Categorie
Notizie

Postura del corpo: condiziona umore ed energie

Una postura tipica dei nostri tempi e comune a molti è il cosiddetto tech neck o collo da tecnologia: la posa che si assume chinati a fissare lo schermo di uno smartphone oppure quella di chi guarda il monitor di un pc. Si tratta di una postura che se prolungata nel tempo può risultare dannosa a tessuti, muscoli e legamenti. Erik Peper, professore del Dipartimento di Educazione Sanitaria alla San Francisco State University, esperto di psicofisiologia applicata, afferma che se abbiamo “una storia di esaurimento nervoso o pensieri negativi, una scorretta postura (come il tech neck) li amplifica”. Peper ha condotto una serie di studi su come la postura del corpo influenzi gli stati d’animo e i livelli di energia disponibili nonché le performance cognitive.

Corpo e mente s’influenzano a vicenda.

Da anni si occupa di postura e delle sue possibili implicazioni sulla salute psicofisica dell’individuo: ad esempio già una decade fa aveva scoperto un collegamento tra postura, depressione ed energie utilizzabili dall’organismo. Modificando la postura, il livello energetico soggettivo può aumentare o diminuire. La relazione mente-corpo è a doppio senso: dalla mente al corpo e dal corpo alla mente, entrambe le dimensioni si influenza a vicenda. Sentirsi depressi o impauriti può far abbassare l’inclinazione del collo e quindi della testa o far sì che la postura s’irrigidisca e si chiuda. A sua volta, assumere queste posture sembra promuovere bassi livelli di umore e sentimenti di paura. A confermare i risultati delle ricerche di Peper è uno studio neozelandese che ha collegato la postura eretta a un miglioramento dell’umore e dei livelli di energia in persone depresse.

Posture quotidiane: occorre farci più attenzione.

Un altro studio ha evidenziato come mantenere a lungo una postura ripiegata su sé stessi per utilizzare lo smartphone potrebbe ostacolare la respirazione. Bisognerebbe quindi prestare un pizzico di attenzione più ai movimenti del nostro corpo e al modo in cui occupiamo lo spazio. In particolare, bisognerebbe considerare le posture entrate ormai nella nostra routine, come il modo in cui ci sediamo al pc e quello in cui scorriamo lo schermo di un telefono cellulare. Riuscire a riconfigurare la postazione di lavoro, la propria scrivania con pc, per favorire una migliore postura da seduti davanti al computer sarebbe un ottimo inizio. La schiena va mantenuta diritta e non incurvata verso lo schermo o sulla tastiera, per evitare di affaticare la colonna vertebrale. Le spalle saranno aperte e rilassate, la testa alta, gli occhi allineati allo schermo.

Alternare posture statiche a posture dinamiche.

Se lo schermo risulta troppo basso, basterà sollevarlo all’altezza degli occhi inserendo sotto la sua base dei libri o un qualsiasi altro elemento che lo sollevi alla giusta altezza. Le gambe piegate sotto la scrivania andranno a formare un angolo di 90°C. Nel caso non ci fosse spazio sufficiente, una buona alternativa è l’utilizzo di un poggiapiedi. Gli esperti consigliano di interrompere ogni ora di lavoro seduti al pc con una breve passeggiata. Aiuterà a riposizionare in assetto eretto la schiena e i fianchi, tenendo alta e dritta la testa, tirando leggermente indietro le spalle. Alternare posizioni sedentarie a movimenti dinamici consente agli occhi di distogliere lo sguardo da un monitor, alla muscolatura di allungarsi nuovamente, alla circolazione e alla respirazione di riattivarsi al meglio, a beneficio dell’intero organismo.

