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In che modo garantire la regolarità del transito intestinale?

Non tutte le persone vanno di corpo regolarmente. Alcune possiedono un intestino più pigro e fanno fatica ad evacuare o avvertono una sensazione di svuotamento intestinale incompleto. Il disturbo può essere passeggero oppure cronicizzare. Nel primo caso può trattarsi della conseguenza di un intervento chirurgico che ha coinvolto l’apparato gastroenterico, così come di una variazione delle abitudini quando ci si trova lontani da casa per un viaggio. Il problema è più frequente nel sesso femminile e in età avanzata. Può anche accompagnare il periodo della gravidanza, interessare coloro che bevono poco o conducono una vita sedentaria, far seguito ad una terapia antibiotica. Il colon irritabile è spesso caratterizzato da alvo alterno. La stitichezza cronica si manifesta in patologie che hanno risvolti sulla motilità intestinale o che provocano infiammazioni della mucosa. È anche un frequente effetto collaterale di molti farmaci ed è comune in patologie croniche come il diabete e le malattie neurodegenerative. In ogni caso, la qualità di vita di chi soffre di stitichezza può risentirne negativamente.

Per risolvere il fastidio, a volte è sufficiente introdurre cambiamenti nello stile di vita, impegnandosi a praticare regolarmente attività fisica, idratandosi in maniera opportuna sia d’estate che d’inverno, consumando i pasti ogni giorno indicativamente agli stessi orari. Si consiglia di aumentare l’apporto di alimenti ricchi di fibre, come cereali integrali, legumi, frutta e verdura. Se queste correzioni non bastassero per ristabilire un regolare transito intestinale, possono essere utili gli integratori alimentari contenenti macrogol, polietilenglicole o PEG oppure zuccheri come lattulosio, mannitolo e sorbitolo. Le sostanze citate sono considerate dei lassativi osmotici, che agiscono cioè richiamando liquidi nell’intestino. Questo rende le feci più morbide, facilitandone l’eliminazione. I lassativi osmotici possono essere assunti anche da bambini e anziani, in ogni caso con l’accortezza di bere in abbondanza.

I lassativi di massa sono a base di fibre solubili che, trattenendo l’acqua, aumentano il volume delle feci. Alcuni esempi sono lo psillio, la crusca, la gomma di guar, l’agar-agar. Anche questi lassativi possono essere impiegati nell’infanzia e nella terza età, oltre che durante la gravidanza. I cosiddetti lassativi di contatto, dato che promuovono la motilità intestinale con il rischio di provocare crampi dolorosi o peggiorare la stitichezza, non andrebbero usati per lunghi periodi. Cascara, senna, rabarbaro, frangula, olio di ricino agiscono con questo meccanismo, aumentando la contrazioni delle pareti intestinali e favorendo così l’avanzamento della massa fecale. I lassativi emollienti, come la paraffina liquida o olio di vaselina, invece lubrificano le feci e ne agevolano l’espulsione.

Esistono poi lassativi salini, a base di ioni magnesio, fosfato e solfato, nei confronti dei quali si può però sviluppare una tolleranza, che si traduce in un minore effetto lassativo nel tempo agli stessi dosaggi. Alcuni di questi sali sono lassativi decisamente forti, per cui l’uso andrebbe limitato alla preparazione di esami endoscopici e interventi di chirurgia. Oltre ai rimedi per bocca, si ricorda infine la possibilità di ricorrere all’impiego di supposte o microclismi di glicerolo. Per orientarvi nel mondo dei prodotti per regolarizzare l’evacuazione, i professionisti più indicati a cui chiedere consiglio rimangono il farmacista di fiducia e il vostro medico.

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Diabete mellito, quali consigli alimentari per tenerlo sotto controllo?

