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Camminare o andare in bici al lavoro porta a un minor numero di attacchi di cuore

Come è noto, tra i grandi fattori di rischio per le malattie cardiache sono annoverati la mancanza di esercizio fisico, il sovrappeso, il fumo e il diabete. Un recente studio condotto dall’Università di Leeds e pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology, ha evidenziato come mantenersi attivi camminando o andando a lavoro in bici potrebbero fornire importanti benefici per la salute. Nel dettaglio, nelle aree inglesi in cui camminare o andare in bicicletta al lavoro erano più comuni, l’incidenza di attacchi di cuore è diminuita per uomini e donne nei due anni successivi. I ricercatori hanno scoperto che il pendolarismo attivo era collegato ad ulteriori benefici per la salute in alcuni casi. Per le donne che si sono recate al lavoro, l’anno successivo è stata associata una riduzione dell’1,7% degli attacchi di cuore. Per gli uomini che hanno pedalato per lavorare c’è stata anche una riduzione dell’1,7% degli attacchi di cuore l’anno successivo.
«Il nostro studio – spiega Alistair Brownlee, tra gli autori – mostra che l’esercizio fisico come mezzo per recarsi al lavoro è associato a livelli più bassi di infarto. I benefici di un regolare esercizio fisico sono numerosi e sosteniamo iniziative per aiutare tutti a diventare e rimanere attivi». «Anche se non possiamo affermare in modo definitivo che il viaggio attivo per lavorare riduce il rischio di infarto – afferma Chris Gale, autore principale -, lo studio è indicativo di tale relazione».

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Studio conferma: uso dei social fa aumentare la depressione

Erano il lontano anno 2000, i social non esistevano e per dirsi qualcosa bisognava farsi un colpo di telefono o incontrarsi di persona. Tempi che cambiano, tecnologia che innova e stravolge, ma anche conseguenze inaspettate a seguito del largo uso che si fa dei dispositivi. Esiti che spesso mettono a repentaglio il nostro stato di salute, che si tratti di quella fisica, ma soprattutto di quella mentale. E’ il caso dei risultati di uno studio pubblicato su una rivista statunitense, il Journal of Social and Clinical Psychology, che ha documentato con esattezza la correlazione tra uso smodato dei social ed impatto su solitudine e depressione.
La ricerca, condotta dall’università della Pennsylvania, ha individuato una relazione causale tra il tempo trascorso online sui social ed un calo del benessere. I ricercatori hanno messo sotto esame 143 studenti universitari, suddivisi in due gruppi, e monitorato il tempo trascorso sui social. In seguito, agli stessi partecipanti è stato presentato un questionario con domande su umore e benessere. Un primo gruppo, rispetto un secondo, doveva ridurre per tre settimane l’uso dei social a soli 10 minuti per ognuna delle tre principali piattaforme. Mentre, nel secondo gruppo, i partecipanti avrebbero potuto usare liberamente i social.
Ebbene, secondo quanto scoperto, «usare i social media meno del solito ha comportato una diminuzione significativa di depressione e solitudine. Questi effetti sono particolarmente pronunciati per le persone che erano più depresse quando sono entrate nello studio», spiega la psicologa Melissa G. Hunt, autrice della ricerca, secondo quanto riportato da Ansa. «Può sembrare strano – spiega Hunt – che usare meno i social faccia sentire meno soli, ma alcune pubblicazioni in materia evidenziano che c’è un forte confronto sociale: quando si guarda la vita delle altre persone, in particolare su Instagram, è facile concludere che la vita di tutti gli altri è più bella o migliore della propria».

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Malattie croniche, i litigi peggiorano i sintomi

“Mens sana in corpore sano”, dicevano i latini. Ma da oggi è vero anche il contrario: avere buone relazioni sociali (mens sana) influenza positivamente anche la salute e la forma fisica. È quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Behavioral Medicine, rilanciato da Ansa Salute.
Quante volte litighiamo o siamo in collera con il partner? Se in passato precedenti studi avevano dimostrato una relazione tra soddisfacimento a seguito del matrimonio e migliore salute, in questo è stato dimostrato il contrario. I ricercatori del Penn State Center for Healthy Aging hanno infatti dimostrato che un cattivo umore può avere ripercussioni fisiche, peggiorando sintomi di patologie croniche come l’artrite o il diabete.
Sono stati considerati i dati relativi a due gruppi di partecipanti, il primo di 145 persone affette da osteoartrite al ginocchio e rispettivi coniugi, il secondo di 129 persone affette da diabete di tipo 2 e rispettivi coniugi. In entrambe i casi i partecipanti hanno descritto per 22 e 24 giorni dettagliatamente i loro stati quotidiani di salute, tenendo un diario, compresi stati d’animo e condizioni di salute in generale.
Ebbene, il dato che è emerso è che in tutti e due i gruppi l’umore peggiore era associato ad una maggiore tensione con il partner, che di conseguenza portava un peggioramento dei sintomi e un maggior dolore. Nel caso dell’artrite non solo nel giorno stesso, ma anche nel giorno successivo.
I ricercatori hanno concluso quindi che avere un buon umore, a parità di problemi, e guardare oltre la malattia, porta un impatto positivo sullo stato di salute.

