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Mascherine, utilità confermata anche con Omicron

L’uso della mascherina rimane raccomandato anche per proteggersi dalla variante Omicron. Lo riporta uno studio dell’European centre for disease prevention and control (Ecdc), che aveva già pubblicato un precedente report sull’utilità delle protezioni facciali per il virus scoperto a Wuhan e per le successive varianti. Le peculiarità di Omicron hanno indotto gli esperti a fare ulteriori approfondimenti. Il nuovo testo pubblicato dall’Ecdc, intitolato ” Considerations for the use of face masks in the community in the context of the Sars-Cov-2 Omicron variant of concern”, mette in luce che: «Indossare una mascherina può aiutare a ridurre la diffusione di Covid-19 nella comunità riducendo il rilascio di goccioline respiratorie da individui asintomatici/pre-sintomatici o con sintomi lievi non specifici. L’uso di mascherine per il viso a questo scopo può essere adottato per ridurre l’impatto sociale determinato dall’assenza dal lavoro, dalle pressioni sanitarie dovute a infezioni, o per proteggere le persone vulnerabili in contesti particolari».

Come agisce Omicron.

I dati rilevati dallo studio mostrano come la variante Omicron cresca più rapidamente e sia più contagiosa rispetto alla variante Delta. «Nella maggior parte dei casi, i coronavirus vengono trasmessi principalmente da persona a persona anche tramite goccioline respiratorie per inalazione o deposito sulle superfici delle mucose quando si tossisce e si parla. La concentrazione di goccioline respiratorie infettive diminuisce con l’aumentare della distanza dalla sorgente perché quelle più grandi cadono a terra o sulle superfici per forza di gravità, mentre quelle piccole, che possono rimanere in sospensione nell’aria, vengono diluite. Inoltre, le goccioline diventano meno infettive con il passare del tempo. Il rischio di contagio aumenta dunque in prossimità di una sorgente, ma anche a distanza se ci si trova in spazi chiusi e scarsamente ventilati». Lo studio riferisce inoltre che le particelle Omicron sembrano essere più stabili su superfici plastiche o sulla pelle rispetto al ceppo scoperto a Wuhan e alla variante Delta. Non ci sono però evidenze di una maggior sopravvivenza di Omicron nelle particelle sospese (aerosol) e la sua forte trasmissibilità sembra essere dovuta alla particolare affinità della variante con un recettore che ne facilita l’ingresso nelle cellule.

Mascherina raccomandata anche contro Omicron.

Alla luce di quanto emerso dalle evidenze scientifiche, l’Ecdc ha formulato una serie di raccomandazioni sull’uso delle mascherine in vari luoghi e situazioni. «È necessario indossare una mascherina per il viso in ambienti all’aperto affollati. Tale accorgimento dovrebbe essere considerato tra le possibili misure anche in spazi pubblici confinati, come negozi, supermercati, snodi di trasporto e nei trasporti pubblici. In famiglia, l’uso della mascherina va considerato in caso di persone con sintomi da Covid-19 o con Covid già accertato così come per i conviventi, soprattutto se non è possibile isolare chi è affetto dal virus». Viene poi ribadito che l’uso appropriato della mascherina prevede la totale copertura di naso e viso fino al mento e la corretta regolazione sul ponte del naso, facendo il possibile per ridurre al minimo lo spazio aperto tra viso e mascherina.

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Micosi dell’unghia, come prevenire e trattare l’infezione

La micosi dell’unghia è un’infezione fungina, causata cioè da un fungo che tende a propagarsi velocemente e a provocare danni all’unghia stessa, determinandone a volte la caduta. Come spiegano gli specialisti dell’istituto di ricerca Humanitas, «il fungo, o micosi, delle unghie è l’infezione di una o più unghie dovuta alla presenza di particolari funghi. Può manifestarsi inizialmente con una piccola macchia bianca o gialla (ma può essere anche marrone o verde) che colpisce una porzione circoscritta dell’unghia». A essere più soggette a questo disturbo sono le unghie dei piedi, per via dell’ambiente umido e caldo che si crea nelle scarpe, particolarmente favorevole alla proliferazione dei microrganismi. Rispetto alle unghie delle mani, inoltre, quelle dei piedi si danneggiano più facilmente a causa di calzature troppo strette o di traumi dovuti all’attività sportiva, permettendo così ai funghi di attecchire con maggior facilità. Secondo gli esperti dell’Humanitas, «uno dei principali fattori di rischio è costituito dalla frequentazione di ambienti caldo-umidi e comuni, come gli spogliatoi delle palestre e le piscine».

