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Esercizio fisico, benefici e differenze dell’attività aerobica e anaerobica

Fare sport e movimento è sempre meglio che vivere sedentari. Questa è un’evidenza scientifica che ogni organizzazione legata alla salute ribadisce di continuo. Se si ha la possibilità di scegliere quale attività praticare, gli esperti consigliano di alternare un allenamento di tipo aerobico a uno di tipo anaerobico, perché sono entrambi benefici per la salute, ma in modo diverso. Secondo gli esperti del Consiglio europeo di informazione sull’alimentazione (Eufic), «qualsiasi tipo di attività giova alla salute, ma non tutte producono lo stesso effetto sul corpo. Includendo tutte le forme di attività nella routine settimanale, si possono aumentare i benefici». Scendendo più nel dettaglio l’Eufic spiega che «il corpo attua diversi processi per rilasciare energia e adeguarsi al fabbisogno energetico in situazioni diverse, che si tratti di affettare le verdure o di correre una maratona. Alcuni processi sono “aerobici”, dove “aer” si riferisce all’uso dell’ossigeno nel processo di produzione di energia dei muscoli. Altri sono “anaerobici” e non richiedono ossigeno per rilasciare energia. A seconda della durata e dell’intensità dell’attività fisica, il corpo ha bisogno di produrre energia nel modo più efficace, e i processi aerobici e anaerobici spesso si completano a vicenda».

Processi aerobici e processi anaerobici.

Applicando il concetto esposto sopra all’esercizio fisico, si definisce attività aerobica quella che per essere praticata richiede al corpo l’uso di ossigeno per produrre l’energia necessaria. Questo processo si attiva in base all’intensità, alla durata e ai tipi di fibre muscolari coinvolti. Se ciò non avviene, l’allenamento viene definito anaerobico, durante il quale il corpo trae energia in modo diverso. «Quando facciamo esercizi anaerobici – spiega l’Eufic – il corpo lavora intensamente per un breve periodo di tempo e quindi ha un bisogno immediato di energia. Tale energia proviene da componenti che sono già immagazzinate nel corpo e già disponibili. Il processo non richiede ossigeno, ma la quantità di energia che può essere rilasciata in questo modo è piuttosto limitata». Gli esercizi aerobici sono in genere meno intensi ma più prolungati e cuore e polmoni lavorano duramente per fornire ossigeno. «Il corpo – proseguono gli esperti – utilizza questo ossigeno per abbattere le fonti di energia come i grassi e il glucosio, per rilasciare l’energia necessaria a eseguire l’esercizio».

L’ideale è alternare le attività.

Praticare sia l’attività aerobica sia quella anaerobica permette di beneficiare di effetti positivi diversi per la salute. Limitarsi a una delle due comporta la perdita di parte dei benefici. Nell’allenamento aerobico rientrano per esempio la camminata, la corsa, la bicicletta e il nuoto. Per svolgere queste attività, il corpo aumenta respirazione e frequenza cardiaca. «Questo tipo di esercizio è importante per molte funzioni e aiuta a mantenere in salute il cuore, i polmoni e il sistema circolatorio, oltre a migliorare la funzione cardiorespiratoria. È dimostrato che una regolare attività aerobica riduce il rischio di sviluppare numerose malattie, come patologie cardiache, ictus, diabete di tipo 2, demenza e persino alcuni tumori. È stato anche dimostrato che l’attività fisica in generale riduce il rischio di depressione» – sottolineano gli esperti. L’esercizio anaerobico, invece, consiste in esercizi a elevata intensità per una breve durata (pochi secondi o minuti), attraverso i quali si migliora la potenza, la forza e le dimensioni dei muscoli. Secondo l’Eufic, «un’attività anaerobica regolare aumenta la densità della massa ossea, rallentandone la naturale degenerazione che si verifica con l’età, e riducendo così il rischio di osteoporosi».

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Perché le emozioni possono essere così dolorose?

C’è una relazione tra dolore emotivo e dolore fisico? Se sì, in che modo sono collegate queste complesse dimensioni del dolore? Le ultime scoperte scientifiche stanno facendo luce sui meccanismi condivisi che sono alla base di entrambi i tipi di dolore.

Dolore cerebrale.

