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Calcoli renali, gli antibiotici possono aumentarne il rischio

Un recente studio pubblicato sulla rivista Journal of the American Society of Nephrology ha evidenziato un possibile legame tra l’utilizzo di antibiotici per via orale e la presenza di calcoli renali.
Lo studio ha analizzato i dati sanitari di 13.8 milioni di pazienti provenienti dagli archivi dei medici di medicina generale, in Gran Bretagna, ed ha estrapolato i dati di 25.981 persone con calcoli renali, suddividendoli per sesso e per età, evidenziando l’eventuale somministrazione di antibiotici per via orale nei 12 mesi precedenti alla diagnosi.
Dopo aver controllato l’eventuale presenza di infezioni alle vie urinarie, medicazioni, malattie come gotta e diabete, ed altre variabili, gli scienziati hanno evidenziato che l’esposizione a cinque principali classi di antibiotici incrementa significativamente il rischio di calcolosi renale.
I farmaci sotto la lente vanno dalle pennicilline ad ampio spettro, che hanno incrementato la calcolosi del 27 %, ai sulfamidici, classe di antibiotici a cui è stato associato il raddoppio del rischio di calcolosi renale.
Allo stesso modo, altre classi di antibiotici tra cui cefalosporine, fluorochinolonici, nitrofurantoina, sono state associate ad un incremento del rischio, in gran parte più alto nei ragazzi al di sotto dei 18 anni di età, rispetto agli adulti.
Al momento, il meccanismo della possibile insorgenza dei calcoli renali non è ancora chiaro, tuttavia, il Dr. Gregory, urologo del Children’s Hospital of Philadelfia, crede che il problema sia causato tra l’interazione dei farmaci con il microbioma intestinale o del tratto urinario.

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Misurazione della pressione, ecco i sette errori più comuni quando si misura

La misurare la pressione è un gesto semplice e a volte quotidiano ma che mette di fronte ad una serie di piccoli errori ed imperfezioni che possono portare ad una lettura sbagliata dei valori.
L’American Heart Association, in occasione della giornata mondiale dell’ipertensione, nel mese di maggio, ha identificato e diffuso i sette errori principali che si commettono quando si misura la pressione.
Il primo errore che si commette è avere la vescica piena. E’ necessario svuotare la vescia prima di misurare la pressione. Questo accorgimento, quando preso, può togliere 10-15 punti alla lettura della pressione.
Il secondo errore riguarda la posizione della schiena e dei piedi: devono infatti essere entrambi appoggiati, la schiena sullo schienale della sedia, i piedi per terra. In questo caso, una posizione corretta può togliere 6-10 punti alla lettura.
Il terzo errore più comune che si commette è quello di avere il braccio non correttamente appoggiato. Se il braccio è appeso al fianco o lo si tiene alzato o abbassato durante la lettura, si potrebbero leggere valori fino a 10 punti più alti della misurazione reale. E’ importante quindi poggiare il braccio su una sedia o su un tavolo, in modo che il bracciale di misurazione sia all’altezza del cuore.
Il quarto errore riguarda il bracciale: quante volte abbiamo avvolto il bracciale di misurazione direttamente sugli abiti? Ebbene, anche in questo caso, una corretta misurazione della pressione prevede che il bracciale sia posizionato direttamente sul braccio nudo. Se non seguito, questo accorgimento, può aggiungere da 5 a 50 punti alla lettura della misurazione.
Il quinto errore, riferendoci alla dimensione del bracciale, accade quando questo è troppo piccolo e stringe eccessivamente il braccio. Potrebbero esserci dai 2 ai 10 punti di pressione in più, rispetto alla lettura normale.
Il sesto errore, che potrebbe aumentare la lettura della pressione di 2-8 punti, accade quando ci si siede con le gambe incrociate. In questo caso, l’accorgimento è quello di non incrociare le gambe quando si misura la pressione.
Infine, il settimo errore, probabilmente il più comune, è quando si parla durante la misurazione della pressione. Rispondere alle domande, parlare a telefono o interloquire può aggiungere alla lettura della pressione circa 10 punti. E’ importante quindi rimanere fermi e silenziosi durante la misurazione per fare in modo che sia quanto più accurata possibile

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Ictus cerebrale, studio conferma: la sauna ne riduce il rischio

