Categorie
Notizie

Piangere fa bene al corpo e alla mente

Gli esseri umani piangono per molteplici ragioni: in risposta al dolore, alla paura, alla tristezza, alla gioia… Si piange anche guardando un film che ci commuove, davanti a un biglietto di auguri affettuoso e inaspettato. Si piange, è il caso di dirlo, anche tagliando delle cipolle a fettine. Qualcuno piange persino per rabbia. Al di là della causa specifica, il ribollire delle emozioni che si provano sfocia in lacrime di pianto.

Tipi di pianto.

A stimolare le lacrime possono essere forti emozioni ma anche altro, agenti esterni dai quali gli occhi si difendono lacrimando. Il cosiddetto pianto basale è la lacrimazione costante, fatta di “lacrime basali” antibatteriche e ricche di proteine. Mantengono idratato l’occhio ogni volta che si aprono e chiudono le palpebre. Il pianto riflesso è innescato da sostanze irritanti portate dal vento, pollini, polvere, fumo e allinasi, per esempio, la sostanza rilasciata da una cipolla mentre la si affetta. Questo tipo di pianto ha lo scopo di proteggere l’occhio e produce lacrime in buona quantità. Il pianto emotivo è quello conseguente a uno stato emozionale negativo o positivo. Le lacrime “emotive” contengono un elevato livello di ormoni dello stress a differenza degli altri tipi di lacrimazioni.

Piangere fa bene?.

Se a scatenare il pianto possono concorrere le emozioni più diverse, c’è da chiedersi se faccia davvero bene piangere. I ricercatori hanno scoperto che piangere apporta benefici fisici e mentali e che questi si manifestano già alla nascita, con il primo vagito di un bambino appena nato. Si piange più spesso di quanto si creda, e lo fanno sia donne che uomini. Negli Stati Uniti è stato calcolato che le donne piangono in media 3,5 volta al mese, gli uomini 1.9. Vediamo nel dettaglio perché piangere fa bene e quali sono i vantaggi fisici ed emotivi.

Piangere fa bene al corpo.

Le lacrime proteggono gli occhi da eventuali agenti irritanti e aiutano a mantenere idratati i bulbi oculari. Sono utili anche a “calmare” il dolore, poiché quando si piange aumenta la produzione di endorfine e ossitocine, sostanze che aiutano ad alleviare il dolore sia fisico che emotivo. Il pianto aiuta i bambini a respirare. Una volta partorito, il bambino appena nato deve adattarsi al mondo esterno a cominciare dalla respirazione fuori dall’utero. Piangere lo aiuta a farlo e a eliminare qualsiasi liquido in eccesso nei polmoni, nel naso e nella bocca.

Piangere fa bene alla mente e all’umore.

Il pianto può essere uno dei migliori meccanismi anti-stress. Studi scientifici hanno evidenziato che piangere attiva il sistema nervoso parasimpatico, quello che aiuta il corpo a riposare e a digerire. I vantaggi non sono però immediati: potrebbero servire diversi minuti di lacrimazione prima di ottenerne i benefici calmanti successivi. Dunque gli effetti anti-stress si riscontrano dopo aver pianto, lacrime che nel frattempo hanno lenito dolori fisici ed emotivi. A ciò si collega l’effetto catartico del pianto. Alcune ricerche hanno affermato che il pianto emotivo ammorbidisce un intenso stato emotivo ed evapora quel carico di energie negative che potrebbero trasformarsi in un problema di salute mentale. Piangere è molto utile ad affrontare l’esperienza del lutto: il pianto è espressione del dolore e fa parte del processo di elaborazione di un lutto. Piangere quando si è felici è invece un modo dell’organismo per riequilibrare lo stato emotivo in essere, riprendendosi da uno shock seppur positivo.

Categorie
Notizie

Carenza di ferro: conoscere cause e sintomi

Il ferro è un minerale essenziale per la produzione di emoglobina, una proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue. La carenza di ferro può causare anemia, una condizione in cui il corpo non ha abbastanza globuli rossi sani per trasportare l’ossigeno ai tessuti. Le cause della carenza di ferro possono essere molteplici, tra cui una dieta povera di ferro, una perdita cronica di sangue, la gravidanza e l’allattamento, ma anche malattie croniche che causano una riduzione dell’assorbimento di ferro.

Carenza di ferro: quali sintomi?.

I sintomi della carenza di ferro possono includere stanchezza, affaticamento, debolezza, vertigini, difficoltà a concentrarsi, una pelle pallida e una rapida frequenza cardiaca. Se non trattata, la carenza di ferro può progredire e causare complicazioni come la malattia cardiaca, la difficoltà a respirare e una maggiore vulnerabilità alle infezioni. Per diagnosticare la carenza di ferro, il medico può eseguire un esame del sangue per verificare i livelli di ferro, emoglobina e altri componenti del sangue. Se viene diagnosticata una carenza di ferro, il medico può prescrivere un supplemento di ferro sotto forma di compresse o di infusioni endovenose. Inoltre, può essere consigliato di modificare la propria dieta per aumentare l’assunzione di alimenti ricchi di ferro, come carne rossa, pollame, pesce, fagioli, noci e verdure a foglia verde scuro.

