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Piccoli disturbi della pelle: i consigli per prevenirli e curarli con l’automedicazione

L’Associazione nazionale farmaci di automedicazione (Assosalute) riunisce le aziende nazionali ed estere che producono e commercializzano farmaci di automedicazione nel nostro paese. Questa categoria di farmaci comprende gli Otc, dall’inglese “Over the counter” cioè “sopra il banco”, e i Sop, sigla che sta per “Senza obbligo di prescrizione”. Questi ultimi devono essere dispensati direttamente dal farmacista, mentre il paziente può “servirsi da solo” per quanto riguarda gli Otc. I medicinali di automedicazione, che sulla confezione esterna riportano un bollino recante una croce rossa con uno smile al centro, vengono utilizzati per disturbi passeggeri lievi.

Si tratta comunque di farmaci, per cui è opportuno leggere con attenzione il foglietto illustrativo, chiedere consiglio al farmacista di fiducia per la scelta e l’assunzione del prodotto più indicato alla problematica e, se i sintomi persistono, consultare il proprio medico curante. Assosalute ricorda ai pazienti le regole per la protezione della pelle nella stagione estiva.

Luigi Naldi, dermatologo direttore dell’unità complessa di Dermatologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza e del Centro ricerche Gised, Gruppo italiano studi epidemiologici in dermatologia con sede a Bergamo, ha preso in esame prima di tutto il pericolo rappresentato dalle scottature solari, vere e proprie ustioni che possono essere prevenute evitando di esporsi al sole nella fascia oraria che va dalle 11 alle 15, indossando cappello, maglietta e occhiali da sole e applicando una crema con fattore di protezione solare. Se si verificasse una scottatura si possono impiegare farmaci acquistabili senza obbligo di ricetta medica contenenti sostante lenitive, anestetiche e antisettiche.

Naldi ha sottolineato inoltre come il clima caldo-umido tipico dell’estate rappresenti la condizione ideale per la proliferazione dei miceti, così come dei batteri che provocano l’impetigine, l’infezione più comune in età infantile e scolare. Per le infezioni fungine si rivelano utili gli antimicotici per uso topico. Per trattare le bolle e le pustole dell’impetigine vengono usati antibiotici locali. Altro rischio per la pelle è il contatto con meduse, ricci di mare e insetti. Dopo la rimozione di tentacoli e spine eventualmente presenti, l’area va lavata con acqua salata. A seguito delle punture di zanzare o pappataci, oltre a raffreddare la parte interessata, per un sollievo immediato si possono massaggiare pomate che contengono antistaminici, che alleviano il prurito, corticosteroidi, dall’azione antinfiammatoria, o antisettici, per scongiurare o trattare possibili infezioni associate.

Per concludere, Naldi ha ricordato l’importanza del controllo dei nevi. È fondamentale il parere dello specialista in dermatologia nel caso di variazioni nella loro forma o dimensione, asimmetrie, irregolarità nei bordi, colori variegati, dimensioni superiori ai 5 mm. È essenziale proteggere i nevi dal sole, in particolare quelli dei bambini, in quanto molti dei melanomi riscontrati in età adulta sono legati a scottature avvenute durante l’infanzia.

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Studio: «La vitamina D due volte al giorno può tenere lontane le vertigini»

La vertigine posizionale parossistica benigna è una condizione si verifica quando un cambiamento nella posizione della testa dà un’improvvisa sensazione di giramento. È uno dei tipi più comuni di vertigini. Circa l’86% delle persone con questa forma di vertigine scopre che interrompe la loro vita quotidiana o fa perdere giorni al lavoro. Secondo un recente studio pubblicato nel numero online di Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology, l’assunzione di vitamina D e calcio due volte al giorno può ridurre le probabilità di contrarre nuovamente le vertigini.

Lo studio ha esaminato 957 persone in Corea con vertigine parossistica posizionale benigna. I partecipanti sono stati separati in due gruppi, ovvero intervento e osservazione. Alle 445 persone nel gruppo di intervento sono stati rilevati i livelli di vitamina D all’inizio dello studio. Le 348 persone con livelli di vitamina D inferiori a 20 nanogrammi per millilitro (ng / mL) hanno iniziato a prendere integratori con 400 unità internazionali di vitamina D e 500 milligrammi di calcio due volte al giorno, mentre quelle con livelli di vitamina D uguali o superiori a 20 ng / ml non sono stati dati integratori. Le 512 persone nel gruppo di osservazione non hanno monitorato i livelli di vitamina D e non hanno ricevuto integratori.