Esistono quattro tipologie principali di diabete, che in Italia rientra tra le patologie più diffuse: di tipo 1 o insulino-dipendente, di tipo 2 o non insulino-dipendente, diabete mellito gestazionale e diabete mellito secondario. Il primo è caratterizzato da un processo autoimmunitario che porta alla distruzione delle cellule del pancreas deputate alla secrezione di insulina, ormone dall’effetto ipoglicemizzante. I pazienti devono introdurre ogni giorno insulina, mentre nel diabete di tipo 2 la terapia prevede l’assunzione di ipoglicemizzanti orali. Nel diabete non insulino-dipendente le cellule pancreatiche continuano a produrre insulina, ma sono meno sensibili all’ipoglicemia e i tessuti che normalmente rispondono all’insulina diventano meno sensibili a questo ormone, con conseguente iperglicemia. Il diabete gestazionale insorge in genere nel secondo trimestre della gravidanza, normalmente scompare dopo il parto, ma predispone le donne che ne hanno sofferto allo sviluppo del diabete di tipo 2. Il diabete mellito secondario è invece la conseguenza di altre patologie, tra cui pancreatiti, obesità, disordini endocrini, o dell’impiego prolungato di alcuni farmaci.

L’approccio al diabete si basa, oltre che sul trattamento farmacologico, sull’esercizio fisico e sull’alimentazione. Per quanto riguarda le proteine, un apporto eccessivo è collegato al rischio di andare incontro a una riduzione della funzionalità renale. È bene introdurre proteine sia di origine animale, preferendo le carni bianche e il pesce a carni rosse, insaccati e formaggi, che vegetali, contenute in legumi, cereali, frutta a guscio, semi oleaginosi. Occorre limitare l’introduzione dei lipidi privilegiando gli alimenti naturalmente ricchi di acidi grassi ω-3, di cui la miglior fonte è l’olio di fegato di pesce. Questi grassi proteggono dalle patologie cardiovascolari e contribuiscono a ridurre i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, spesso elevati nei diabetici. Venendo ai carboidrati, quelli complessi devono costituire almeno l’80% del totale introdotto. Gli zuccheri semplici infatti determinano un rapido incremento dei livelli plasmatici di glucosio. Fondamentale è il consumo di fibre, dal momento che aiutano a ridurre i valori della glicemia postprandiale. Hanno inoltre il vantaggio di aumentare la sensibilità dei tessuti all’insulina, diminuire le oscillazioni nella concentrazione di glucosio nel sangue, contribuire a tenere il peso sotto controllo. Poiché l’alcol può causare ipoglicemia, è sconsigliato in chi è affetto da diabete.

Un discorso a parte meritano gli edulcoranti. I polioli comprendono il sorbitolo, ampiamente utilizzato in alimenti e bevande dietetiche; il mannitolo, che ha un effetto rinfrescante e per questo trova impiego nella produzione di caramelle balsamiche; lo xilitolo, estratto in prevalenza dalla corteccia della betulla; il lattitolo e il maltitolo, usati dall’industria dolciaria. Vi sono poi proteine dall’effetto dolcificante, come monacolina, monellina e taumatina, che però possono conferire un sapore non sempre gradevole agli alimenti a cui sono addizionati. Tra i dolcificanti sintetici, si ricordano aspartame, non adatto per i prodotti da forno perché instabile alle alte temperature e controindicato per le persone affette da fenilchetonuria, una malattia metabolica di origine genetica; acesulfame K, aggiunto a bevande analcoliche e gomme da masticare e utilizzabile anche come dolcificante da tavola; saccarina, che presenta lo svantaggio di un retrogusto metallico e amaro; ciclammato, stabile sia ad alte che a basse temperature.

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Ipertrofia prostatica benigna: un disturbo da non trascurare

La prostata è una ghiandola situata sotto la vescica urinaria maschile, davanti al retto, e circonda il primo tratto dell’uretra, il canale deputato al trasporto verso l’esterno dell’urina e del liquido seminale. La ghiandola prostatica produce e rilascia nell’uretra il liquido prostatico, un componente dello sperma, e i muscoli che si trovano in prossimità della prostata, contraendosi, regolano il flusso urinario e l’espulsione del liquido spermatico.

Con l’età questa ghiandola tende ad ingrossarsi: si parla di ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (IPB). Si tratta di una condizione molto diffusa tra gli uomini che hanno superato i cinquant’anni. Le cause non sono note, ma pare possibile un legame con il cambiamento degli assetti ormonali che accompagna il fisiologico processo di invecchiamento, una riduzione della funzionalità del microcircolo, l’infiammazione cronica. Abitudini errate quali abuso di fumo e alcol e patologie come obesità, diabete, ipertensione sono fattori predisponenti all’insorgenza di questa condizione.