Supplementi e dieta equilibrata.

In generale, la carenza di ferro può essere facilmente trattata con una combinazione di supplementi di ferro e una dieta equilibrata. È importante che i pazienti seguano le indicazioni del medico e monitorino regolarmente i livelli di ferro per prevenire complicazioni. In conclusione, la carenza di ferro è un problema comune che può causare gravi conseguenze se non trattata. Per evitare questo problema, è importante seguire una dieta equilibrata e sottoporsi regolarmente a controlli medici. Se si sospetta di avere una carenza di ferro, è importante rivolgersi al proprio medico il prima possibile per ricevere un trattamento tempestivo.

Categorie
Notizie

Carenze di farmaci: un problema sempre più diffuso

Negli ultimi tempi, le carenze di farmaci stanno diventando un problema sempre più diffuso, che sta causando preoccupazione tra i pazienti e gli operatori del settore sanitario. La situazione è stata recentemente denunciata dalle sigle del settore farmaceutico e dalle associazioni che rappresentano i produttori farmaceutici italiani, che hanno sollecitato una risposta adeguata da parte delle istituzioni. Le cause delle carenze di farmaci sono molteplici e includono fattori come la mancanza di materie prime, problemi di approvvigionamento, difficoltà nella produzione e problemi regolatori. Queste carenze possono avere conseguenze negative per la salute dei pazienti, in particolare per coloro che necessitano di trattamenti costanti e continui.

È importante che il governo e le istituzioni competenti prendano misure efficaci per affrontare questo problema e garantire che i pazienti abbiano accesso ai farmaci di cui hanno bisogno. Questo potrebbe includere la creazione di riserve strategiche di farmaci, la regolamentazione del mercato per garantire la stabilità dei prezzi e la promozione di alternative terapeutiche, come la medicina personalizzata. Inoltre, è importante che le aziende farmaceutiche siano trasparenti riguardo alla disponibilità dei loro prodotti e che i pazienti siano informati tempestivamente in caso di carenze. In questo modo, i pazienti potranno prendere le giuste precauzioni e le istituzioni sanitarie potranno organizzarsi per garantire che i pazienti abbiano comunque accesso ai trattamenti di cui hanno bisogno. In definitiva, le carenze di farmaci sono un problema serio che richiede una soluzione coordinata da parte di tutte le parti interessate. È necessario che il governo, le aziende farmaceutiche e le istituzioni sanitarie lavorino insieme per garantire che i pazienti abbiano accesso ai farmaci di cui hanno bisogno, per proteggere la loro salute e il loro benessere.

Il ruolo del farmacista in questo contesto è molto importante. Il farmacista è un professionista sanitario che ha una conoscenza approfondita dei farmaci e della loro disponibilità sul mercato. In caso di carenze, il farmacista può fornire informazioni importanti ai pazienti e ai loro medici su alternative disponibili o sulle tempistiche previste per la disponibilità dei farmaci mancanti. Il farmacista può aiutare a gestire la situazione delle carenze monitorando i livelli di scorte e lavorando con le aziende farmaceutiche per garantire la disponibilità dei farmaci nella sua farmacia. Questo può includere la ricerca di alternative o la conservazione dei farmaci in modo ottimale per garantirne la stabilità e la qualità. In conclusione, il farmacista è un punto di riferimento importante per i pazienti in caso di carenze di farmaci e può svolgere un ruolo chiave nella gestione di questa situazione, fornendo informazioni e soluzioni ai pazienti e lavorando con le aziende farmaceutiche per garantire la disponibilità dei farmaci.

Categorie
Notizie

Inestetismi cutanei: meglio microneedling o peeling chimici?

I peeling chimici sono trattamenti dermatologici ed estetici impiegati per migliorare o eliminare del tutto inestetismi di vario genere. Consistono in un processo di esfoliazione chimica della cute che favorisce la rigenerazione cellulare. Utilizzati soprattutto per il trattamento delle cicatrici da acne, pare non siano i più efficaci per risolvere simili inestetismi. Uno studio dell’Università di Rutgers, New Jersey, rileva che il microneedling è significativamente più efficace, specialmente sulla pelle scura.

Peeling vs microneedling: l’esperimento.