Categorie
Notizie

Tumore al seno: allo studio una nuova cura per le forme più aggressive

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) ha scoperto che, a determinate condizioni, cambia il metabolismo delle cellule tumorali favorendone la crescita esponenziale e la degenerazione nelle forme più aggressive di cancro al seno. Guidati dal professo Salvatore Pace, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO, i ricercatori hanno evidenziato come all’origine di questa specifica categoria di tumori vi sia la produzione eccessiva della proteina CDK12. Ne conseguono, a cascata, lo sviluppo di un tumore più aggressivo, la resistenza alle chemioterapie classiche e il rischio di metastasi. Se da un lato la sovrabbondanza della proteina CDK12 rende la malattia più pericolosa, dall’altro questa stessa proteina si svela come segnale evidente del tumore.

La terapia, in prima istanza, consiste nella somministrazione di farmaci anti-metabolici per indebolire le cellule tumorali, impedendone la moltiplicazione. “È noto da circa un secolo che le cellule tumorali presentano un metabolismo differente da quelle sane – afferma il prof. Pece –. L’utilizzo di farmaci anti-metabolici è stato tra le prime strategie messe in campo per combattere il cancro, in particolare il cancro della mammella. Tuttavia l’entusiasmo per questi farmaci da parte degli oncologi è progressivamente diminuito per la mancanza di marcatori per identificare in modo preciso le pazienti in grado di beneficiare selettivamente ed efficacemente di queste terapie. Nei nostri studi abbiamo integrato i dati ottenuti in esperimenti con animali di laboratorio con le analisi retrospettive di diverse coorti cliniche di pazienti con tumore mammario.

I risultati risolvono il problema poiché indicano chiaramente che elevati livelli di CDK12 costituiscono un biomarcatore utilizzabile per selezionare le pazienti da trattare con terapia anti-metabolica utilizzando un farmaco, il metotrexato, già disponibile nella clinica per la cura del tumore mammario”. Daniela Tosoni, una delle ricercatrici che ha partecipato allo studio: “Sia in animali di laboratorio sia in coorti di pazienti abbiamo dimostrato che i tumori con elevati livelli di CDK12 risultano particolarmente sensibili a terapie anti-metaboliche a base di metotrexato anche nel caso di pazienti che abbiano sviluppato resistenza ad altri comuni tipi di chemioterapie, come taxani ed antracicline”. Il prof. Pece ci tiene a sottolineare come questo sia “Uno di quei rari momenti della ricerca in cui, dopo molti anni di studio, è possibile passare dalla ricerca di base all’applicazione concreta in ambito clinico.

Abbiamo infatti a disposizione sia farmaci già immediatamente disponibili per la cura delle pazienti, sia un nuovo marcatore di aggressività tumorale e rischio metastatico che è, allo stesso tempo, un nuovo bersaglio di terapia mirata”. Paolo Veronesi, Direttore del Programma di Senologia dello IEO: “È un risultato straordinario e un’ottima notizia per molte pazienti per cui avremo una nuova possibilità di cura. Siamo infatti nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici, in particolare nell’ambito della malattia metastatica, per le pazienti con elevati livelli di CDK12 e che abbiano fallito nella risposta ad altri tipi di chemioterapie. Se i risultati degli studi clinici confermeranno ulteriormente questi risultati, sarà possibile fornire a tali pazienti una prospettiva terapeutica concreta con protocolli che includano l’utilizzo di farmaci antimetabolici come il metotrexato”.

Categorie
Notizie

Sonno, dormire bene per restare in salute

Dormire a sufficienza e bene non è un privilegio, ma un’abitudine imprescindibile per mantenersi in salute. I danni di una mancanza di sonno cronica sono infatti molteplici e impattano notevolmente sulla qualità della vita e le condizioni di salute a qualsiasi età. Il tema è stato affrontato da medici esperti che sostengono che una carenza di sonno porta, in prima battuta, stanchezza e irritazione ma, se protratta nel tempo, è causa di problemi di salute più importanti. È quindi fondamentale non considerare questa situazione come accettabile o inevitabile, perché si possono mettere in atto accortezze, avvalorate dalla medicina del sonno, per prevenire e risolvere i problemi più frequenti. Come punto di partenza, è bene sottolineare che ogni soggetto ha una propria personale necessità di dormire che può variare tra individui diversi. La neurologa Lara Fratticci ha spiegato, in un articolo scritto per Humanitas, che il tempo medio di sonno necessario è di circa 7-8 ore a notte, ma alcuni possono aver bisogno anche di 10 ore e altri possono stare bene con solo 5-6 ore. La prima regole è quindi quella di fare il possibile per non snaturare il proprio orologio biologico.