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Obesità e sviluppo del QI, studio evidenzia possibile correlazione

L’obesità di una madre in gravidanza può influenzare gli anni di sviluppo del suo bambino. È quanto scoperto da un team di ricercatori di nutrizione e salute ambientale presso l’Università del Texas ad Austin e la Columbia University. Nel dettaglio, i ricercatori hanno trovato abilità motorie compromesse nei bambini in età prescolare e QI inferiore nella mezza infanzia per i ragazzi le cui madri erano gravemente in sovrappeso in attesa di loro. Il gruppo di lavoro ha studiato 368 madri e i loro bambini, tutti provenienti da circostanze economiche e quartieri simili, durante la gravidanza e quando i bambini avevano 3 e 7 anni.
All’età di 3 anni, i ricercatori hanno misurato le capacità motorie dei bambini e hanno scoperto che l’obesità materna durante la gravidanza era fortemente associata a minori capacità motorie nei ragazzi. All’età di 7 anni gli studiosi hanno nuovamente analizzato i bambini e scoperto che i ragazzi le cui madri erano in sovrappeso o obese in gravidanza avevano punteggi di 5 o più punti in meno nei test del QI su larga scala, rispetto ai ragazzi le cui madri avevano avuto un peso normale. Non è chiaro il motivo per cui l’obesità in gravidanza potrebbe colpire un bambino in un secondo momento, anche se ricerche precedenti hanno trovato collegamenti tra la dieta di una madre e lo sviluppo cognitivo, come punteggi più alti di QI nei bambini le cui madri hanno più di alcuni acidi grassi trovati nei pesci.

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Farmaci a base di domperidone, le informazioni per una migliore sicurezza

Il domperidone è un principio attivo presente in vari farmaci usati per attenuare i sintomi di nausea, vomito, gonfiore dello stomaco, dolori addominali e rigurgito gastro-intestinale. Può essere usato negli adulti, ma, con le dovute accortezze e limitazioni, anche dai bambini per alleviare nausea e vomito. In una nota diramata il 2 maggio 2019, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), autorità che in Italia ha varie finalità tra cui quella di verificare la sicurezza dei farmaci, ha rinnovato la necessità di avere massima attenzione nell’uso del domperidone. Ciò per minimizzare i possibili rischi cardiaci. Nella stessa comunicazione, l’Aifa ha ricordato che i farmaci a base del principio attivo domperidone non possono essere usati nei bambini al di sotto dei 12 anni o di peso inferiore ai 35 kg.
Nello specifico, «l’uso di domperidone è associato ad un aumento del rischio di eventi avversi cardiaci gravi, tra cui prolungamento dell’intervallo QTc, torsioni di punta, grave aritmia ventricolare e morte cardiaca improvvisa». Tutti i medicinali contenenti domperidone, si legge nella nota, «sono controindicati nei pazienti con insufficienza epatica da moderata a grave, nei pazienti che presentano un prolungamento noto degli intervalli nel sistema di conduzione cardiaco (QTc in particolare) e nei pazienti con disturbi elettrolitici significativi o malattie cardiache quali ad esempio l’insufficienza cardiaca congestizia, in caso di somministrazione concomitante dei farmaci che inducono il prolungamento del QT», ed infine «in caso di somministrazione concomitante di potenti inibitori di CYP3A4 (a prescindere dai relativi effetti di prolungamento del QT)».
Per questo motivo, evidenzia l’Aifa, «Domperidone deve essere usato alla minima dose efficace per il minor tempo possibile. La durata massima del trattamento solitamente non deve eccedere una settimana». Per quanto concerne la somministrazione nei bambini, l’Aifa ha ribadito che «a seguito di nuove evidenze sull’uso di domperidone in pediatria, l’indicazione nei bambini di età inferiore a 12 anni o peso inferiore a 35 kg è stata eliminata» e che «il rapporto beneficio/rischio di domperidone rimane positivo per alleviare i sintomi di nausea e vomito negli adulti e adolescenti a partire dai 12 anni di età e dai 35 kg di peso».
Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono un estratto delle informazioni riservate agli operatori sanitari, tra cui medico e farmacista. Ne consegue che la terminologia utilizzata potrebbe essere di non semplice comprensione ad un pubblico che cerca informazioni in rete e che si imbatte in questo articolo attraverso un motore di ricerca. Per questo motivo, si raccomanda in ogni caso di consultare il medico di medicina generale o il farmacista di fiducia qualora si avessero dubbi in merito. In ogni caso, non bisogna assumere mai farmaci prescritti ad altri familiari, già presenti nell’armadio dei farmaci domestico. Infine, è bene ricordare che non è possibile assumere farmaci senza che il medico abbia dato il proprio consenso. Con riferimento alla nota diramata, è disponibile la versione integrale sul sito ufficiale dell’Aifa al link www.aifa.gov.it.