Lo studio condotto dal professor Babar Rao, docente di dermatologia e patologia presso la Robert Wood Johnson Medical School, Università di Rutgers – New Jersey, ha coinvolto 60 pazienti di pelle scura e con cicatrici da acne. Ciascuno è stato trattato casualmente con peeling chimici composti per il 35% da acido glicolico oppure con microneedling, entrambi somministrati ogni 2 settimane per 12 settimane.

Microneedling: cos’è e come funziona.

Il microneedling è una tecnica dermocosmetica microinvasiva. Prevede l’uso di aghi sottilissimi per praticare piccoli fori sullo strato superiore della pelle. La microperforazione aiuta a stimolare il processo di guarigione della cute, ovvero la produzione di collagene ed elastina che mantengono la pelle più liscia e rassodata. In genere il microneedling si pratica sul viso ma può essere utile anche su gambe, schiena, collo o altre aree del corpo in cui la pelle risulta danneggiata o invecchiata. Questa tecnica si utilizza in caso di: pori dilatati, rughe, smagliature, pelle increspata, cicatrici lievi da acne o scottature, scolorimento o tono disomogeneo della pelle. In alcuni casi può essere utile per migliorare condizioni di alopecia areata (perdita di capelli dovuta a una malattia autoimmune) o iperidrosi (sudorazione eccessiva).

Risultati dell’esperimento.

Nel caso in studio, il microneedling ha dato risultati migliori nel 33% dei pazienti sottoposti a peeling chimico e nel 73% dei pazienti sottoposti solo a microneedling. “Sulla base dei risultati di questo esperimento, i pazienti la cui pelle più scura preclude l’uso di peeling chimici più forti, i quali potrebbero scolorire permanentemente la pelle più scura, dovrebbero trattare le cicatrici da acne con microneedling”, ha affermato Rao, coordinatore dello studio. “Per i pazienti con pelle più chiara che possono utilizzare peeling più forti senza il rischio di scolorimento, i peeling chimici potrebbero invece confermarsi come l’opzione migliore.”

Categorie
Notizie

Nutrizione, pesce fonte privilegiata di omega 3

Nelle raccomandazioni alimentari, gli esperti sottolineano sempre l’importanza di consumare spesso il pesce. Da questo alimento, infatti, derivano alcune sostanze fondamentali per la salute, tra cui gli omega 3. Come spiegano gli specialisti della Società italiana di nutrizione umana (Sinu), «gli omega 3 sono acidi grassi polinsaturi, tra i quali rientrano l’acido alfa linolenico (Ala), l’acido eicosapentaenoico (Epa) e l’acido docosaesaenoico (Dha). L’organismo umano non è in grado di sintetizzare l’Ala, che deve quindi essere ottenuto dagli alimenti che lo contengono quali noci, semi oleosi (lino e colza) e oli vegetali (colza e soia). Inoltre, l’Ala può essere parzialmente convertito in Epa e Dha, i quali si trovano naturalmente nei pesci grassi, come salmone, sardine e sgombri, e negli oli di pesce come l’olio di fegato di merluzzo. Il Dha si trova inoltre in prodotti di origine algale (derivati cioè dalle alghe)».

I benefici degli omega 3.

Secondo il manuale Msd, l’Epa e il Dha «sono acidi grassi essenziali per lo sviluppo del cervello. Possono essere sintetizzati a partire dall’acido linolenico. Tuttavia, sono presenti anche in determinati oli di pesce di mare, che costituiscono una fonte più efficace. Una dieta ricca di acidi grassi omega 3 può ridurre il rischio di aterosclerosi (coronaropatia inclusa)». Tra i benefici degli omega 3, troviamo la regolazione dello sviluppo e della crescita dell’organismo e del funzionamento di organi e tessuti. «Essi inoltre modulano meccanismi biologici associati ad alcune patologie cronico-degenerative come quelle cardiovascolari, diminuendone il rischio di insorgenza nella popolazione sana (prevenzione primaria) o riducendo gli eventi in pazienti con documentato rischio aterosclerotico o con malattia cardiovascolare documentata (prevenzione secondaria)» – aggiunge la Società italiana di nutrizione umana.

Quanto pesce mangiare? Le linee guida per una sana alimentazione elaborate dal Centro di ricerca alimenti e nutrizione del Crea raccomandano di consumare pesce e prodotti ittici, sia freschi sia surgelati, almeno 2-3 volte a settimana, prediligendo il pesce azzurro italiano. «Il grasso del pesce – si legge nelle linee guida – si trova soprattutto sotto la pelle quindi, scegliere pesci piccoli che si mangiano con la pelle è utile anche per il loro apporto di grassi. Un consumo di pesce e prodotti ittici 2-3 volte a settimana consente di assumere le quantità necessarie di omega 3». Un quantitativo su cui concorda anche la Sinu, che aggiunge che «la quantità suggerita nella prevenzione secondaria è circa il doppio ed è quindi più difficilmente raggiungibile senza il consumo di integratori od olio di pesce».