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La psoriasi, malattia infiammatoria cronica della pelle

La psoriasi è una patologia infiammatoria cronica che colpisce la cute e non è raro che si presenti in concomitanza con altre malattie immunomediate, come l’artrite psoriasica, le malattie infiammatorie croniche dell’intestino, la celiachia, il diabete. La psoriasi non è ereditaria, ma è caratterizzata da una forte predisposizione genetica e insorge prevalentemente in due fasce di età: tra i 16 e i 22 anni e tra i 50 e i 60 anni. L’esordio prima dei 16 anni è di solito associato a forme più gravi. Oltre alla componente genetica, nonostante le cause esatte che scatenino la psoriasi non siano note, sembra essere implicata la produzione di autoanticorpi rivolti verso componenti dei tessuti cutanei.

La psoriasi volgare o a placche è la forma più frequente ed è caratterizzata da placche eritematose di forma arrotondata di colore rosa-rosso, ricoperte da squame biancastre. Le placche possono interessare qualsiasi distretto corporeo, ma regioni tipiche sono gomiti e ginocchia, tronco e cuoio capelluto, con una localizzazione spesso simmetrica. Le lesioni possono provocare prurito e bruciore anche intensi e coinvolgere le unghie.

Nella psoriasi inversa sono tipiche le chiazze rosse situate nelle pieghe cutanee. La psoriasi guttata è caratterizzata da macchie rossastre a forma di goccia localizzate in particolare nel tronco e negli arti, compare nei bambini e negli adolescenti a seguito di faringotonsilliti da streptococco e può risolversi spontaneamente o evolvere in psoriasi volgare. Nella psoriasi pustolosa si sviluppano pustole ripiene di materiale purulento su tutta la superficie corporea, ma possono anche concentrarsi a livello del palmo delle mani e della pianta dei piedi. Nella psoriasi eritrodermica si osservano eritema ed edema diffusi, condizioni che possono richiedere l’ospedalizzazione per disidratazione e infezioni secondarie.

La condizione di infiammazione cronica determina un’iperproliferazione dei cheratinociti, che rappresentano la tipologia di cellule più abbondante nell’epidermide, ossia lo strato più superficiale della pelle. I sintomi della malattia possono essere tenuti sotto controllo tramite trattamenti locali a base di analoghi della vitamina D e corticosteroidi, utili soprattutto nella psoriasi di grado lieve. Si rivela d’aiuto anche la fototerapia, cioè l’esposizione al sole o a radiazioni ultraviolette selezionate emesse da particolari apparecchiature.

Nelle forme più severe e in caso di artrite la terapia prevede l’impiego di immunosoppressori come metotrexato e ciclosporina, eventualmente associati all’acitretina, principio attivo che contrasta la proliferazione cellulare. Insieme alla corretta assunzione della terapia farmacologica, occorre mantenere la pelle idratata e impiegare prodotti cosmetici a base di agenti cheratolitici, per esempio urea, acido salicilico e acido glicolico. Per i lavaggi si suggerisce di utilizzare acqua tiepida e detergenti delicati dal pH neutro. È necessario evitare di grattare le placche e di sfregarle con l’asciugamano, mentre per l’abbigliamento sono da preferire tessuti naturali che non irritino la pelle.

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Secca o grassa? Rimedi diversi per le due tipologie di tosse

La tosse è un meccanismo riflesso che ha la funzione di rimuovere le sostanze estranee e il muco in eccesso presenti nell’apparato respiratorio. La secrezione eccessiva di muco può essere indice di infezione delle vie respiratorie e si parla in questo caso di tosse grassa o produttiva, mentre è definita tosse secca quella provocata dall’irritazione delle vie aeree. L’infiammazione può avere natura infettiva, virale o batterica, rappresentare un sintomo dell’asma o del reflusso gastroesofageo, essere la conseguenza dell’abitudine al fumo.

La tosse persistente è anche un effetto collaterale associato all’assunzione di farmaci antipertensivi appartenenti alla classe degli Ace-inibitori. Se l’utilizzo di farmaci soppressori della tosse è fondamentale nel trattamento della tosse secca dolorosa associata al carcinoma bronchiale, vi sono casi in cui il loro impiego andrebbe evitato perché potrebbe peggiorare il quadro clinico, per esempio rischiando di andare incontro ad ispessimento e ritenzione dell’espettorato nei casi di infezione polmonare cronica o a depressione respiratoria nell’asma.