I sintomi più comuni di una micosi.

La micosi si manifesta con varie modifiche dell’unghia, che può improvvisamente diventare più fragile, deformarsi o inspessirsi e assumere colorazioni anomale. Il processo può portare anche a un’infiammazione dei tessuti vicini. «L’unghia colpita diventa più spessa e può sgretolarsi, generando dolore e fastidio – affermano gli specialisti -. Può anche sollevarsi, distaccarsi dal letto ungueale ed emettere cattivo odore». Dalla prima sede, inoltre, è possibile che l’infezione si trasmetta alle unghie vicine. «Se la micosi non viene trattata, il fungo tende a diffondersi e a coinvolgere una porzione più ampia dell’unghia, arrivando a volte anche a interessare le altre unghie».

Prevenzione e terapia.

La prima prevenzione della micosi all’unghia è l’igiene. Oltre a lavare mani e piedi in modo accurato è opportuno asciugare al meglio unghie e pelle per non lasciare la zona umida troppo a lungo. È consigliabile, poi, evitare la permanenza in spogliatoi affollati e troppo riscaldati di palestre, piscine e centri sportivi e, in ogni caso, ricordarsi di indossare sempre le ciabatte. Un altro importante accorgimento è il taglio delle unghie, che deve essere eseguito in modo preciso e frequente, evitando di lasciare angoli di unghie taglienti o unghie spezzate che potrebbero strapparsi. Gli specialisti dell’istituto Humanitas raccomandano inoltre di «indossare calze traspiranti, alternate (quando possibile) scarpe chiuse con scarpe aperte, indossare guanti di gomma per proteggere le mani dalla sovraesposizione all’acqua, non tagliare la pelle intorno alle unghie, non nascondere le infezioni fungine delle unghie sotto lo smalto che contribuisce a intrappolare l’umidità e a peggiorare l’infezione, lavarsi bene le mani dopo aver toccato un’unghia infetta». La cura della micosi consiste nell’applicazione di vari trattamenti. A seconda della gravità dell’infezione, si possono usare, su consiglio del medico o del farmacista, pomate antimicotiche, creme a base di zolfo colloidale e acido salicilico, smalti specifici antimicotici.

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Macherine FFP2: perché usarle e quali scegliere

Il 23 dicembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge 221 che proroga lo stato di emergenza nazionale da COVID-19. Contiene, fra le altre, nuove regole per i cittadini allo scopo di limitare la diffusione del virus, specie nella sua variante più contagiosa Omicron. Fino al 31 marzo 2022 (data di cessazione dello stato di emergenza) corre l’obbligo di indossare mascherine FFP2 in specifici contesti sociali: spettacoli pubblici all’aperto o al chiuso (teatri, cinema, sale concerto, locali di intrattenimento e musica dal vivo o simili); eventi e incontri sportivi sia al chiuso che all’aperto; su tutti i mezzi pubblici di trasporto.

Perché le FFP2 ci proteggono di più delle mascherine chirurgiche?.

Le mascherine chirurgiche rientrano nella tipologia dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) monouso. Sono formate da tre strati di tessuto antibatterico, antivirus e contenitivo delle goccioline respiratorie emesse dal soggetto. Le maschere filtranti FFP2 sono DPI multistrato più grandi delle mascherine chirurgiche e progettate per aderire meglio al volto. La parte superiore presenta al suo interno un filo di ferro che permette di adattare il dispositivo al naso e agli zigomi, evitando infiltrazioni d’aria laterali. Queste maschere, a differenza di quelle chirurgiche, proteggono non solo chi ci sta intorno ma anche noi stessi. L’elevata capacità filtrante delle FFP2 (> 94%), infatti, trattiene sia le particelle virali eventualmente espirate da chi l’indossa, sia quelle sospese nell’aria o emesse da altri individui.

