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Mal d’orecchio, un disturbo di stagione

L’orecchio, suddiviso nelle porzioni esterna, media e interna, è l’organo preposto al senso dell’udito e al mantenimento dell’equilibrio, grazie al sistema vestibolare situato nella parte più interna. Nella stagione autunnale gli sbalzi di temperatura e il vento possono provocare infiammazioni dell’orecchio a vari livelli, accompagnate da dolore anche piuttosto intenso.

L’otite esterna è un’infiammazione della cute dell’orecchio esterno, con o senza coinvolgimento della membrana timpanica, e in genere è causata dall’infezione di un follicolo pilifero. La dermatite può interessare anche aree più estese del condotto uditivo esterno; comunque la formazione di un semplice foruncolo è in grado di determinare un dolore importante, percepibile al solo sfioramento del padiglione auricolare, in quanto la cute dell’orecchio è ampiamente innervata, e il gonfiore può essere causa di sordità temporanea. Le infezioni che provocano l’otite esterna sono di solito di origine batterica, ma non sono rare le infezioni fungine e virali. Possono essere la conseguenza di bagni in acque poco pulite, motivo per cui si consiglia di utilizzare sempre tappi in silicone o di cera se si frequentano le piscine, o di un’eccessiva pulizia delle orecchie.

Il cerume ha infatti la funzione di proteggere l’orecchio dalle infezioni, anche grazie al pH leggermente acido: per questo è controindicato il lavaggio con sapone, che normalmente ha pH alcalino.

Andrebbe evitato l’uso dei cotton fioc, poiché possono spingere il cerume in profondità e provocare microlesioni della pelle che facilitano la proliferazione microbica. Dato che la desquamazione della cute è un fattore predisponente all’ingresso dei germi, i soggetti affetti da patologie dermatologiche come la dermatite seborroica o la psoriasi risultano più facilmente soggetti alle otiti. In generale, per l’igiene è meglio impiegare soluzioni isotoniche in fialette o spray oppure gocce oleose che sciolgano il cerume, che fuoriuscirà dall’orecchio senza la necessità di eliminarlo con i bastoncini cotonati. Sarà compito dello specialista in otorinolaringoiatria rimuovere eventuali tappi di cerume tramite una cannula collegata ad un sistema di aspirazione.

Il termine miringite indica l’infiammazione del timpano, la membrana che costituisce la parete esterna dell’orecchio medio. L’otite media colpisce in prevalenza in età pediatrica e spesso è una complicanza del raffreddore. Mantenere il naso pulito attraverso lavaggi con acqua fisiologica o soluzioni ipertoniche può aiutare a prevenire questo disturbo frequente nel bambino. L’otite interna coinvolge l’orecchio interno ed è accompagnata da violente vertigini e acufeni, cioè disturbi uditivi percepiti come fischi, ronzii, pulsazioni. Può essere causata da infezioni batteriche o virali, come nel caso della parotite, più nota come “orecchioni”.

Per attenuare il dolore e trattare l’infezione si possono utilizzare gocce auricolari a base di anestetici locali, come la lidocaina e la procaina, analgesici, come il fenazone, antibiotici, per esempio la neomicina e la polimixina b, e cortisonici, quali il fluocinolone e il betametasone. L’impiego di antibatterici e cortisonici va riservato alle infezioni per le quali si abbia la certezza della natura batterica; in caso di infezioni fungine si andrebbe soltanto a peggiorare il quadro.

Per limitare il dolore è possibile assumere paracetamolo o ibuprofene per bocca. Nei casi più gravi, l’otorinolaringoiatra potrà prescrivere una terapia antibiotica, antimicotica ed eventualmente cortisonica per via sistemica.

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Primo dicembre: giornata mondiale contro l’Aids

La giornata mondiale contro l’Aids, istituita nel 1988, ricorre il primo dicembre e, come si legge sulla pagina dell’Onu Italia www.onuitalia.it/1-dicembre-giornata-mondiale-contro-laids [1], rappresenta «un’importante occasione per promuovere prevenzione e assistenza, combattere i pregiudizi e sollecitare i governi e la società civile affinché vengano destinate risorse appropriate per la cura e le campagne di informazione».

