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Celiachia: sintomi tipici e atipici, diagnosi e alimenti privi di glutine

La celiachia o morbo celiaco è una malattia autoimmune in cui si osserva un’anomala reazione alla gliadina, un componente del glutine, proteina presente nel frumento e in altri cereali come orzo, farro e segale. L’elasticità, la viscosità e la capacità di trattenere l’aria tipiche del glutine lo rendono un ingrediente molto utilizzato nell’industria alimentare. Nel soggetto celiaco, l’ingestione di alimenti contenenti glutine determina una reazione infiammatoria che danneggia la mucosa dell’intestino tenue. Nella forma classica della celiachia la mucosa risulta appiattita, con atrofia dei villi intestinali, cioè estroflessioni che aumentano la superficie di assorbimento, e conseguente malassorbimento. Sintomi tipici sono diarrea, gonfiore e dolore addominali, perdita di peso. Le forme atipiche di celiachia sono caratterizzate da sintomi extraintestinali, come neuropatia, dermatiti, alopecia, ma anche anemia e osteoporosi come conseguenza del grave malassorbimento. La celiachia può anche essere silente, con distruzione della mucosa intestinale non accompagnata da sintomatologia evidente.

La diagnosi di celiachia non sempre è facile, sia perché i sintomi sono simili a quelli di altre patologie a carico dell’intestino, sia perché in diversi casi la malattia si presenta con manifestazioni vaghe, come depressione e astenia. La diagnosi passa attraverso un’indagine sierologica, con ricerca degli anticorpi specifici antigliadina, antiendomisio e antitransglutaminasi, un’indagine genetica, volta ad individuare la predisposizione allo sviluppo della patologia, e un’indagine di tipo istologico, con biopsia intestinale. Non esiste una terapia farmacologica per la malattia celiaca: l’unico trattamento è la dieta, che consiste nell’eliminare completamente i cereali tossici e gli alimenti che li contengono. Dopo un periodo variabile dai 3 ai 6 mesi dall’inizio della dieta priva di glutine, si assiste alla scomparsa dei sintomi e alla remissione delle lesioni intestinali. La dieta va seguita per tutta la vita, dal momento che un nuovo contatto col glutine provocherebbe la riacutizzazione della sintomatologia e aumenterebbe la probabilità di sviluppare altre malattie di origine autoimmune, come diabete e tiroiditi, e tumori intestinali.

Tra gli alimenti naturalmente privi di glutine che possono sostituire i cereali che lo contengono e da cui è possibile ricavare farine gluten-free si ricordano riso, mais, grano saraceno, miglio, quinoa, amaranto, sorgo, patate, legumi, castagne. Al celiaco è consentito il consumo anche di carne, pesce, uova, latte e derivati, frutta e verdura. Le farine senza glutine possiedono proprietà viscoelastiche peggiori rispetto alla farina di frumento. Sono quindi meno adatte alla panificazione e la pasta ha scarsa tenuta in cottura. Per tali motivi, alle miscele di farine ottenute con i cereali consentiti vengono spesso addizionati amido di mais e fecola di patate, che rendono gli impasti più morbidi, emulsionanti che ne facilitino la lavorazione e addensanti come farina di semi di guar, di semi di carrube o di sintesi. Il Servizio sanitario nazionale eroga gratuitamente i prodotti dietetici privi di glutine: i tetti di spesa, suddivisi a seconda dell’età e del sesso, vengono periodicamente aggiornati sulla base dei prezzi dei prodotti presenti in commercio.

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Ondate di calore, i consigli del ministero della Salute

Per arginare i rischi delle temperature estreme e rendere gli italiani più consapevoli, il ministero della Salute ha diramato una serie di suggerimenti per evitare i rischi legati all’esposizione non controllata al caldo e ridurre l’incidenza delle ondate di calore.

Bere molti liquidi: Bere molta acqua e mangiare frutta fresca è una misura essenziale per contrastare gli effetti del caldo. Soprattutto per gli anziani è necessario bere anche se non si sente lo stimolo della sete. Esistono tuttavia particolari condizioni di salute (epilessia e  malattie del cuore, del rene o del fegato) per le quali l’assunzione eccessiva di liquidi è controindicata. Se si è affetti da qualche malattia è necessario consultare il medico prima di aumentare l’ingestione di liquidi. È necessario consultare il medico anche se si sta seguendo una cura che limita l’assunzione di liquidi o ne favorisce l’espulsione.