Se la vista e l’udito hanno terminazioni nervose tracciabili dagli occhi e dalle orecchie fino a una precisa regione del cervello, l’attività cerebrale in risposta al dolore è più articolata. Ad esempio include pensieri ed emozioni, motivo per cui un buon libro può alleviare il mal di denti o il dolore fisico dovuto a una scottatura fa più male quando si è tristi che non quando si è sereni.

Emozioni come causa di un dolore fisico.

Le emozioni non si limitano a rispecchiare i sintomi di un dolore fisico esistente. L’angoscia o l’imbarazzo possono produrre, a loro volta, un dolore organico che può non avere una causa fisica ma non per questo essere meno reale. Altresì, l’umore depresso altera l’esperienza stessa del dolore. La ricerca ha dimostrato che se una persona, anche temporaneamente, soffre di una qualche sindrome depressiva percepirà il dolore fisico in maniera più acuta di una persona non depressa.

Il ciclo del dolore.

Il dolore è quindi influenzato dalle emozioni e viceversa. Il ciclo del dolore e quello delle emozioni sono correlati. Gli stati emotivi possono avere un impatto diretto sui cambiamenti fisici: quando si prova ansia o rabbia, per esempio, i muscoli del corpo possono irrigidirsi aumentando la percezione del dolore. Ancora, studi scientifici hanno evidenziato che il dolore fisico cronico potrebbe non essere causato solo da lesioni fisiche ma anche da stress e problemi emotivi.

La reciproca influenza degli stati dolorosi.

Molte persone hanno già familiarità con il fatto che lo stress emotivo può portare a dolori di stomaco, sindrome dell’intestino irritabile e mal di testa, ma potrebbero non sapere che può anche causare altri disturbi fisici e persino dolore cronico. Stiamo parlando della cosiddetta bidirezionalità del ciclo del dolore: più le persone sono ansiose e stressate, più i loro muscoli sono tesi e contratti, causando nel tempo affaticamento e inefficienza dei muscoli.

L’interpretazione del dolore e come affrontarlo.

Il modo in cui le persone interpretano le proprie emozioni e il proprio dolore guidano gli schemi creati dal cervello per leggere e gestire la realtà. “Il nostro livello di paura del dolore e la narrazione che ci raccontiamo sul dolore possono influenzare il modo in cui il nostro cervello impara ad affrontarlo nel tempo”, spiega Tor Wager, PhD, direttore del Cognitive and Affective Neuroscience Lab presso l’Università del Colorado a Boulder. Ci sono molte opzioni per rimodulare la nostra capacità di interpretare correttamente i dolori che percepiamo. La terapia cognitivo comportamentale (CBT), per esempio, insegna a riconoscere e modificare i modelli di pensiero negativi che influenzano il modo in cui proviamo dolore. La meditazione, lo yoga, il tai chi, l’agopuntura e pratiche simili possono aiutare a dirigere e distrarre la mente dal concentrarsi sul dolore. L’attività fisica regolare allevia la depressione, l’ansia, il dolore e migliora la mobilità fisica.

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Tagli alle mani causati dal freddo: come prevenirli e curarli

Il freddo è senza dubbio la prima causa delle ragadi alle mani: secca la cute, la disidrata, ne compromette l’elasticità facilitandone la rottura. Vento, contatto frequente con l’acqua, detergenti aggressivi possono agevolare l’insorgenza di queste piccole ferite della pelle chiamate ragadi, sia sul dorso che sul palmo delle mani. Microlesioni che purtroppo si rivelano molto fastidiose, in alcuni casi più profonde di quel che ci si potrebbe aspettare. Ferme restando condizioni climatiche avverse, le ragadi delle mani possono manifestarsi in concomitanza ad altre patologie cutanee, come la psoriasi, la dermatite atopica e la dermatite da contatto.

Come prevenire le ragadi delle mani.

La cura delle mani o, più in generale, della pelle del nostro corpo, dovrebbe avvenire costantemente durante tutto l’anno. Così facendo l’epidermide sarebbe in grado di fronteggiare con successo agenti esterni come il freddo invernale ma anche il cado estivo, che parimenti disidrata la superficie cutanea. Prendersi cura della pelle significa farlo sia dall’interno, assumendo integratori a base di Omega-3, acidi grassi che rafforzano la barriera naturale della pelle, sia dall’esterno, utilizzando creme nutrienti e protettive. Per non correre ai ripari e dover intervenire sulla pelle delle mani quando ormai le ragadi si sono già formate, una buona abitudine è quella di iniziare ad usare la crema mani già nei mesi autunnali. Ciò permetterà alla cute di rimanere idratata ed elastica giorno dopo giorno, al di là dell’abbassamento delle temperature invernali.