Tutti gli oppioidi hanno azione antitussiva a dosi inferiori a quelle usate in terapia antalgica. La codeina è un oppiaceo debole con modesta attività antitussiva a cui è associato un rischio di dipendenza decisamente inferiore rispetto agli altri analgesici narcotici.

L’effetto indesiderato principale conseguenza della sua assunzione è la costipazione. Destrometorfano, diidrocodeina e folcodina hanno minori effetti collaterali e rientrano nella composizione di gocce, pastiglie da sciogliere lentamente in bocca e sciroppi sedativi della tosse. Il butamirato è più indicato nel paziente anziano in quanto, non essendo di natura oppioide, non determina soppressione del centro del respiro. Tra i rimedi naturali che calmano la tosse stizzosa si ricordano gli estratti di piante come altea, piantaggine, malva, aloe, che contengono mucillagini. Queste sostanze, formando un film protettivo sulle mucose irritate, svolgono un’azione emolliente e lenitiva.

Gli estratti di grindelia e drosera hanno sia attività espettorante che antitussiva, rivelandosi quindi utili nella tosse mista. Anche l’olio essenziale di timo è ottimo contro entrambe le tipologie di tosse, oltre a possedere proprietà antimicrobiche; può però risultare irritante sulla mucosa orale quando impiegato per gargarismi. Altri oli essenziali, come quello di eucalipto, svolgono localmente un’azione anestetica, balsamica e antisettica più o meno marcata, pertanto possono essere sfruttati per gargarismi e inalazioni.

Se la tosse è accompagnata da secrezioni catarrose, sono indicati farmaci espettoranti o mucolitici. Sciroppi, pastiglie, compresse, granulati per soluzioni orali contenenti N-acetilcisteina, ambroxolo e guaifenesina facilitano la liberazione dal muco di bronchi e bronchioli.

I primi due principi attivi sono disponibili anche in fiale per aerosol.

Il niaouli, l’olio essenziale che si ottiene da una specie di melaleuca, e il balsamo del Perù e del Tolù fluidificano in modo naturale le secrezioni bronchiali. Per un consiglio mirato si rimanda al farmacista di fiducia o al medico curante, che a seconda del tipo di tosse sapranno indicare il rimedio più adatto.

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Le principali malattie esantematiche: varicella, rosolia, scarlattina, morbillo

Le malattie esantematiche hanno un’origine infettiva, sono contraddistinte da eruzioni cutanee e si manifestano tipicamente durante l’età pediatrica, nonostante sia possibile contrarle anche da adulti.

Comprendono varicella, rosolia, scarlattina e morbillo, che verranno analizzati di seguito, oltre a quinta malattia, sesta malattia, coxsackiosi.

La varicella è causata da un herpesvirus che può provocare anche il cosiddetto fuoco di sant’Antonio. Caratteristiche della malattia sono vescicole cutanee contenenti un siero di colore giallo, pruriginose, che dopo qualche giorno dalla comparsa evolvono in croste. Vi è un periodo di incubazione che va dalle due alle tre settimane dal contatto. Il primo giorno può comparire febbre, che tende a salire in un secondo momento. Per tenere sotto controllo la temperatura corporea è utile la somministrazione di paracetamolo, mentre per contrastare il prurito si possono impiegare antistaminici, associando eventualmente talco mentolato e pasta all’acqua per un maggiore sollievo. La varicella è molto contagiosa e si trasmette tramite droplets, le piccole gocce di saliva emesse parlando, tossendo o starnutendo, oppure per contatto con il liquido contenuto nelle vescicole.

Anche il rubivirus che causa la rosolia si trasmette attraverso le goccioline di saliva. Segni tipici sono le macule rosse che il primo giorno ricoprono tutto il corpo, per poi schiarirsi nei giorni successivi, e l’ingrossamento dei linfonodi localizzati nel collo e dietro le orecchie. Il periodo di incubazione è di due-tre settimane e la comparsa dei sintomi caratteristici può essere accompagnata da febbre e mal di gola; nell’adulto possono manifestarsi dolori alle articolazioni. Il vaccino contro la rosolia, non obbligatorio, è consigliato soprattutto alle bambine; infatti se la malattia viene contratta nelle prime settimane della gravidanza può essere causa di aborti spontanei e malformazioni fetali. L’infezione si risolve spontaneamente e, anche se non è disponibile una terapia specifica, la febbre può essere controllata con il paracetamolo.

La scarlattina è provocata dallo streptococco beta-emolitico di gruppo A; dal momento che esistono diversi ceppi del batterio, è possibile ammalarsi più volte. Il periodo di incubazione varia dai due ai cinque giorni e i sintomi includono mal di gola, febbre, cefalea e, in un secondo momento, comparsa di piccole macchie rosse sulla cute delle regioni caldo-umide, come inguine, ascelle, retro delle orecchie, dorso e lati del torace, che nei giorni successivi possono diffondersi al resto del corpo e del viso, ad eccezione della zona che circonda la bocca. Nella fase tardiva della malattia la lingua si arrossa e la gola risulta infiammata. Per avere conferma della diagnosi è necessario effettuare un tampone faringeo. Il contagio avviene attraverso la saliva o il contato con oggetti contaminati e la terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici.

Il morbillo è causato da un morbillivirus e si trasmette per via aerea.

Il periodo di incubazione è di dieci-dodici giorni. Nei primi tre giorni il soggetto infettato presenta congiuntivite, raffreddore, tosse secca e febbre alta; successivamente la cute si ricopre di macchioline rosso-brune. Non esistono medicinali specifici per il morbillo; possono comunque essere d’aiuto farmaci sintomatici che attenuino febbre e malessere generale. Di solito l’infezione si risolve in maniera spontanea. Possibili complicanze sono otite, broncopolmonite, polmonite, encefalite.

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Piante adattogene: dalla natura, un aiuto contro lo stress

Indipendentemente dalle abitudini di vita, dallo scorso marzo ci ritroviamo tutti, chi più chi meno, ad affrontare un momento storico fortemente stressante. Le droghe definite adattogene possono dare una mano all’organismo per meglio contrastare i fattori di stress, sostenendo fisico e psiche nel fronteggiare carichi di lavoro straordinari. Le piante adattogene aumentano in maniera aspecifica la resistenza con un effetto duraturo, a differenza di altre sostanze di origine naturale contenute per esempio in caffè, tè, guaranà, cacao, che stimolano il sistema nervoso centrale migliorando le performance nell’arco di alcuni minuti ma con un’azione limitata nel tempo.

La droga adattogena più conosciuta ed utilizzata è il ginseng, ma pure l’eleuterococco trova largo impiego e i suoi estratti rientrano spesso tra gli ingredienti funzionali di integratori e rimedi erboristici volti a ridurre l’astenia. Il ginseng, originario della Cina e coltivato anche nel sud-est asiatico, in Giappone e negli Stati Uniti, è utilizzato da più di 2000 anni dalla medicina cinese. Il nome scientifico del genere a cui appartiene, panax, deriva dal greco e significa panacea, a suggerire come questa pianta sia tradizionalmente considerata il “rimedio di tutti i mali”; il nome della specie, ginseng, origina invece dalla lingua cinese e si può tradurre come “pianta uomo”, per la forma che assume la radice.

Il ginseng migliora le prestazioni cognitive rivelandosi utile nei periodi di studio intenso o per coloro che svolgono lavori intellettuali; aumenta la tolleranza allo stress anche fisico e può essere utilizzato con successo dagli individui affetti da stanchezza cronica; ha un’azione antidepressiva e immunostimolante. Può essere d’aiuto per gli sportivi poiché, oltre ad aumentare la resistenza alla fatica, promuove il metabolismo dei carboidrati e diminuisce la produzione di acido lattico nel tessuto muscolare sotto sforzo.

Ad alte dosi e per lunghi periodi di trattamento il ginseng può però provocare irritabilità, disturbi del sonno, tremori agli arti. Da evitare l’impiego nelle donne in gravidanza a causa del potenziale effetto teratogeno, cioè della capacità di indurre malformazioni embrionali. È sconsigliato anche nei pazienti ipertesi, nell’età pediatrica e durante l’allattamento per la caratteristica di incrementare la sintesi di ormoni steroidei; per lo stesso motivo la somministrazione andrebbe interrotta in caso di terapie con cortisonici o estrogeni. Non va assunto in contemporanea con antidepressivi triciclici, di cui ridurrebbe l’effetto, digossina, di cui aumenterebbe i livelli ematici, warfarin, di cui potenzierebbe l’azione anticoagulante, e farmaci per il diabete, di cui incrementerebbe l’effetto.

L’eleuterococco, chiamato anche ginseng siberiano, cresce in Russia orientale, Cina, Corea, Giappone. Condivide con il ginseng le proprietà toniche, stimolanti ed ipoglicemizzanti. L’effetto immunostimolante può essere sfruttato per la prevenzione delle infezioni respiratorie e per ridurre i tempi di recupero in caso di malattia. Come il ginseng, può essere causa di un sonno disturbato, nervosismo, tremori, tachicardia, ossia aumento della frequenza cardiaca, e tachipnea, aumento della frequenza respiratoria. Può aumentare i livelli sierici della digossina, ma non sono note altre interazioni farmacologiche. L’eleuterococco è sconsigliato durante la gestazione e l’allattamento.

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Benzodiazepine, tra effetti collaterali e abuso. Cosa c’è da sapere

Le benzodiazepine rappresentano la classe principale e maggiormente prescritta di farmaci ansiolitici ed ipnoinducenti. Oltre ad essere impiegate per trattare gli stati ansiosi e diminuire il tempo necessario per l’addormentamento, sono anche usate per ridurre il tono muscolare, nell’esecuzione di esami diagnostici invasivi e nella medicazione preanestetica, come anticonvulsivanti. Si tratta quindi di medicinali il cui utilizzo è estremamente diffuso, acquistabili dietro presentazione di ricetta medica ripetibile fino a tre volte nell’arco dei trenta giorni di validità a partire dalla data di redazione. La particolare prescrizione è dovuta al fatto che questi medicinali sono tutt’altro che privi di effetti collaterali e non è infrequente il loro abuso.

Le benzodiazepine possono determinare una condizione di sedazione eccessiva, in particolare quelle a più lunga durata d’azione assunte come ipnotici, provocando il cosiddetto hangover diurno, con sensazione di ottundimento anche a distanza di ore dal risveglio. Le benzodiazepine a breve durata d’azione assunte come ipnotici possono invece causare insonnia da rebound come effetto della dipendenza sviluppata nei loro confronti.

Alla sospensione del trattamento si verifica un’intensificazione non solo dei disturbi del sonno, ma anche dello stato d’ansia e dell’irritabilità, accompagnati talvolta da tremori e vertigini. La crisi di astinenza si instaura tanto più velocemente quanto più rapida è l’azione e l’eliminazione del farmaco, motivi per cui la sospensione della terapia deve avvenire in maniera graduale. Le benzodiazepine provocano anche tolleranza, si assiste cioè a una progressiva riduzione dell’efficacia come risposta di adattamento dell’organismo alla terapia cronica, tale per cui sia necessario un aumento della dose per produrre lo stesso effetto.

Altri effetti indesiderati comuni sono uno stato confusionale, la riduzione delle performance psicomotorie, disorientamento. Si può osservare un peggioramento dell’attenzione, dell’apprendimento, delle capacità mnestiche. Dosi elevate provocano sonno profondo, ipotensione, ipotermia, disartria, ossia difficoltà nell’articolazione delle parole.

In caso di sovradosaggio e assunzione contemporanea di altri depressori del sistema nervoso centrale, come l’alcol, le benzodiazepine possono indure una severa depressione respiratoria. Nel paziente anziano anche alle dosi terapeutiche si possono manifestare vertigini, atassia, cioè mancanza di coordinazione dei movimenti muscolari volontari, allucinazioni.

Come alternativa alle benzodiazepine, nell’ansia lieve si può ricorrere a rimedi naturali, per esempio integratori a base di melissa, biancospino, passiflora, tiglio, lavanda. Per l’insonnia transitoria, il medico può prescrivere un ipnotico per alcuni giorni. Nell’insonnia cronica, di durata superiore a quattro settimane, è preferibile intervenire con un antidepressivo. In ogni caso, per prevenire l’instaurarsi di una dipendenza è meglio utilizzare i farmaci ipnoinducenti per il minor tempo possibile, alla minor dose.

È essenziale che l’ipnotico rispetti il ciclo fisiologico del sonno, caratterizzato dall’alternanza di fasi Rem, con rapidi movimenti degli occhi e intensa attività onirica, e sonno profondo, indispensabile per l’effetto ristoratore. Le benzodiazepine facilitano l’addormentamento, ma accorciano la durata di entrambe le fasi, anche se la quantità totale di sonno non risulta ridotta. Se l’insonnia è passeggera, si possono assumere sedativi naturali a base di melatonina, valeriana, luppolo, camomilla. Per l’insonnia cronica, su parere del medico si può assumere lo zolpidem, che non altera la struttura del sonno né causa alterazioni psicomotorie e per il quale non sono descritte tolleranza e dipendenza.