Ebbene, quelli nel gruppo di intervento che hanno assunto gli integratori hanno avuto un tasso di recidiva inferiore per episodi di vertigini dopo una media di un anno rispetto a quelli del gruppo di osservazione. Le persone che assumevano integratori avevano un tasso di recidiva medio di 0,83 volte per persona-anno, rispetto a 1,10 volte per persona-anno per quelli nel gruppo di osservazione, o una riduzione del 24% del tasso di recidiva annuale. Tuttavia, i ricercatori spiegano che una limite dello studio è che un gran numero di partecipanti non ha completato l’intero studio, con più persone assegnate a prendere gli integratori che abbandonano lo studio rispetto al gruppo di osservazione.

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Alzheimer, malattia neurodegenerativa principale causa di demenza

Premesso che una perdita delle capacità cognitive in età avanzata è del tutto fisiologica, la malattia o morbo di Alzheimer, in passato definita come “demenza presenile”, è oggi considerata la principale causa di demenza progressivamente invalidante, indipendentemente dall’età di insorgenza della malattia. Le altre forme di demenza sono dovute per lo più a problematiche vascolari, associate ad ictus ischemico, oppure a traumi cerebrali o abuso di alcol. Fino a una trentina di anni fa si riteneva che la demenza legata all’età fosse una conseguenza della perdita costante di neuroni che avviene nel corso della vita; oggi si prendono maggiormente in considerazione meccanismi genetici e molecolari. Nella malattia di Alzheimer si osserva atrofia del tessuto cerebrale, con morte neuronale, alla base del deficit cognitivo e dei problemi di memoria a breve termine. Le cosiddette placche amiloidi e gli aggregati neurofibrillari sono depositi di proteine malripiegate nel cervello e la loro formazione predispone allo sviluppo del morbo di Alzheimer, con comparsa della sintomatologia anche dopo parecchi anni. Insieme a questi aggregati proteici, nella patogenesi della malattia sono implicate modificazioni a livello di alcuni sistemi di neurotrasmissione.

Uno dei segni più comuni dell’Alzheimer è la perdita di memoria, che riguarda in particolare le informazioni apprese recentemente. I pazienti possono avere difficoltà a risolvere problemi anche semplici, a concentrarsi, a portare a termine un impegno, a seguire o partecipare a una conversazione. Possono dimenticare perché si trovino in un determinato luogo e come l’abbiano raggiunto. Si possono verificare alterazioni nella percezione del tempo, mancanza di cura della persona o di attenzione all’igiene, perdita di oggetti, abbandono dei passatempi preferiti e ritiro dal lavoro o dalle attività sociali. Si possono inoltre notare cambiamenti nell’umore e nella personalità dei soggetti affetti da Alzheimer, che appaiono confusi, sospettosi, ansiosi, timorosi, depressi; caratteristiche che si accentuano in posti non familiari. Tutto questo comporta risvolti importanti anche a carico delle persone deputate all’assistenza del paziente, sia da un punto di vista psicologico che fisico ed economico.

Attualmente non esistono farmaci per rallentare l’evoluzione dei processi neurodegenerativi. La tacrina è stato il primo medicinale approvato per il trattamento dell’Alzheimer che, sulla base di test specifici, si è rivelato in grado di determinare un modesto aumento delle capacità cognitive e mnemoniche. Deve però essere assunto quattro volte al giorno e l’impiego è accompagnato da nausea, dolori addominali e tossicità epatica. Si preferisce quindi utilizzare molecole più recenti, come donepezil, rivastigmina e galantamina: sebbene siano meno efficaci, contribuiscono comunque a migliorare la qualità di vita dei pazienti, senza effetti collaterali rilevanti come quelli associati alla tacrina. Nelle forme da moderate a gravi si usa di solito la memantina. Indipendentemente dalla predisposizione genetica, fondamentale è la prevenzione, che consiste in modificazioni nello stile di vita con un effetto protettivo nei confronti della patologia. La stimolazione mentale, l’esercizio fisico e una dieta varia ed equilibrata sono da proporre anche al paziente in cui la malattia sia già stata diagnosticata per ritardarne la progressione.

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Farmaci e estate, come usarli e conservarli correttamente?

Nel periodo estivo anche il farmaco, compagno per la cura di piccole e grandi patologie, ha bisogno di piccoli accorgimenti per trasporto e conservazione. Per questo motivo l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha pubblicato un opuscolo per gestire correttamente i farmaci, al fine di non ridurne efficacia qualità e sicurezza.

La prima regola da seguire è di conservare i farmaci in luoghi asciutti e freschi. Bisogna poi verificare sempre la giusta temperatura di conservazione sul foglietto illustrativo.

L’applicazione di alcuni farmaci possono indurre reazione con l’esposizione al sole, è bene quindi verificare con il proprio farmacista o con il medico se i farmaci somministrati rientrano tra questi. Usare i farmaci nelle loro formulazioni “solide”, fa sì che si mantengano meglio quando fa caldo. Portare i farmaci con se sempre nelle loro confezioni originali.