Come curare le ragadi delle mani.

Nella maggior parte dei casi le ragadi delle mani migliorano e guariscono applicando quotidianamente creme idratanti, lenitive e cicatrizzanti. In genere questo tipo di pomate è a base di glicerina, urea, vitamina E, pantenolo, ceramidi, che rigenerano, riparano, nutrono e idratano la pelle. In alternativa, in farmacia si possono trovare anche cerotti o medicamenti in formato liquido da spennellare sui tagli delle ragadi, creando una pellicola protettiva che ne acceleri la guarigione. Se nell’arco della giornata ci si troverà a lavarsi le mani spesso, è bene non dimenticarsi di spalmare la crema lenitiva e idratante prima di coricarsi, così da lasciarla agire tranquillamente tutta la notte. Nei casi più difficili, invece, potrebbe essere necessario il ricorso ad antibiotici, a farmaci antinfiammatori e, talvolta, a piccoli interventi chirurgici. I tempi di guarigione delle ragadi alle mani si aggirano in media intorno alle due settimane o venti giorni.

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Digestione, gli alimenti corretti e le buone abitudini per non rallentarla

Digerire è un processo fisiologico che può variare notevolmente in base a diversi fattori quali l’età della persona, gli alimenti ingeriti e le abitudini dopo i pasti. Con il termine “digestione” si fa riferimento all’intera sequenza di passaggi che il cibo ingerito compie dalla bocca fino all’intestino. Si tratta quindi di un processo lungo, che coinvolge organi diversi in tempi diversi. Se si consuma un pasto leggero, soltanto per la prima fase, ovvero il passaggio attraverso lo stomaco, occorrono circa 3 ore. Per pasti elaborati e abbondanti, invece, possono servire anche 6-8 ore. Bisogna sempre ricordare che questo articolato processo fisiologico ci permette di svolgere ognuna delle funzioni vitali, permettendo la crescita e la riparazione delle cellule e ricavando dagli alimenti l’energia necessaria allo svolgimento delle azioni quotidiane. È quindi importante che la digestione avvenga nel migliore dei modi ed è fondamentale, laddove possibile, agevolarla. Anche nel corso delle festività natalizie, caratterizzate da grande abbondanza di cibo, è bene quindi avere qualche attenzione in più.

Scelte alimentari e abitudini che favoriscono la digestione.

Ci sono cibi più digeribili e cibi meno facili da scomporre. A livello generale, più gli alimenti vengono modificati e le pietanze elaborate più si appesantiscono i processi digestivi. Lo stesso vale per le quantità: pasti eccessivamente abbondanti affaticano lo stomaco e rendono la gestione molto più lunga. Le conseguenze vanno dal gonfiore addominale al senso di nausea, dal reflusso al bruciore di stomaco, fino a problemi intestinali come stipsi o diarrea. Secondo la dott.ssa Chiara Circosta, nutrizionista presso il centro Humanitas Medical Care Domodossola a Milano, esistono diversi alimenti che possono aiutare le fasi della digestione, come finocchi e carciofi e cibi ricchi di fibre. Alimenti fermentati, poi, come yogurt, miso, quinoa, crauti, contengono probiotici, batteri vivi e lieviti che possono avere benefici per il sistema digestivo. È infine fondamentale bere tanto e mantenersi idratati. Quanto alle abitudini, è opportuno masticare tanto e lentamente ed evitare di sdraiarsi subito dopo aver mangiato o, viceversa, di fare attività troppo intense.

Altri consigli utili.

Per favorire la digestione si può ricorrere alle tisane digestive. «In erboristeria o in farmacia – spiega la dott.ssa Circosta – si possono trovare varie tisane digestive miscelate con piante dalle proprietà carminative. Tra queste troviamo i semi di finocchio, che aiutano a digerire e combattere i gonfiori addominali (non adatti però per chi soffre di gastrite o ulcere gastriche); la cicoria con azione disintossicante; l’anice, utile in caso di gonfiore addominale; il cumino, il coriandolo o il cardamomo, semi simili all’anice da mettere in infusione o masticare a fine pasto e la liquirizia». Secondo la dottoressa, inoltre, «la digestione lenta può essere dovuta a una carente produzione di enzimi digestivi da parte dell’organismo. In questo caso può essere utile cercare in farmacia un integratore adatto alle diverse esigenze. Gli enzimi contenuti in questi prodotti possono essere di origine animale, come pepsina, tripsina e pancreatina (simili a quelli prodotti dal nostro corpo), oppure di origine naturale, ovvero vegetale, come bromelina, papaina e ficina. Questi enzimi scindono i nutrienti nei loro componenti fondamentali in modo da renderli assorbibili e assimilabili. Spesso sono associati a probiotici o fermenti lattici per riequilibrare la flora batterica intestinale».

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Arresto cardiaco: più letale nelle donne che negli uomini

Le donne hanno un tasso di sopravvivenza inferiore agli uomini se subiscono un arresto cardiaco improvviso. Secondo uno studio condotto dalla Società Europea di Cardiologia ciò è dovuto mancata pronto intervento di rianimazione frequente più tra le donne che tra gli uomini. I ricercatori hanno anche evidenziato come tendenzialmente aumentino le visite di assistenza primaria da parte dei soggetti che di lì a poco, ovvero qualche settimana, incorreranno in un arresto cardiaco. Ciò dimostrerebbe la presenza di indizi premonitori di un possibile arresto cardiaco imminente.

Segni premonitori di un arresto cardiaco.

I ricercatori della Società Europea di Cardiologia hanno evidenziato come segnali premonitori di questo tipo – aumento delle visite mediche di base concentrate in breve tempo – potrebbero aiutare i medici stessi a identificare le persone a rischio. “Potrebbero esserci segni e sintomi di peggioramento della malattia coronarica prima di un arresto cardiaco, che quindi richiederebbero più visite mediche di assistenza primaria”, ha affermato il Dott. Salvatore Savona, elettrofisiologo presso il Wexner Medical Center della Ohio State University. “L’arresto cardiaco è tipicamente causato da aritmia ventricolare o da un ritmo irregolare della cavità inferiore del cuore. La fibrillazione ventricolare può essere causata proprio dalla malattia coronarica”.

Lo studio europeo sull’arresto cardiaco.

I ricercatori hanno raccolto un database di oltre 100.000 persone vittime di arresto cardiaco improvviso e una biobanca di circa 10.000 campioni di DNA. “L’arresto cardiaco improvviso è un urgente problema di salute pubblica che finora è stato estremamente difficile da risolvere, in gran parte a causa del difficile reperimento di dati clinici dettagliati e campioni biologici”, ha affermato il Dott. Hanno Tan, punto di riferimento della Società Europea di Cardiologia e cardiologo presso il Centro Medico AMC dell’Università di Amsterdam. “La Società Europea di Cardiologia ha compiuto passi importanti creando un database, una biobanca e una base di conoscenza che potrebbero essere utilizzati in studi futuri per risolvere questo problema. Ciò dovrebbe accelerare la raccolta di conoscenze su questa condizione e, in ultima analisi, ridurre l’onere sociale dell’arresto cardiaco improvviso”, ha aggiunto Tan.

Cos’è l’arresto cardiaco improvviso.

L’arresto cardiaco improvviso è un’aritmia nel normale battito cardiaco che, inaspettatamente, lo fa smettere di pulsare. “La causa più comune di un arresto cardiaco è la malattia coronarica”, ha detto Savona. “I classici sintomi tipici includono dolore toracico o pressione toracica che peggiora con lo sforzo e migliora con il riposo. In genere dura almeno alcuni minuti. Tuttavia, ci sono anche sintomi atipici, come nausea, stanchezza o mancanza di respiro”, ha aggiunto Savona. “Gli uomini di solito presentano sintomi tipici. Le donne possono presentare sintomi più atipici, che potrebbero comportare un ritardo nel riconoscere un possibile imminente arresto cardiaco”.

Arresto cardiaco improvviso: fattori di rischio per le donne.

Le donne sono a rischio di arresto cardiaco improvviso qualora presentino una o più delle seguenti condizioni: malattia coronarica, depressione, cardiomiopatia dilatativa, storia familiare di arresto cardiaco improvviso o alcuni ritmi cardiaci anormali, cardiomiopatia ipertrofica, precedente infarto. A ciò si aggiunge il fatto che molte persone vedono ancora le malattie cardiache, gli attacchi di cuore e gli arresti cardiaci improvvisi come malattie tipicamente maschili, nonostante il 40% degli arresti cardiaci si verifichi nelle donne.