I principali sintomi che interessano le vie urinarie come conseguenza dell’IPB sono difficoltà ad iniziare la minzione e a svuotare completamente la vescica a causa della compressione dell’uretra, getto urinario debole e intermittente e incontinenza. La frequenza della minzione aumenta, sia di giorno che di notte, e si possono avvertire una sensazione di gonfiore alla vescica e dolore alle basse vie urinarie. Non si tratta di disturbi che abbiano gravi conseguenze sulla salute di chi ne soffre, ma possono risultare assai invalidanti e comportare un’importante riduzione della qualità della vita. Le conseguenze possono interessare anche la sfera sessuale, nonostante non sia dimostrata una relazione tra IPB e disfunzioni erettili. Occorre non sottovalutare il problema onde evitare che l’IPB progredisca, causando infezioni al basso tratto urinario, infiammazioni, calcoli vescicali, ritenzione urinaria, con compromissione della funzione renale. Diventa dunque fondamentale non ignorare i segnali inviati dal proprio corpo e programmare una visita di controllo dall’urologo, che è lo specialista di riferimento per queste problematiche.

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Estate alle porte, zanzare già pronte: prevenzione e trattamento delle loro punture

Sono arrivati i primi caldi e, con questi, le prime zanzare. I fastidiosi insetti ci accompagneranno per tutti i mesi estivi; fortunatamente disponiamo di diversi rimedi per prevenire e trattare le loro punture. La dietiltoluamide, molecola che negli ingredienti degli spray repellenti troviamo indicata come DEET, è la sostanza più potente per allontanare le zanzare. L’odore della DEET, spruzzata direttamente sulla cute o sugli indumenti, è sgradito non soltanto alle zanzare, ma anche a zecche, pulci e tafani. A seconda della concentrazione del principio attivo e del tipo di zanzara da cui ci si vuole difendere, l’applicazione va rinnovata ogni 4-9 ore. Indipendentemente dalla percentuale di DEET, meglio evitarne l’uso nella prima infanzia, dal momento che viene assorbita per via cutanea. I prodotti con una concentrazione superiore al 50% non sono idonei all’uso nei soggetti di età inferiore ai 17 anni. Per prevenire le punture nei bambini al di sopra dei 2 anni, meglio scegliere prodotti a base di icaridina, molecola efficace scarsamente assorbita attraverso la pelle. Si raccomanda di non trattare con questi prodotti le mani dei più piccoli, per scongiurare il rischio che, portandole alla bocca, possano ingerire le sostanze in essi contenute.

Se si preferiscono i rimedi naturali, in farmacia è possibile trovare lozioni spray, salviette, stick, gel, bracciali contenenti sostanze dall’azione protettiva nei confronti degli antipatici insetti. Avendo un’efficacia nettamente inferiore alle molecole di sintesi, l’applicazione andrà ripetuta con una maggiore frequenza. Tra gli estratti più efficaci ricordiamo quelli dell’eucalipto citrato, ma altrettanto diffusi sono gli oli essenziali di citronella, concentrati anche all’interno di candele, e di geranio, lavanda, timo. Questi prodotti non garantiscono una protezione sufficiente dalle zanzare che popolano le aree tropicali; meglio riservarne l’uso alle nostre latitudini.

Le zanzariere montate sulle finestre costituiscono in ogni caso una prima barriera difensiva. Se in casa sono presenti neonati, si suggerisce di proteggere culla e carrozzina con veli di tulle a maglie strette. A livello domestico si può far uso di fornelli elettrici riscaldanti apposite piastrine che emettono l’insetticida. Occorre avere l’accortezza di arieggiare i locali per evitare che in ambienti ristretti si abbia un accumulo del prodotto. Le piastrine possono essere impiegate anche in spazi aperti. All’esterno si può inoltre fare uso di spirali e bastoncini che, una volta accesi, rilasciano fumi nocivi per le zanzare.

