e piccoli attrezzi appositamente progettati per eseguire questa operazione con il massimo della cura. In caso un’unghia diventasse più gialla o scura del normale, è bene consultare il medico o il farmacista per capire se deve essere trattata con appositi prodotti farmaceutici. Per evitare l’insorgere delle infezioni, è sempre fondamentale detergere accuratamente i piedi con prodotti specifici e indossare calzature comode.

La pelle del piede.

Nei piedi la pelle è costantemente sottoposta a compressione e sfregamento da parte delle scarpe. Questo processo provoca spesso la formazione di callosità e duroni, che si può provare a prevenire mantenendo la pelle morbida e idratata. È bene quindi scegliere creme adatte al livello di secchezza dell’epidermide e massaggiare i piedi dopo la detersione. Se nonostante le cure la pelle dovesse inspessirsi in qualche punto delle dita o della pianta, si deve ricorrere a limette, cerotti medicati e strumenti appositi per rimuovere le callosità. Naturalmente, prima la zona viene curata, più semplice ed efficace sarà eliminare i calli. Viceversa, se trascurati troppo a lungo, possono essere difficili da trattare. Per prevenire l’inspessimento della pelle è opportuno indossare calzature morbide e non eccessivamente strette e, quando possibile, stare senza scarpe e lasciare il piede libero. Gli stessi accorgimenti valgono anche per prevenire la formazione di vesciche.

La deodorazione.

Il cattivo odore dei piedi è un’altra conseguenza del loro stare rinchiusi nelle scarpe per ore. All’interno della calzatura, si crea un clima caldo e umido che favorisce un’eccessiva sudorazione della pelle. L’odore che ne deriva è più forte e acre per alcune persone, mentre per altre è meno percepibile, a seconda delle caratteristiche della pelle, del livello di sudorazione, delle calzature e delle calze indossate. In genere è consigliabile evitare tessuti sintetici, perché meno traspiranti. In caso l’igiene quotidiana e gli accorgimenti relativi alla scelta delle scarpe non fossero sufficienti a limitare il problema, si può chiedere consiglio al farmacista, che potrà proporre una linea di prodotti per la detersione e la deodorazione specificamente formulati.

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Grafologia e salute: la scrittura può rivelare come stiamo

Si tratta di un innovativo sistema di telemedicina, frutto della ricerca di un team interdisciplinare dell’Università La Sapienza di Roma. La scrittura manuale, spiegano i ricercatori, “è un compito cognitivo e motorio acquisito particolarmente complesso, che consente di osservare alcune funzioni del cervello. Osservare la scrittura consente di individuare eventuali disfunzionalità neurologiche. I disturbi della scrittura emergono spesso in persone con malattie neurodegenerative, come il Parkinson e l’Alzheimer”. L’algoritmo di monitoraggio messo a punto alla Sapienza rileva alcuni “modelli” di scrittura associabili all’invecchiamento fisiologico di soggetti sani e viene proposto come alternativa alla visita ambulatoriale.

Questa ricerca ha coinvolto 156 persone sane e destrimane, suddivise in tre fasce di età: 51 giovani tra i 18 e i 32 anni, 40 adulti fra i 37 e i 57 anni, 63 persone in età adulta avanzata (62-90 anni). A ognuno di loro è stato chiesto di scrivere nome e cognome con una penna a sfera nera per 10 volte su un foglio di carta bianca, quindi di fotografare la propria firma con uno smartphone e inviarla ai ricercatori. “Il principale risultato scientifico del nostro studio – sottolinea Antonio Suppa, coordinatore del progetto – consiste nell’accuratezza dell’analisi automatica della scrittura con algoritmi di intelligenza artificiale, in grado di obiettivare la progressiva riduzione di ampiezza dei caratteri dovuta all’invecchiamento fisiologico e, quindi, di attribuire ogni campione di scrittura a una specifica fascia d’età dell’autore”.

“Sebbene ricerche precedenti avessero già dimostrato cambiamenti nella destrezza della scrittura, legati all’aumento dell’età, per analizzare una grande quantità di dati nell’ambito della telemedicina si rendevano necessari approcci basati su tecniche di analisi più complesse come il machine learning”, sottolinea Suppa. “L’analisi della scrittura con algoritmi di intelligenza artificiale – chiosa Simone Scardapane, co-autore dello studio – è stata svolta grazie all’utilizzo di una rete neurale convoluzionale, ovvero una rete artificiale specializzata per l’elaborazione di immagini e segnali digitali, in grado di convertire automaticamente i caratteri in parametri di interesse”.

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Arresto cardiaco e infarto: che differenze ci sono?

A chiarirne sinteticamente le differenze tra arresto cardiaco e infarto sono Francesca Fumagalli e Giuseppe Ristagno del Laboratorio di Fisiopatologia Cardiopolmonare dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. L’arresto cardiaco si verifica quando s’interrompono bruscamente il battito cardiaco e l’attività respiratoria, causando perdita di conoscenza dell’individuo. Il cervello, non ricevendo ossigeno dal sangue, può subire danni seri, talvolta irrimediabili, fino all’epilogo più drammatico: il decesso del paziente. L’arresto cardiaco, dunque, comporta la completa interruzione dell’attività del cuore nella sua interezza.

Le differenze tra infarto e arresto cardiaco.

L’infarto riguarda invece lo scompenso di una singola parte del cuore, non dell’intero organo vitale, a causa dell’occlusione di un’arteria coronaria che veicola il sangue al muscolo cardiaco. Il tessuto cardiaco che non riceve flusso sanguigno risulta danneggiato ma la persona colpita da infarto resta comunque cosciente. Molto probabilmente ha avvertito sintomi specifici e premonitori dell’infarto: forti fitte al petto con eventuale irradiazione del dolore al braccio sinistro e alla regione parte sinistra del corpo; dolore alle spalle; dolore alla bocca dello stomaco; dolore alla mandibola; nausea; vomito; ipersudorazione; affanno. A sua volta l’infarto può però essere causa di un arresto cardiaco, come accade nel 70% dei casi.

Quali sono i fattori di rischio che predispongono all’arresto cardiaco?.

Primo fra tutti l’età: di solito l’arresto cardiaco colpisce più gli uomini delle donne e dai 45 anni in su. Altri fattori di rischio sono l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il colesterolo alto, il diabete, il tabagismo, lo stress, precedenti casi di infarto, patologie cardiache, aterosclerosi. Non mancano altresì fattori scatenanti l’interruzione cardiaca, come sforzi fisici eccessivi e sollecitazioni emotive particolarmente intense.

Esistono rimedi efficaci contro l’arresto cardiaco?.

Ad oggi sono soltanto due: il primo soccorso con manovre di rianimazioni salvavita e la defibrillazione precoce. Ciò nonostante, meno del 10% delle persone colpite da arresto cardiaco riesce a superarlo restando in buone condizioni di salute. La maggior parte dei pazienti che è riuscita a sopravvivere e ad essere dimessa dall’ospedale riscontra danni neurologici di vario genere: insufficienze cognitive, deficit mnemonici,… fino ad arrivare ai casi più gravi di stato vegetativo irreversibile e morte cerebrale. All’Istituto di ricerca Mario Negri è in fase di validazione clinica l’impiego di un gas nobile, l’argon, per il trattamento delle anomalie neurologiche successive alla fase di rianimazione del paziente.