Fare saune con una certa regolarità porta alla riduzione del rischio di ictus cerebrale, la conferma arriva da un team di ricercatori che hanno studiato 1628 uomini e donne sani di età compresa tra i 53 e i 73 anni.
I ricercatori hanno raccolto dagli individui varie informazioni tra cui indice di massa corporea, consumo di alcool, fumo, pressione sanguigna, livello di colesterolo nel sangue, ed altre caratteristiche peculiari che sia già risaputo impattino sulla salute cardiovascolare.
I partecipanti allo studio hanno indicato ai ricercatori anche quante saune Finlandesi facevano a settimana e quanto tempo restavano all’interno sauna. Nello studio durato 15 anni, durante il periodo di analisi, queste persone sono state soggette a 155 episodi di ictus.
Ebbene, i dati delle persone che facevano due, tre saune a settimana, comparati con quelli di coloro che invece ne facevano solo una, hanno mostrato che questi ultimi avevano una probabilità del 12% più alta di avere un evento di ictus.
Non è tutto. Coloro che facevano invece da quattro a sette saune a settimana, avevano una percentuale del 62% più bassa di avere un evento di ictus cerebrale.
I ricercatori dell’University of Eastern Finland hanno precisato che lo studio è stato solo di natura osservazionale, ovvero di limitarsi ad osservare, e non ha messo in relazione il rapporto beneficio-causa, sebbene possano esserci alcune plausibili ipotesi di questa possibile protezione, ovvero, che l’incremento della temperatura anche solamente di uno o due gradi Celsius può limitare i processi infiammatori corporei e ridurre la rigidezza delle arterie.

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Tumori rari, istituito tavolo coordinamento della Rete Nazionale

Si è insediato a Roma il 4 maggio 2018, presso la sede di AGENAS, il Tavolo di Coordinamento della Rete Nazionale dei Tumori Rari. La Rete Nazionale Tumori Rari è una collaborazione permanente tra centri oncologici su tutto il territorio nazionale, finalizzata al miglioramento dell’assistenza ai pazienti con tumori rari, attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l’assimilazione della diagnosi e del trattamento secondo criteri comuni, il razionale accesso dei pazienti alle risorse di diagnosi e cura.
Il Tavolo insediatosi è composto da rappresentanti dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, del Ministero della Salute, delle Regioni, di esperti dell’Agenzia Italiana del Farmaco, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Associazionismo oncologico.
Obiettivo del Coordinamento è quello di «garantire e promuovere su tutto il territorio nazionale lo sviluppo e l’implementazione della Rete Nazionale dei Tumori Rari, prevista dall’Intesa Stato-Regioni del 21 settembre 2017 e dal DM 01.02.2018, assicurandone il monitoraggio e la valutazione anche per individuare tempestivamente ambiti di miglioramento, promuovere l’ottimizzazione dell’uso delle risorse per la ricerca e definire la gestione operativa di una piattaforma web, rivolta ai pazienti per veicolare corrette informazioni e ai professionisti per svolgere attività di telemedicina».

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Il “pisolino” pomeridiano? Negli adolescenti utile per attenzione e memoria

Non più di 60 minuti ed almeno 30 e non dopo le quattro del pomeriggio, la durata ideale del pisolino negli adolescenti per poter migliorare livelli di attenzione, abilità di ragionamento non verbale e la memoria spaziale. Questo è in sintesi il risultato di uno studio dell’Università del Delaware pubblicato sulla rivista scientifica Behavioural Sleep Medicine.
Lo studio ha interessato 363 giovani cinesi con un’età media di 12 anni misurando il ritmo circadiano partendo dall’assunto che nei ragazzi questo ritmo è avanti di una-due ore rispetto alle fasi preadolescenziali. Ritardo che negli adolescenti è spesso modificato perché devono alzarsi presto per andare a scuola e ciò ne consegue che gli stessi possano sviluppare una privazione cronica del sonno.
Ebbene, misurando il riposino pomeridiano, la durata del sonno notturno, la qualità dello stesso, oltre che altre funzioni neurocognitive, è emerso che – in coloro che cedevano almeno cinque giorni a settimana al pisolino – non solo che miglioravano le prestazioni di alcuni campi specifici come i livelli di attenzione, l’abilità di ragionamento non verbale e la memoria spaziale, ma coloro che seguivano con continuità l’abitudine di riposare, dormivano meglio la notte.