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L’allattamento al seno aumenta i metaboliti per la crescita del cervello

L’alimentazione come farmaco principale per la prevenzione e risoluzione di problemi ad essa correlati, ma anche come fonte primaria di vita sin dai primi minuti dalla nascita. A fornire ulteriori prove su quest’ultima affermazione è stato un team di ricerca presso il Children’s National, tra i migliori ospedali pediatrici degli Stati Uniti d’America. Nello specifico, è stato dimostrato che i neonati che consumano principalmente latte materno hanno livelli significativamente più alti di metaboliti importanti per la crescita e lo sviluppo del cervello. Nello studio in oggetto, i ricercatori hanno arruolato neonati con peso alla nascita molto basso (meno di 1.500 grammi) e 32 settimane di età gestazionale o più giovani alla nascita quando sono stati ricoverati nell’unità di terapia intensiva neonatale infantile nella prima settimana di vita. Il team ha inoltre raccolto dati dalla materia bianca frontale destra e dal cervelletto, regione del cervello che consente alle persone di mantenere l’equilibrio e una corretta coordinazione muscolare e che supporta le funzioni cognitive di alto livello.
«La nostra precedente ricerca ha stabilito che i neonati pretermine vulnerabili che vengono nutriti nella prima infanzia hanno migliorato la crescita del cervello e gli esiti dello sviluppo neurologico, non è chiaro cosa rende l’allattamento al seno così benefico per i cervelli in via di sviluppo», afferma Catherine Limperopoulos, Ph.D., ricercatore presso il Children’s National. «La spettroscopia di risonanza magnetica protonica, una tecnica di imaging non invasiva che descrive la composizione chimica di specifiche strutture cerebrali, ci consente di misurare i metaboliti essenziali per la crescita e rispondere a questa domanda persistente. Spettri di sostanza bianca cerebrale hanno mostrato livelli significativamente maggiori di inositolo (una molecola simile al glucosio) per i bambini alimentati con latte materno, rispetto ai bambini alimentati con la formula. Gli spettri cerebellari avevano livelli di creatina significativamente maggiori per i bambini allattati al seno rispetto ai bambini alimentati con la formula. E la percentuale di giorni in cui i bambini sono stati allattati al latte materno è stata associata a livelli significativamente più elevati di creatina e colina, un nutriente solubile in acqua».
«I livelli di metaboliti chiave aumentano durante i periodi in cui i cervelli dei bambini sperimentano una crescita esponenziale», afferma Katherine M. Ottolini, autrice principale dello studio. «La creatina facilita il riciclaggio di ATP, la valuta energetica della cellula. Vedere maggiori quantità di questo metabolita denota cambiamenti più rapidi e una maggiore maturazione cellulare. La colina è un marker del turnover della membrana cellulare, quando vengono generate nuove cellule, vediamo aumentare i livelli di colina».

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Esami in vista: come arrivare preparati e contrastare gli imprevisti di salute

Come ogni anno, i mesi di giugno e luglio rappresentano per molti studenti italiani una corsa ad ostacoli per il conseguimento dei relativi esami. Come in uno sport, tuttavia, ciò che conta è il processo di preparazione non solo sugli argomenti oggetto di esame ma anche fisica. In altre parole, è bene arrivare il giorno degli esami preparati, non solo con una buona preparazione teorica ma anche combattendo le problematiche tipiche di chi è soggetto a dei tour estenuanti di studio. Per far leva su queste tematiche e mantenere alta l’attenzione sulla fase preparatoria in vista e durante gli esami, Assosalute, ovvero l’Associazione nazionale farmaci di automedicazione che riunisce le aziende italiane e internazionali che producono e commercializzano in Italia farmaci di automedicazione, «ha evidenziato una serie di consigli utili per affrontare i disturbi più comuni e, se necessario, ricorrendo anche all’impiego consapevole e responsabile dei farmaci di automedicazione, riconoscibili grazie alla presenza del bollino rosso che sorride sulla confezione».
Il primo è il mal di testa, definito da Assosalute come «uno dei sintomi più diffusi nei periodi di studio», che, tra le cause più comuni, vede «stress, spossatezza, disturbi del sonno e stanchezza degli occhi». Secondo quanto spiega l’associazione, «è importante, per evitare il dolore, staccare di tanto in tanto, distraendosi con attività all’aria aperta, cercando di fare delle pause non solo dai libri ma anche dai device elettronici. Inoltre, fondamentale anche durante le ore di studio è bere. La disidratazione può, infatti, favorire – complice anche la stanchezza – la comparsa di mal di testa».
Anche i disturbi gastro-intestinali possono essere «la valvola di sfogo di ansia e tensioni». Per questo motivo «è fondamentale mangiare cibi sani e leggeri – attenzione in questo caso a snack e cibi molto calorici, che possono favorire il bruciore allo stomaco. In caso di diarrea, è bene bere molta acqua e adottare una dieta povera di fibre».
Venendo ai disturbi del sonno «è risaputo che le notti prima degli esami sono spesso insonni e passate sui libri». Tuttavia, evidenzia Assosalute, «è buona abitudine per facilitare lo studio e aiutare la memoria, studiare di giorno e dormire nelle ore notturne, cercando di coricarsi sempre alla stessa ora». Oltre ad evitare «l’assunzione di cibi stimolanti come il cacao e di bevande ad alto contenuto di caffeina, attenzione anche ai rumori, così come all’uso di computer o smartphone prima di mettersi al letto».
Chiudono la classifica dei problemi più frequenti l’occhio secco e il mal di schiena. Per il primo «il consiglio principale in questi casi è quello di ‘ammiccare’ spesso, cioè aprire e chiudere gli occhi per lubrificarli, un’azione che, specialmente davanti ai PC, si riduce di un terzo rispetto al normale». Per il mal di schiena, invece, «è importante fare alcuni esercizi da seduti (p. es. movimenti tacco-punta) e alzarsi ogni 45-60 minuti, per ridare fiato alle articolazioni e ai muscoli che circondano la colonna vertebrale, facendo dei rapidi movimenti di stretching per il collo, la schiena e gli arti». Ad agevolare il tutto, Assosalute suggerisce di fare una passeggiata a passo svelto ed ossigenarsi evitando le ore calde della giornata.