FFP2 certificate e sicure: come riconoscerle.

Le mascherine FFP2 non sono però tutte uguali: devono rispondere ad alcune caratteristiche produttive normate dall’Unione Europea a garanzia della salute e della sicurezza dei cittadini. Le aziende produttrici sono pertanto tenute a regolamentare il prodotto presso un ente accreditato idoneo alla certificazione. Solo se le FFP2 soddisferanno i requisiti richiesti dalla normativa EN 149:2001 potranno ricevere il marchio CE. Si tratta di un codice a 4 cifre che identifica l’organismo verificatore e marchiatore del prodotto. L’elenco completo dei soggetti certificatori autorizzati dalla UE si trova nel database online Nando, istituito dalla Commissione Europea. Basterà confrontare il codice numerico stampato accanto alla sigla CE delle FFP2 con quelli presenti nell’elenco Nando e scoprire qual è, se c’è e se è abilitato a farlo, l’ente che ha certificato le nostre mascherine. In caso contrario, quei dispositivi saranno privi di controlli e certificazioni ufficiali. In altre parole: non saranno davvero sicuri.

Dove acquistare mascherine FFP2 sicure.

Mascherine “conformi” sono quelle accompagnate da un certificato di conformità, cartaceo se presente all’interno di una confezione multipla di mascherine oppure stampato sull’involucro della mascherina venduta singolarmente. Le informazioni che vi dovremmo trovare, e che non possono mancare, sono: nome e codice dell’ente certificatore; nome e indirizzo del produttore o del mandatario; tipo di mascherina; riferimenti normativi della certificazione; data di rilascio. Per evitare spiacevoli sorprese è sempre consigliabile rivolgersi a canali ufficiali incaricati alla vendita di DPI sicuri, come le farmacie e le parafarmacie.

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Umidità e salute, più problemi respiratori in ambienti umidi con muffe

Vivere in ambienti umidi può provocare o accentuare alcuni problemi a carico del sistema respiratorio. Ciò è dovuto prevalentemente al generarsi di muffe che proliferano nell’umidità. Il problema è stato affrontato dal ministero della Salute, alla luce delle caratteristiche delle moderne abitazioni che tendono a essere molto isolate ma poco areate. «Uno dei problemi più fastidiosi e dannosi per il comfort abitativo è quello legato all’umidità – scrive il Ministero in un opuscolo -. La presenza di acqua nelle murature può provocare inconvenienti come la diminuzione del comfort termico, il degrado dei materiali a causa di reazioni chimiche distruttive e la comparsa di muffe. Le muffe sono funghi microscopici che durante la loro crescita producono particelle di forma sferica di piccole dimensioni (spore) che si disperdono nell’aria principalmente in estate e in autunno. Possono crescere sia all’interno sia all’esterno delle abitazioni. All’interno si trovano soprattutto dove è presente umidità in eccesso e scarsa ventilazione e tendono a svilupparsi più rapidamente con un clima caldo umido, come in estate e in luoghi poco illuminati, su oggetti e materiali umidi, in umidificatori o sistemi di condizionamento d’aria, non sottoposti a regolare pulizia e manutenzione».

Il legame tra muffe e problemi respiratori.

Diversi studi hanno dimostrato la relazione esistente, specie nei bambini, tra la presenza di muffe negli ambienti chiusi e vari problemi respiratori. «È dimostrato che l’esposizione alle muffe e/o all’umidità domestica – proseguono gli esperti del Ministero – si associa alla maggiore prevalenza di sintomi respiratori, asma e danni funzionali respiratori. In particolare, per quanto riguarda la salute dei bambini, i risultati complessivi di studi trasversali su soggetti di 6-12 anni hanno confermato la relazione tra la muffa visibile (riportata dai conviventi) e la tosse notturna e diurna dei bambini e, nelle famiglie più affollate, la relazione con asma e sensibilizzazione ad allergeni inalanti». È pertanto opportuno prendere in considerazione l’adozione di vari accorgimenti che possono alleviare la situazione e migliorare i disturbi.