Il virus dell’immunodeficienza umana o Hiv colpisce il sistema immunitario dell’uomo rendendo l’organismo maggiormente suscettibile ad infezioni e tumori. Come riportato su EpiCentro, il portale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità, al link https://www.epicentro.iss.it/aids/, «l’Hiv è un virus a Rna che appartiene a una particolare famiglia virale, quella dei retrovirus, dotata di un meccanismo replicativo assolutamente unico. Grazie a uno specifico enzima, la trascrittasi inversa, i retrovirus sono in grado di trasformare il proprio patrimonio genetico a Rna in un doppio filamento di Dna. Questo va ad inserirsi nel Dna della cellula infettata (detta “cellula ospite” o “cellula bersaglio”) e da lì dirige la produzione di nuove particelle virali».

La fuoriuscita dei virioni, ossia delle particelle virali mature, provoca la morte della cellula. Con la progressione dell’infezione, le difese immunitarie dell’ospite si riducono e, dopo una fase asintomatica che può protrarsi anche per parecchi anni, si manifestano i sintomi della malattia. Si parla a questo punto di sindrome da immunodeficienza acquisita o Aids conclamato, caratterizzato da infezioni ricorrenti e neoplasie che hanno il potenziale di colpire qualsiasi organo e sono responsabili del decesso.

L’Hiv si trasmette per contatto diretto tra i fluidi corporei della persona infetta e quelli di un soggetto suscettibile, quindi attraverso rapporti sessuali non protetti, vale a dire senza l’utilizzo del preservativo, sangue, per esempio attraverso lo scambio di siringhe infette o punture accidentali con inoculo di sangue infetto, e per via materno-fetale, durante la gravidanza, al momento del parto o con l’allattamento. È fondamentale che gli operatori sanitari adottino misure precauzionali per proteggersi dal contagio, utilizzando sempre guanti e occhiali nei casi in cui vi possa essere un contatto con il sangue di un paziente.

Nella maggior parte dei paesi, il rischio di infezione a seguito di trasfusioni o trapianti è ridotto in quanto vengono effettuati test che escludono la presenza del virus nel tessuto del donatore. Si ricorda che l’Hiv non si trasmette attraverso la saliva, ad esempio tramite baci o la condivisione di alimenti e posate, né attraverso l’uso comune dei servizi igienici, punture di insetto o morsi di animali domestici.

Patologie indicative di Aids sono candidosi polmonari ed esofagee, polmoniti ricorrenti, toxoplasmosi cerebrale, infezioni opportunistiche, che si presentano cioè in soggetti immunocompromessi, come quelle provocate da herpesvirus, linfomi, carcinomi della cervice uterina, tubercolosi polmonare e la cosiddetta wasting syndrome, uno stato di deperimento grave tipico della fase terminale della malattia.

La terapia antiretrovirale contro l’Hiv protegge dallo sviluppo dell’Aids ed è tanto più efficace quanto più è precoce la somministrazione del trattamento. La corretta assunzione della terapia durante la gestazione consente inoltre di prevenire la trasmissione verticale, cioè dalla madre al figlio.

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Perdita dei capelli: fisiologica o patologica?

Tutti i nostri capelli sono soggetti a caduta, in un ciclo continuo costituito da una fase di crescita detta anagen, una fase di transizione definita catagen e una fase di riposo, telogen. Il fenomeno della caduta dei capelli si accentua in primavera e autunno: se dunque in questo periodo dell’anno al risveglio si nota un numero consistente di capelli sul cuscino e le ciocche risultano indebolite non c’è da preoccuparsi.

Una dieta sana, varia ed equilibrata svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento di una capigliatura forte e robusta. Deficit di proteine, vitamine, minerali e acidi grassi polinsaturi sono associati alla riduzione del diametro del fusto dovuta a un’alterazione nei processi di formazione della cheratina, la proteina principale componente dei capelli, composta da aminoacidi alternati a vitamine e oligoelementi. Ai cambi di stagione può essere utile integrare l’alimentazione con supplementi specifici contenenti vitamine del gruppo B e vitamina A, minerali come zinco, selenio, rame e cisteina, aminoacido abbondante nella cheratina.

La situazione è diversa se si assiste ad una significativa diminuzione del numero di capelli: si parla in questo caso di alopecia, che può portare alla perdita totale dei capelli. Nell’alopecia cicatriziale, che comprende diverse forme dovute a lesioni o ustioni del cuoio capelluto, stati infettivi e patologie del sistema immunitario, si assiste alla distruzione del follicolo pilifero. Si tratta quindi di una condizione irreversibile e la perdita dei capelli è definitiva. Le forme di alopecia non cicatriziali includono l’alopecia androgenetica, la forma più comune di calvizie che colpisce soprattutto il sesso maschile in età adulta, l’alopecia areata, l’anagen effluvium e il telogen effluvium.