Non esporre mai i farmaci al sole e al calore ed in caso di viaggio usare contenitori termici, soprattutto per i farmaci che vanno conservati in frigorifero. Per chi viaggia, ed ha bisogno di farmaci salvavita, è necessario che li porti con se nel bagaglio a mano, nella confezione originale e con la prescrizione del medico. Tenere sempre sotto controllo la pressione, in caso di ipertensione. Il caldo infatti può portare a delle variazioni di pressione che potrebbero provocarne l’abbassamento eccessivo.

Per ogni chiarimento in merito all’uso dei farmaci, infine, è bene rivolgersi al proprio farmacista di fiducia o al medico curante: entrambi sapranno fornire tutte le informazioni utili alle domande sul tema.

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Antipertensivi, i farmaci “amici” della pressione arteriosa

Nel caso in cui la pressione arteriosa risulti costantemente superiore al valore massimo di 140 mmHg, che si legge “millimetri di mercurio” ed è l’unità di misura utilizzata in medicina per la pressione, e di 80-85 mmHg per il valore minimo, si parla di ipertensione. Nel 90% dei casi le cause della pressione alta sono ignote e l’ipertensione è definita essenziale. Il restante 10% comprende i casi di ipertensione secondaria, che deriva cioè da un’altra patologia. Per fare rientrare i valori della pressione nell’intervallo ottimale di 130/80 mmHg, il primo approccio consiste nell’adozione di misure dietetiche che prevedano un calo dell’apporto di sodio e in modificazioni dello stile di vita, escludendo fumo e alcol e praticando una costante attività fisica. Se questi cambiamenti non fossero sufficienti a tenere la pressione sotto controllo, si fa ricorso alla terapia farmacologica.

La pressione è regolata da reazioni fisiologiche che mantengono entro i giusti limiti il volume del sangue, la forza e la frequenza di contrazione cardiache, il diametro dei vasi arteriosi. In questi meccanismi regolatori sono coinvolti non soltanto cuore e vasi sanguigni, ma anche sistema nervoso, reni e ghiandole surrenali. I farmaci antipertensivi sono molteplici e si basano su meccanismi diversi a seconda del punto d’azione.

I beta-bloccanti annullano gli effetti dell’adrenalina, un neurotrasmettitore implicato nell’aumento pressorio attraverso la stimolazione dell’attività cardiaca e l’induzione della vasocostrizione. Trovano impiego anche in caso di angina pectoris, una malattia coronarica che si manifesta con dolore al petto; aritmie, vale a dire alterazioni del ritmo cardiaco; scompenso cardiaco, una condizione in cui il cuore non riesce a pompare una quantità di sangue adeguata alle richieste dell’organismo. I beta-bloccanti sono da evitare nei soggetti asmatici e diabetici ipertesi, in quanto potrebbero esacerbare crisi di broncospasmo o aggravare l’ipoglicemia quando viene assunta insulina. Tra gli effetti collaterali, si ricordano sedazione, depressione, incubi notturni. Sono inoltre da tenere monitorati i livelli ematici di colesterolo. I diuretici consentono di abbassare la pressione favorendo l’eliminazione di sali e di acqua a livello renale, riducendo così sia il volume di sangue circolante che la concentrazione di sodio. Nelle forme lievi di ipertensione possono essere usati in monoterapia; in caso di ipertensione grave, può invece risultare utile l’associazione con un antipertensivo che abbia un diverso meccanismo d’azione. Tra i principali effetti indesiderati si segnala l’ipopotassiemia, una riduzione dei normali livelli plasmatici di potassio che, soprattutto se il paziente è cardiopatico, può aumentare il rischio di aritmie.

Anche gli Ace-inibitori agiscono a livello renale, bloccando l’attività dell’enzima di conversione dell’angiotensina o Ace, necessario per la sintesi delle angiotensine II e III, molecole dall’effetto vasocostrittore. Sono farmaci di prima scelta nell’ipertensione, ma risultano utili pure nel trattamento della cardiopatia ischemica e dello scompenso cardiaco. Sono controindicati in gravidanza e tra gli effetti collaterali comprendono tosse secca persistente e angioedema, che consiste nel gonfiore di cute, mucose e tessuti sottocutanei. Infine, si citano i sartani, che interferiscono con l’attività vasocostrittrice delle angiotensine, e i calcio-antagonisti, che devono il nome alla capacità di impedire l’accesso del calcio alle cellule muscolari cardiache, evento essenziale per la loro contrazione, determinando in questo modo una dilatazione dei vasi sanguigni.