Come tenere l’umidità sotto controllo.

La regolazione dei livelli di umidità passa attraverso adeguamenti degli edifici e varie abitudini quotidiane. La percentuale di umidità all’interno di un’abitazione non dovrebbe superare il 50%. Per assicurare il mantenimento di questo livello, gli esperti suggeriscono anzitutto di verificare che muri esterni, fondamenta, sottotetti e attico della casa siano isolati e ben ventilati, accertare che non vi sia terra o materiale in grado di drenare l’umidità a diretto contatto con i muri della casa e cercare di eliminare fenomeni di condensa, areando frequentemente l’ambiente. Quanto alle abitudini quotidiane, il ministero della Salute raccomanda di: «non usare tappeti o moquette in zone con alta umidità come bagno, cucina e lavanderia, non lasciare i vestiti stesi ad asciugare per molto tempo in ambienti chiusi poco ventilati, eliminare le macchie di muffa con tinture speciali antimuffa a base di acqua, assicurare la corretta manutenzione di umidificatori e condizionatori e del sistema di ventilazione meccanica, in particolare delle bocchette esterne e dei filtri, pulire regolarmente le guarnizioni dei frigoriferi, vuotare e pulire frequentemente le vaschette dell’acqua nei frigoriferi autosbrinanti, lavare regolarmente le tende della doccia, il lavandino, la vasca e le pareti di bagno e cucina con candeggina, limitare il numero delle piante ornamentali». Gli esperti aggiungono infine che i depuratori di aria muniti di filtri adeguati possono essere efficaci nel rimuovere le spore fungine.

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Pazienti trapiantati e in lista di attesa: conoscerne gli stati d’animo per curarli meglio

Lo scorso dicembre si è concluso un importante progetto di ricerca biennale dell’ATCOM, l’Associazione Trapiantati di Cuore del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Finanziato dal Centro Nazionale Trapianti, raccoglie e confronta i bisogni e le opinioni di un campione rappresentativo di pazienti, sia in attesa di trapianto che già trapiantati. La ricerca, intitolata “Organizzazione del percorso del paziente dall’inserimento in lista d’attesa per il trapianto alla gestione del follow-up: ampliamento delle finalità, degli ambiti e delle conoscenze”, prevedeva la compilazione online di due distinti questionari anonimi: uno per i pazienti in lista d’attesa, l’altro per quelli già operati.

Hanno partecipato 7.040 persone, di cui 2.965 in lista d’attesa e 4.075 già trapiantate. Grazie a quest’indagine ciascuna di loro ha espresso le proprie esigenze, il proprio vissuto ma anche consigli su come migliorare la condizione dei pazienti, prima e dopo l’operazione. A ciò va aggiunta un’analisi delle iscrizioni in lista e il rilevamento dei flussi di pazienti da una regione all’altra per effettuare il trapianto. Dallo studio dei dati raccolti sono emerse alcune riflessioni fondamentali: da un lato la necessità di incentivare la promozione della prevenzione e di uno stile di vita sano in maniera capillare e organica; dall’altro, l’urgenza di favorire una maggiore integrazione tra i diversi livelli di competenza delle strutture medico-ospedaliere sul territorio nazionale.

Quelle che affiorano più di tutto sono però le emozioni vissute dai pazienti, l’altalena di stati d’animo negativi e positivi. Leggere le loro testimonianze offre di per sé uno spaccato drammatico della vita di queste persone e del contesto – privato, sociale e sanitario – in cui vivono la malattia, l’attesa del trapianto, il ritorno alla quotidianità. Una fase, questa, che può durare qualche mese, lunghi anni o tutta la vita. È disarmante leggere simili testimonianze e cogliere il grido di aiuto nei confronti, in primis, del sistema sanitario locale e nazionale. Evidentemente lo status quo non basta, non è sufficiente a offrire un servizio all’altezza della sofferenza dei malati pre e post trapianto. E la ricerca dell’ATCOM prova a sollecitare delle soluzioni fattibili per innescare un processo di cambiamento quanto mai necessario.