Nell’alopecia androgenetica la fase anagen del ciclo di vita del capello si accorcia così tanto da rendere impossibile la fuoriuscita del nuovo capello sulla superficie cutanea. Si osserva inoltre un’importante riduzione delle dimensioni dei follicoli mediata dagli ormoni androgeni, ma il meccanismo alla base del processo non è ancora chiaro. Soluzioni cutanee a base di minoxidil sono utilizzate per prolungare la durata della fase anagen. Oltre ai preparati industriali, possono essere allestite dal farmacista preparazioni galeniche, con un costo più basso, ma lo svantaggio di una minore stabilità e quindi di una durata inferiore. Nell’uomo trova impiego anche la finasteride a basse dosi, dispensabile dietro presentazione di ricetta non ripetibile.

L’alopecia areata può interessare non soltanto la chioma, ma pure altri distretti corporei ricoperti da peli, come barba e sopracciglia. È probabile un’origine autoimmune, anche se ad oggi le cause non sono note. Si può presentare a chiazze oppure può coinvolgere l’intero cuoio capelluto o tutto il corpo. Nell’anagen effluvium si verifica una rottura dei capelli durante la fase di crescita, conseguenza di chemio- e radioterapia. Il telogen effluvium si caratterizza per la perdita diffusa dei capelli in un periodo transitorio di durata compresa tra i tre e i cinque mesi, a seguito di stress psicofisici. Malattie epatiche, renali, tiroidee, anemie, carenza di zinco, gravidanza, infezioni e uso di alcuni farmaci rientrano tra le cause del telogen effluvium. In tutti i casi di alopecia, si consigliano creme solari o cappelli e foulard per proteggere il cuoio capelluto esposto, anche nei mesi più freddi.

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Ansia e insonnia da emergenza sanitaria: strategie per affrontarle

L’ansia è un meccanismo fisiologico che l’organismo attua in risposta a sollecitazioni esterne. Situazioni inattese che creino disagio inducono uno stato d’allerta, con attivazione di riflessi autonomi, secrezione di corticosteroidi ed emozioni negative. Quando queste reazioni avvengono in maniera indipendente dall’esposizione ad eventi stressogeni, si parla di stati d’ansia patologici, caratterizzati da sintomi che interferiscono con le normali attività. Dall’inizio della pandemia di Covid il mondo intero si trova ad affrontare un evento imprevisto che crea indubbie difficoltà e, alla paura del contagio, si somma una serie di preoccupazioni legate più o meno direttamente all’emergenza sanitaria, come la perdita di persone care o l’esperienza della malattia, situazioni lavorative precarie, aumento del carico di lavoro domestico nel caso di figli piccoli da accudire con le scuole chiuse, magari sperimentando modalità di telelavoro che richiedano una ripianificazione dell’organizzazione famigliare. Al tutto va aggiunta l’impossibilità di fare progetti per il futuro e di dedicarsi ai propri interessi al di fuori delle mura domestiche, con l’assenza o comunque la forte riduzione della vita sociale.

Queste condizioni hanno contribuito a creare nella popolazione un senso di incertezza, portando le persone più predisposte a provare un senso di timore anche di fronte alle comuni situazioni della vita, sperimentando scarsa concentrazione e talvolta insonnia. Ai sintomi mentali si possono accompagnare quelli fisici, con tachicardia, palpitazioni, difficoltà respiratorie, sensazione di dolore al torace, nausea, sudorazione, debolezza e affaticabilità, secchezza delle fauci.

Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, si parla di ansia generalizzata quando vi è un costante stato d’ansia immotivata; gli attacchi di panico sono crisi di paura improvvise con manifestazioni fisiche marcate; le fobie sono forti paure che si verificano in specifiche circostanze; nel disturbo ossessivo-compulsivo l’ansia si manifesta con atteggiamenti ripetitivi; nei disturbi da stress post-traumatico l’ansia è invece causata dal ricordo di esperienze stressanti.

Per contrastare l’ansia lieve e i disturbi del sonno ad essa associati possono essere impiegati preparati a base di estratti vegetali, per esempio valeriana, melissa, passiflora, luppolo, lavanda. Per le forme più severe il medico di base o lo specialista in psichiatria potranno prescrivere farmaci ansiolitici e ipnotici. La classe di ansiolitici più largamente utilizzata è quella delle benzodiazepine, che comprendono alprazolam, lorazepam, lormetazepam, triazolam, diazepam, facilmente assorbite per bocca e distinte sulla base della durata d’azione.