Le cause dell’insonnia Le cause della mancanza d’insonnia includono più fattori. La dottoressa Fratticci riferisce infatti che «ci possono essere delle cause soggettive come il disturbo dell’umore, la depressione, l’ansia, oppure problematiche come la sindrome delle “gambe senza riposo”, un disagio causato da un’intensa irrequietezza motoria alle gambe che impedisce al paziente di iniziare il sonno notturno. Inoltre, alla base di una scarsa qualità del sonno possono esserci fattori che alterano il normale ritmo sonno-veglia. Questi fattori, a volte, sono riconducibili a determinate malattie sistemiche, a disturbi della tiroide, a scompenso cardiaco o a ipertensione arteriosa». A provocare difficoltà di addormentarsi o frequenti risvegli notturni concorrono però anche abitudini scorrette, come l’assunzione di caffè, alcool o nicotina nelle ore precedenti a quando ci si deve coricare, una dieta troppo ricca di grassi o la pratica sportiva serale. Anche la sistemazione della stanza in cui si dorme ha un impatto sulla qualità del sonno. Bisogna infatti regolare correttamente la temperatura, la luce, allontanarsi da fonti di rumore ed eventuali fattori che possono disturbare il sonno.

Le conseguenze della privazione di sonno Trascorrere periodi prolungati dormendo sempre male o troppo poco porta a una serie di conseguenze sia fisiche sia psicologiche. La dottoressa Fratticci ne elenca una serie, quali astenia, disturbi dell’attenzione, della concentrazione e della memoria, eccessiva sonnolenza diurna, disturbi dell’umore, ansia e facile irritabilità. Oltre al malessere generale occorre poi valutare l’impatto di questa condizione sulla vita quotidiana e le attività da svolgere, che risulteranno molto più complesse da sostenere a causa della stanchezza e della mancanza di concentrazione. Per chi non riesce a risolvere il problema cambiando le proprie abitudini, ci sono vari rimedi che possono essere considerati con l’ausilio del medico e del farmacista, dall’assunzione di integratori a base di melatonina fino alla prescrizione medica di farmaci specifici.

Categorie
Notizie

L’8 settembre si celebra la Giornata mondiale della fisioterapia

L’8 settembre ricorre la Giornata mondiale della fisioterapia, un appuntamento annuale per far conoscere ai cittadini il contributo che gli specialisti di questo settore sono in grado di dare per migliorare la salute delle persone in numerose condizioni. L’evento viene organizzato dal 1996 e l’8 settembre fu scelto come data ufficiale perché in questo giorno, nel 1951, fu fondata la World Physiotherapy, organizzazione che rappresenta più di 660mila fisioterapisti in tutto il mondo attraverso le 125 realtà associate, tra cui l’Associazione italiana di fisioterapia (Aifi), che per l’occasione organizza diversi eventi. Sono infatti previsti eventi nazionali, territoriali e attività che verranno proposte attraverso i canali di comunicazione dell’Associazione, quali YouTube, Facebook, Twitter e Instagram. Sono poi disponibili immagini con i messaggi della campagna di quest’anno e gli hashtag #FisioterapiaMovimentoVita, #worldptday e #IlFiloBluDellaFisioterapia.

Focus sull’osteoartrosi.

Il tema centrale dell’edizione 2022 della Giornata mondiale della fisioterapia è l’osteoartrosi, una malattia articolare molto diffusa che può interessare qualsiasi articolazione, ma colpisce più comunemente le ginocchia, le anche e le mani. «Può iniziare con una lieve o importante lesione all’articolazione – spiega l’Aifi -. All’inizio del processo della malattia, il corpo umano ha le risorse per riparare questi cambiamenti. Con il progredire della malattia, il sistema di riparazione del corpo umano non riesce a tenere il passo e i tessuti articolari iniziano a danneggiarsi, conducendo a una riduzione della cartilagine, a rimodellamento osseo, noduli ossei e infiammazione articolare. Nonostante questi cambiamenti, l’articolazione può ancora funzionare normalmente, senza alcun dolore o rigidità. La prevenzione e il trattamento precoce sono fondamentali per fermare i danni causati dall’osteoartrosi».