Non bere bevande alcoliche o bevande contenenti caffeina.

Migliorare l’ambiente domestico e di lavoro: schermare le finestre esposte a sud e a sud-ovest con tende e oscuranti regolabili come persiane o veneziane, in modo da bloccare il passaggio della luce ma non quello dell’aria. Se si dispone dell’aria condizionata, evitare di regolare la temperatura a livelli troppo bassi rispetto alla temperatura esterna. Una temperatura tra 25-27°C con un basso tasso di umidità è sufficiente a garantire il benessere e non espone a bruschi sbalzi termici. Sono da impiegare con cautela anche i ventilatori meccanici, poiché accelerano il movimento dell’aria, ma non abbassano la temperatura ambientale. Per questo il corpo continua a sudare: è perciò importante continuare ad assumere grandi quantità di liquidi. Quando la temperatura interna supera i 32°C, l’uso del ventilatore è inefficace e dunque sconsigliato.

Fare pasti leggeri: la digestione è per il nostro organismo un vero e proprio lavoro che aumenta la produzione di calore nel corpo.

Vestire comodi e leggeri, con indumenti di cotone, lino o fibre naturali (evitare le fibre sintetiche). All’aperto è utile indossare cappelli leggeri e di colore chiaro per proteggere la testa dal sole diretto.

In auto, ricordarsi di ventilare l’abitacolo prima di iniziare un viaggio, anche se la vettura è dotata di un impianto di ventilazione. In questo caso, regolare la temperatura su valori di circa 5 gradi inferiori alla temperatura esterna evitando di orientare le bocchette della climatizzazione direttamente sui passeggeri. Se ci si deve mettere in viaggio, evitare le ore più calde della giornata (specie se l’auto non è climatizzata) e tenere sempre in macchia una scorta d’acqua. Non lasciare mai neonati, bambini o animali in macchina, neanche per brevi periodi.

Evitare l’esercizio fisico nelle ore più calde della giornata. In ogni caso, se si fa attività fisica, bisogna bere molti liquidi. Per gli sportivi può essere necessario compensare la perdita di elettroliti con gli integratori.

Occuparsi delle persone a rischio, facendo visita almeno due volte al giorno e controllando che non mostrino sintomi di disturbi dovuti al caldo. Controllare neonati e bambini piccoli più spesso. Dare molta acqua fresca agli animali domestici e lasciarla in una zona ombreggiata.

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Sapone, prodotto indispensabile per l’igiene di ogni giorno

Un buon detergente deve avere la capacità di eliminare le secrezioni e lo sporco depositati sulla superficie cutanea e di rimuovere le cellule morte e in fase di desquamazione, senza risultare troppo aggressivo. Non deve cioè alterare la barriera protettiva idrolipidica della pelle, né irritare o provocare reazioni di sensibilizzazione, rispettando anche la cute più delicata di bambini, anziani e soggetti allergici e mantenendo le condizioni fisiologiche, quali pH e flora microbica. La detersione per mezzo di un sapone richiede un risciacquo, mentre per latti o creme detergenti, il cui uso è riservato a regioni cutanee limitate come il viso, l’acqua non sempre occorre. Gli struccanti sono preparati in grado di rimuovere il make-up: per alcuni è essenziale il risciacquo, per altri è sufficiente l’applicazione con un dischetto di cotone, eventualmente facendo seguire questo gesto dall’impiego di un tonico.

I detergenti comuni contengono tensioattivi, sostanze che migliorano le caratteristiche lavanti dell’acqua, ed emulsionanti, in grado di disperdere due fasi altrimenti immiscibili tra loro, cioè acqua e materiale oleoso presente sull’epidermide. L’elenco degli ingredienti spesso comprende sostanze dal potere schiumogeno, non rilevanti ai fini della detersione, che trasmettono al consumatore l’idea di utilizzare un prodotto più efficace. I saponi classici presentano sempre una componente lipidica, di origine vegetale o animale. Nel primo caso si ricordano gli oli di oliva, palma, cocco, mandorle dolci, girasole, arachidi, mais, colza, vinaccioli; tra i grassi animali si citano sego, sugna e cera d’api. Tra i componenti di base figurano anche soda caustica e un liquido in cui questa possa disciogliersi, solitamente l’acqua, in alcuni saponi sostituita in tutto o in parte da birra sgasata, latte intero, succhi di frutta. Per rendere il prodotto più gradevole possono essere aggiunti oli essenziali e fragranze. I saponi classici presentano diversi vantaggi: sono economici, hanno un buon potere detergente, sono biodegradabili. Al contempo, hanno però un pH più alto rispetto a quello fisiologico, che è leggermente acido, e svolgono un’azione sgrassante piuttosto spinta, risultando controindicati in caso di pelle secca.

I detergenti sintetici o syndet hanno pH neutro o debolmente acido, dunque maggiormente affine alle caratteristiche della cute. Sono accompagnati dagli svantaggi di un costo elevato, un effetto delipidizzante ancora più marcato rispetto ai saponi tradizionali e un rischio potenziale di provocare dermatiti nei soggetti predisposti. Alchil solfati e alchileteri solfati sono tra i tensioattivi più utilizzati nei saponi di sintesi. Esempi sono sodio lauril solfato e sodio lauriletere solfato, indicati tra gli ingredienti con le sigle SLS e SLES. Si tratta di molecole che, sulla base delle conoscenze attuali, alle concentrazioni usate in cosmesi sono del tutto sicure, nonostante vengano frequentemente demonizzate per il loro sospetto potere cancerogeno, mai dimostrato. Tuttavia, nella loro funzione detergente, possono rivelarsi irritanti per le pelli intolleranti. Nella formulazione dei saponi sintetici possono essere addizionati acqua demineralizzata, etanolo o glicerina; coloranti; sbiancanti ottici, per accentuare il bianco del prodotto, in quanto tutti i saponi tendono ad una colorazione giallastra; sostanze di natura lipidica, quali squalene o lanolina, dall’azione emolliente; antiossidanti, per prevenire l’irrancidimento dei grassi contenuti.

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Stili di vita, studio Iss: «4 italiani su 10 sedentari e sovrappeso»

«Scarsa attività fisica, mangiano poca frutta e verdura e 4 su 10 sono in lotta con la bilancia, soprattutto andando avanti con l’età». È in sintesi il risultato di uno studio portato a termine dall’Istituto superiore di sanità, analizzando i dati tratti dai Sistemi di sorveglianza Passi e Passi d’Argento 2016-2019. Ciò con l’obiettivo di monitorare e prevenire i fattori di rischio per la salute.

Più nel dettaglio, i ricercatori evidenziano che «per quanto riguarda la fascia di età 18-69 anni – evidenzia il ministero della Salute -, il 40% è in eccesso di peso, di questi 3 sono in sovrappeso e uno obeso. Appena uno su 10 consuma la quantità di frutta e verdura raccomandata dalle linee guida per una corretta alimentazione, ovvero 5 porzioni al giorno. La sedentarietà è più frequente all’avanzare dell’età, fra le donne e fra le persone con uno status socioeconomico più svantaggiato o con basso livello di istruzione».

Quanto alla distribuzione geografica, «in alcune Regioni meridionali  – sottolineano i ricercatori – la quota di sedentari supera abbondantemente il 50% della popolazione (Basilicata e Campania). Quanto all’alcol, tra gli adulti uno su 6 ne fa un consumo a rischio. Ancora alto, inoltre, il numero di fumatori: un italiano su 4, tra 18 e 69 anni, non rinuncia alle sigarette. Percentuale che scende andando avanti con l’età e si riduce al 10% tra gli over 65».

Secondo quanto rilevato, infine, circa la metà degli anziani «fanno leggera attività fisica, come passeggiate o giardinaggio». Mentre «l’11% degli intervistati ha però problemi nella deambulazione e fra questi poco più di 1 persona su 10 pratica ginnastica riabilitativa, soprattutto fra gli anziani ‘giovani’, le persone più agiate o residenti al Nord. Anche fra le persone ultra 65enni è basso il consumo medio di frutta e verdura: il 43% ha dichiarato di consumarne solo 1-2 porzioni al dì. Spesso collegati, i problemi di masticazione interessano una quota non trascurabile, pari al 13%, degli intervistati. I dati indicano poi che la maggior parte degli anziani (58%) è in eccesso peso: il 44% in sovrappeso e il 14% obeso. Superati i 75 anni il problema si riduce e aumenta invece quello della perdita di peso involontaria (8%), che predispone a fragilità delle ossa».

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La vaccinazione, strumento fondamentale di prevenzione delle infezioni

Il tema dei vaccini è molto attuale e sentito, sia per la risonanza mediatica avuta dal movimento no-vax, sia per la speranza riposta nella possibilità di una misura preventiva contro il coronavirus. La parola è sulla bocca di tutti, ma quanti sanno veramente cosa si intenda per vaccinoprofilassi? Si tratta di una modalità di prevenzione delle malattie da infezione. Conferisce resistenza nei confronti di singoli agenti infettivi e si attua somministrando un vaccino, un preparato biologico che stimola in modo specifico il sistema immunitario, conferendo una difesa protratta nel tempo verso una determinata malattia infettiva. L’immunità data dai vaccini è simile a quella sviluppata a seguito di un’infezione naturale e inizia ad essere efficiente dopo un periodo di circa tre settimane. La durata della protezione varia a seconda del tipo di vaccino. Riducendo il numero di individui recettivi a una data infezione, vengono rimosse le condizioni che consentono la diffusione della malattia nella popolazione. Quando si parla di immunità di gregge ci si riferisce alla protezione della collettività derivante dalla ridotta circolazione dell’infezione nella popolazione vaccinata. Infatti, l’immunità di alcuni individui protegge dall’infezione anche i non immuni.

Esistono tre tipologie di vaccini. Quelli in grado di replicarsi contengono virus o batteri che conservano la capacità di moltiplicarsi, stimolando le difese immunitarie senza provocare la malattia. I vaccini non in grado di replicarsi comprendono a loro volta i vaccini inattivati, costituiti da microrganismi che hanno perso l’infettività e la capacità di riprodursi, i vaccini a componenti, formati da elementi microbici, e le anatossine o tossoidi, che perdono tossicità a seguito di trattamenti chimico-fisici, pur mantenendo la capacità di attivare il sistema immunitario. Infine, si citano i vaccini innovativi, per esempio a base di frammenti proteici di sintesi dal potere immunogeno.

Se il vaccino è in grado di replicarsi, dopo il primo inoculo il microrganismo si riproduce rapidamente, inducendo la sintesi di una grande quantità di anticorpi. Questi vaccini hanno lo svantaggio di non poter essere somministrati ai soggetti immunodepressi, a differenza dei vaccini non in grado di replicarsi. Nel caso in cui questi ultimi vengano inoculati, il microrganismo non può riprodursi e, dopo il primo inoculo, la risposta anticorpale è modesta. Per assicurare la produzione di una quantità sufficiente di anticorpi sono quindi necessarie ulteriori somministrazioni.

Un vaccino è costituito da uno o più antigeni immunizzanti: si avranno quindi vaccini monovalenti oppure polivalenti. Nella formulazione sono in genere presenti un liquido di sospensione, conservanti, stabilizzanti, antibiotici e adiuvanti, vale a dire sostanze in grado di aumentare la risposta immune nei confronti dell’antigene. Un vaccino può essere somministrato per via muscolare, sottocutanea, intradermica, percutanea, orale e intranasale. Le reazioni indesiderate comprendono gonfiore, dolore, irritazione nella sede di iniezione, febbre transitoria, reazioni allergiche e neurologiche, fortunatamente piuttosto rare. Vi possono essere controindicazioni temporanee alle vaccinazioni, come la presenza di malattie acute febbrili o altre malattie giudicate clinicamente rilevanti. Alcune controindicazioni, temporanee o permanenti, sono legate a condizioni di immunodepressione, congenita oppure secondaria a patologie o a terapie farmacologiche, a un eventuale stato di gravidanza o a un’allergia a componenti del vaccino.