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Bere poca acqua (o non bere) porta al consumo di bevande caloriche

Con la stagione estiva alle porte e con le prime ondate di calore, garantire il giusto reintegro di liquidi e sali minerali consente all’organismo di preservare le proprie funzionalità, evitare i sintomi della disidratazione ed affrontare con le giuste energie le giornate soleggiate.  Un recente studio pubblicato, tuttavia, ha dimostrato che non bevendo acqua si è più portati a dissetarsi con bevande dall’alto tenore calorico. In particolare, la ricerca ha esaminato il modo in cui l’acqua potabile è stata associata con la quantità di calorie che i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti consumano da bevande zuccherate, comprese bevande gassate, bevande alla frutta e bevande sportive.
Tra gli 8.400 partecipanti a un’indagine rappresentativa a livello nazionale (età 2-5, 6-11 e 12-19 anni), circa un quinto ha riferito di non assumere acqua in un dato giorno. Dopo aver considerato i fattori sociodemografici, nessun apporto di acqua è stato associato con l’assunzione di 93 calorie e il 4,5% in più di calorie da bevande zuccherate tra i partecipanti di età compresa tra 2 e 19. L’entità di tale apporto calorico variava per età e gruppi. Per esempio, i bambini che non bevevano acqua consumavano 122 calorie in più dalle bevande zuccherate. I dati dello studio non consentono inferenze sulla causalità, ma i ricercatori riportano che i risultati dimostrano che bambini, adolescenti e giovani adulti dovrebbero bere acqua ogni giorno per evitare di consumare calorie e zucchero in eccesso.

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Insonnia ed ipertensione, studio dimostra probabile legame

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) l’ipertensione arteriosa rappresenta la prima causa di mortalità al mondo, pari al 14%, nonchè di disabilità mondiale, pari al 7%. Sono diversi i motivi che portano allo sviluppo di tale condizione patologica, spesso subdola ed inizialmente asintomatica. Tra questi, familiarità, predisposizione genetica, apporto di sale alimentare o grandi quantità di caffè, invecchiamento, sovrappeso e sedentarietà. In aggiunta a ciò, anche diverse patologie provocano lo stato ipertensivo. Uno studio pubblicato sulla rivista Psychosomatic Medicine, tuttavia, ha evidenziato che alle cause citate può aggiungersi un’altra condizione che favorirebbe lo sviluppo di ipertensione: l’insonnia o cattiva qualità del sonno.
La correlazione tra poco sonno e problemi di salute cardiovascolare prende sempre più piede nella letteratura, nonostante il perché di questo motivo è meno chiaro. Nello studio in questione, i ricercatori hanno osservato 300 uomini e donne, con età compresa tra i 21 e 70 anni, senza particolari problemi cardiaci. Le persone venivano monitorate anche di notte con dei dispositivi utili a monitorare l’efficienza del sonno. Ebbene, è stato evidenziato che coloro con una scarsa qualità del sonno, mostravano un aumento della pressione arteriosa sia durante la notte, sia nel giorno successivo. Per capire bene le cause di questa correlazione, però, sono necessarie ulteriori ricerche. Avere una buona qualità del sonno aiuta dunque a mantenere un migliore stato di salute.

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Lavare bene i denti rimanda lo sviluppo di Alzheimer

La pulizia dei denti rappresenta una parte importante della routine di igiene quotidiana. Lo spazzolino è lo strumento principale per ottenere una corretta pulizia dell’arcata dentale, ma la scelta del dentifricio, filo interdentale e collutorio, possono fare la differenza e garantire l’abbattimento dei residui di cibo che contribuiscono alla proliferazione delle diverse specie batteriche normalmente presenti in bocca. Tuttavia, un recente studio norvegese, ha evidenziato che diversi microrganismi presenti nel cavo orale, responsabili delle malattie gengivali, potrebbero avere un ruolo nello sviluppo del morbo di Alzheimer. Tale patologia, si ricorda, è una forma di demenza degenerativa associata alla presenza di placche amiloidi e ammassi neurofibrillari nel cervello, sebbene la sua origine primaria sia ancora ignota.
Ebbene, giunti al termine dello studio, i ricercatori hanno stabilito che la malattia gengivale (gengivite) svolge un ruolo decisivo nel determinare se una persona sviluppa l’Alzheimer o meno. Nello specifico, già in precedenza diversi studi avevano scoperto che i batteri che causano la gengivite possono spostarsi dalla bocca al cervello dove gli enzimi nocivi che espellono possono distruggere le cellule nervose nel cervello. Ora, per la prima volta, sono state evidenziate le prove del Dna per questo processo da cervelli umani. I batteri, dunque, producono una proteina che distrugge le cellule nervose nel cervello, che a sua volta porta alla perdita di memoria e, infine, al morbo di Alzheimer. Mydel sottolinea che i batteri non causano solo il morbo di Alzheimer, ma la presenza di questi batteri aumenta il rischio di sviluppare la malattia in modo sostanziale e sono anche implicati in una progressione più rapida della malattia. Da qui, l’invito dei ricercatori alla corretta igiene quotidiana, al fine di eliminare la presenza dei batteri nocivi.