“La fisioterapia rimette in moto la vita”.

La riabilitazione che può offrire la fisioterapia in molte situazioni di dolore e disagio fisico può cambiare la vita e risollevare l’umore dei pazienti. Per questo lo slogan scelto per la Giornata mondiale di quest’anno è “La fisioterapia rimette in moto la vita”. Come afferma l’Aifi, questa disciplina «aiuta a prevenire e trattare le difficoltà connesse a dolore, interventi chirurgici, malattie di vario genere (malattie reumatiche, neurologiche, cardiologiche, respiratorie, oncologiche…), condizioni di sovraccarico (come in ambito lavorativo e sportivo) in adulti e in bambini, ma anche nelle alterazioni che accompagnano l’avanzare dell’età». Per trasmettere questo messaggio alla popolazione, tra il 5 e il 10 settembre i fisioterapisti possono indossare un nastro/tape azzurro, con la scritta “Giornata mondiale della fisioterapia”, un modo per attirare l’attenzione del pubblico e avere più occasioni di raccontare cos’è la fisioterapia ai cittadini.

Categorie
Notizie

Lo stress causa la parodontite?

Lo stress è una reazione psicofisica a sollecitazioni emotive, materiali, sociali o cognitive anche molto diverse fra loro e che, in un dato momento, il soggetto avverte come eccessive. In altre parole, è un meccanismo di difesa del corpo umano di fronte a situazioni di emergenza. A questo scopo il nostro organismo produce il cortisolo, noto come “ormone dello stress”, che aumenta i livelli di glicemia e di grassi nel sangue utili ad affrontare la situazione stressante. Oltre al cortisolo l’organismo libera adrenalina e noradrenalina (che accelera il battito cardiaco e provoca la risposta di “attacco o fuga”), aumentando la pressione sanguigna e migliorando così performance e prontezza fisica.

Lo stress può manifestarsi in due forme differenti per durata: in forma acuta, quando è concentrato e circoscritto nel tempo; in forma cronica, quando perdura e può ostacolare il raggiungimento di obiettivi personali, lavorativi e, più in generale, della vita di una persona. Diversi studi scientifici hanno collegato lo stress a un variegato ventaglio di patologie. A partire dagli anni Novanta alcune ricerche ne hanno evidenziato il rapporto con la parodontite, cioè con l’infiammazione delle gengive che, se non curata in tempo, porta alla perdita dei denti.

Si tratta di studi di osservazione che ancora non stabiliscono un rapporto di causa-effetto fra stress e parodontite. Tuttavia è indubbio che vi sia un’importante correlazione fra le due condizioni. In uno degli esperimenti più recenti, condotto da un gruppo di ricercatori brasiliani e statunitensi nel 2020 su un campione di 621 soggetti, 301 erano stressati e il 24% di loro presentava problemi di parodontite. Lo studio rivelava come i soggetti stressati accusassero importanti problematiche gengivali, dalle forme più lievi a quelle più gravi. Perché lo stress favorisce l’insorgere di una parodontite? Perché cresce il livello di cortisolo e catecolamine nel sangue, ormoni che inibiscono o diminuiscono a loro volta i linfociti, cioè quelle cellule fondamentali per il sistema immunitario, causando così una risposta difensiva debole. Pertanto nei periodi di stress dovremmo prestare maggiore attenzione anche ai nostri denti, in particolare alle gengive poiché, come abbiamo visto, possono risentirne. Lo stress, in aggiunta alla presenza di batteri, al fumo o ad altri fattori, possono scatenare un’infiammazione gengivale, talvolta anche piuttosto grave.