Se, nonostante le precauzioni messe in atto, qualche zanzara fosse sfuggita al nostro controllo, prurito, bruciore, gonfiore e arrossamento conseguenti alla puntura si possono alleviare con cosmetici in forma di stick, roll on, gel dall’azione lenitiva. L’ammoniaca, tradizionalmente impiegata per attenuare il prurito, dopo il sollievo immediato può provocare irritazione, soprattutto a carico delle pelli più delicate. Anche l’alcol dona conforto, ma non va utilizzato sulla cute sensibile e, come per l’ammoniaca, ne è sconsigliato l’uso nei bambini. L’aloe vera ha potere calmante; canfora e mentolo un effetto rinfrescante. Trattenendosi dall’impulso di grattarsi, per ottenere un’azione anestetica naturale si può bagnare la parte interessata con acqua fredda o tamponarla con un cubetto di ghiaccio avvolto in un panno di cotone.

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Farmaci e integratori: un’accoppiata non sempre vincente

A molti sarà capitato di acquistare integratori alimentari per trattare una specifica problematica, migliorare lo stato di salute o cercare di mantenerlo. Non tutti sanno che l’assunzione contemporanea di supplementi dietetici e farmaci può alterare l’effetto di questi ultimi. Il problema cresce se il paziente ha patologie croniche e i farmaci sono molteplici. Prima di iniziare un ciclo di integrazione sarebbe buona cosa chiedere il parere del medico o del farmacista: entrambi sapranno consigliare il rimedio più adatto tenendo conto di vari fattori, tra cui età, sesso, stile di vita e – aspetto da non trascurare – eventuali terapie in atto.

La direttiva europea 2002/46/CE definisce gli integratori come prodotti alimentari. Occorre prestare attenzione non soltanto a ciò che introduciamo come supplemento, ma anche ai cibi che portiamo in tavola. Il succo di pompelmo che beviamo a colazione, per esempio, causa un incremento dell’effetto di farmaci appartenenti a tantissime classi diverse. Per questo motivo, in via precauzionale è bene fare a meno di consumare questo agrume quando si assumono medicinali. Altro alimento da cui, in certi casi, è ragionevole stare alla larga è la liquirizia che, alzando la pressione arteriosa, rischia di vanificare gli effetti dei farmaci antipertensivi. Inoltre, se si fa uso di cortisonici ne riduce gli effetti e determina un aumento dell’escrezione di potassio per via renale, provocando astenia e predisponendo al rischio di aritmie cardiache. L’alcol, che per il nostro organismo non è un alimento ma una sostanza tossica, interferisce con numerosi farmaci e ne potenzia gli effetti negativi. Dunque, evitare di consumarlo sempre e comunque, ma soprattutto se si assumono farmaci che esplicano la loro azione a livello del sistema nervoso.

Tra gli antidepressivi naturali uno dei più utilizzati è l’iperico o erba di San Giovanni. Mai assumerlo insieme ai contraccettivi ormonali, in quanto ne riduce l’efficacia, esponendo al rischio di gravidanze indesiderate. Questa pianta officinale riduce gli effetti terapeutici di tanti altri farmaci, dal momento che induce l’attività degli enzimi deputati al loro metabolismo. Se si vuole scegliere un rimedio fitoterapico che agisca sul tono dell’umore, meglio optare per gli estratti di rhodiola rosea, griffonia, biancospino. Il panax ginseng, come evoca il nome, nella medicina tradizionale cinese è considerato una sorta di panacea. Questo “rimedio universale” viene impiegato soprattutto come adattogeno, termine che si riferisce a una sostanza in grado di stimolare il sistema immunitario e, più in generale, le capacità di resistenza del corpo umano a fattori stressanti fisici e mentali. Proprietà analoghe si riscontrano nel ginkgo biloba. Bisogna astenersi dai rimedi che contengono derivati di queste due piante se è in corso una terapia antiaggregante o anticoagulante, poiché potrebbero causare pericolosi fenomeni emorragici.

Per quanto concerne i sali minerali, gli integratori contenenti potassio vanno evitati da coloro che sono in terapia con alcune classi di antipertensivi, dato che potrebbero portare ad un accumulo di potassio con affaticamento muscolare, crampi addominali, diarrea e, nei casi più gravi, aritmie. No alla somministrazione contemporanea di antibiotici appartenenti alle classi delle tetracicline e dei fluorochinoloni con integratori in cui, tra gli ingredienti, figuri il calcio. Vietata anche l’associazione con latte e succhi di frutta addizionati di questo minerale.