Quest’ultima condiziona la scelta del farmaco, che varia a seconda dell’uso clinico: la molecola scelta per trattare un’ansia grave accompagnata da aggressività sarà quindi diversa da quella usata per indurre il sonno o una riduzione del tono muscolare nella cefalea conseguente a uno stato ansioso.

Un’alternativa alle benzodiazepine è il buspirone, che risulta meno efficace ma non provoca sedazione né dipendenza. Vi sono infine farmaci ipnoinducenti non benzodiazepinici, come lo zolpidem, verso i quali non è stata descritta dipendenza, e antidepressivi a cui è utile ricorrere per trattare l’ansia cronica associata a stati depressivi. Si tratta in ogni caso di farmaci poco maneggevoli, con numerosi effetti collaterali anche importanti, pertanto la terapia deve essere seguita dal medico. Il trattamento delle manifestazioni d’ansia severa prevede inoltre l’affiancamento della psicoterapia alla terapia farmacologica.

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Gastroenterite virale, un’infezione frequente nella stagione fredda

In autunno e inverno si sente parlare ripetutamente di influenza stagionale, che l’Istituto superiore di sanità definisce come “una malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali”. I virus dell’influenza si trasmettono soprattutto attraverso i droplet, le goccioline di saliva emesse quando si parla, si tossisce o si starnutisce. Assai frequenti sono anche le sindromi comunemente note come influenze intestinali, in termini medici dette gastroenteriti. Si tratta di infezioni che provocano un’infiammazione a carico della mucosa di stomaco e intestino, molto comuni in particolare in età pediatrica, causate da batteri, più raramente da parassiti o, nella maggior parte dei casi, da virus. I principali batteri coinvolti nelle infezioni gastrointestinali sono salmonella, campylobacter e clostridium difficile, mentre i virus maggiormente implicati in queste tipologie di infezione appartengono ai generi rotavirus e calicivirus. La trasmissione avviene per via oro-fecale attraverso il contatto con mani sporche o l’ingestione di acqua e cibi contaminati. Lavare le mani prima di mangiare ed evitare di portarle inavvertitamente alla bocca se poco pulite rappresentano importanti forme di prevenzione del contagio.

La sintomatologia include nausea, vomito, dissenteria, dolore addominale, talvolta febbre. Solitamente i sintomi regrediscono in maniera spontanea nel giro di pochi giorni, ma occorre prestare particolare attenzione al rischio di disidratazione nei bambini piccoli e negli anziani. Per quanto riguarda la dieta, si consigliano alimenti facilmente digeribili quali pane, riso e pasta in bianco, pesce, carne magra e frutta come mele e pere crude, dall’azione astringente. È d’obbligo sforzarsi di bere in abbondanza, introducendo i liquidi a piccoli sorsi se è presente nausea, per reintegrare i liquidi persi con diarrea e vomito.

Per contrastare nausea e vomito sono d’aiuto integratori a base di zenzero e vitamina B6; se non fossero sufficienti, si può ricorrere a farmaci antiemetici come metoclopramide e domperidone. L’assunzione di medicinali antidiarroici, tra cui si ricordano loperamide e diosmectite, non sempre risulta utile, in quanto potrebbe prolungare i tempi di guarigione. Se compare febbre, il farmaco di elezione è il paracetamolo.

Per riequilibrare la flora intestinale si suggerisce un ciclo di probiotici, anche detti fermenti lattici. Specifico per le sindromi diarroiche è il saccharomyces boulardi, un lievito resistente ai farmaci antibatterici che può quindi essere utilizzato anche per prevenire o trattare le forme di diarrea conseguenti alle terapie antibiotiche.

Nella prima infanzia e nei soggetti debilitati, rispetto al trattamento con antidiarroici risulta prioritaria la reidratazione con soluzioni a base di sali minerali e zuccheri da somministrare per via orale, in modo da facilitare il ripristino dell’equilibrio elettrolitico alterato.

Segni di disidratazione riconoscibili dalle persone che si prendono cura di bambini e anziani sono la secchezza delle mucose, la sete, le estremità fredde, la colorazione scura delle urine e una riduzione del loro volume. Se la frequenza delle evacuazioni è elevata e compare febbre è in tutti i casi necessario consultare il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale.