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Tumori della pelle: non solo melanomi

I tumori della pelle che non sono classificabili come melanomi (come, ad esempio, la degenerazione di un neo) si distinguono in base alle cellule che li generano. I carcinomi basocellulari (o basaliomi) derivano dalle cellule basali, quelle cioè appartenenti allo strato più profondo della pelle. I carcinomi spinocellulari (o a cellule squamose) derivano invece dalle cellule più superficiali dell’epidermide. Entrambe le tipologie di tumori cutanei costituiscono, nel loro insieme, oltre il 99% dei tumori della pelle diversi dai melanomi. Esiste poi la categoria dei tumori rari della pelle come il carcinoma a cellule di Merkel, il sarcoma di Kaposi, il linfoma cutaneo.

Tumori della pelle: quali sono i sintomi.

I tumori della pelle difficilmente presentano dei sintomi chiari, almeno nella fase iniziale del loro sviluppo. Nelle fasi successive, quando ormai sono abbastanza grandi, possono sanguinare, prudere e dolere nell’area interessata. Più che di sintomi, allora, è meglio parlare di segnali: ad esempio, una lesione o una macchia sulla pelle che cambia di aspetto possono configurarsi come segnali di un tumore cutaneo. I carcinomi spinocellulari si presentano come noduli o porzioni di pelle circoscritte da bordi ispessiti intorno a una depressione centrale, talvolta un’ulcera. Non sanguinano quasi mai e di solito hanno margini poco regolari. I basaliomi appaiono come piccoli noduli perlacei o macchie rosate o pigmentate che aumentano di grandezza (un po’ come i melanomi). Se si notano segnali del genere sulla propria pelle è sempre consigliabile rivolgersi a un dermatologo per una visita diagnostica chiarificatrice.

Tumori della pelle: come prevenirli.

Per ridurre quanto più possibile il rischio di sviluppare tumori della pelle occorre proteggersi dal sole, in particolare dai raggi ultravioletti. Evitare di esporsi ai raggi solari nelle ore più calde della giornata (tra le 10 del mattino e le 4 del pomeriggio, per esempio) può fare davvero la differenza in termini di salute della pelle. Nelle restanti ore della giornata è sempre bene indossare un cappellino con visiera o un cappello a falda larga insieme a un paio di occhiali da sole scuri. Ancora, sulle parti di cute scoperte (quindi anche quando si indossano t-shirt e pantaloncini corti, per intenderci) va spalmato o spruzzato un prodotto per la protezione solare adeguato alla propria tipologia di pelle. Un gesto da compiersi più volte al giorno, così da essere realmente protetti per tutto il tempo effettivo di esposizione al sole. Lo stato di salute della propria pelle va comunque monitorato periodicamente, anche aiutandosi con uno specchio all’interno di una stanza ben illuminata.

Come curare i tumori della pelle.

I tumori della pelle raramente evolvono in metastasi, a differenza dei melanomi. Di solito lo fanno dopo anni dalla loro comparsa, qualora non siano stati diagnosticati e curati per tempo. Nella maggior parte dei casi vengono rimossi quando sono ancora localizzati e circoscritti in un punto preciso del corpo. Tuttavia i carcinomi spinocellulari possono espandersi in metastasi se il sistema immunitario risulta debole o deficitario. Se presi in cura nelle fasi inziali, i tumori della pelle guariscono nella quasi totalità dei casi attraverso trattamenti locali o interventi chirurgici.

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Uso sicuro dei farmaci, le regole per non correre rischi

Tutti i rimedi farmacologici e i parafarmaci sono efficaci se assunti quando davvero necessario e nel modo corretto. Solo il medico o il farmacista hanno le competenze professionali per stabilire se un medicinale è indicato o meno a un determinato soggetto e per un determinato disturbo. Questo perché, qualsiasi principio attivo, chimico o naturale che sia, ha effetti positivi ma anche indesiderati, che possono essere influenzati da numerosi fattori e interagire con altre sostanze farmacologiche o alimentari. La prima regola per assumere farmaci o parafarmaci in totale sicurezza è quindi quella di evitare sempre il fai da te. Lo ha ricordato con fermezza anche il ministero della Salute in una “Guida per l’uso sicuro dei farmaci”, che illustra le regole basilari per curarsi in sicurezza.

Parlare apertamente con il medico e il farmacista.

Spesso l’uso dei farmaci crea dubbi e perplessità nei pazienti, che devono invece curarsi con serenità. Per questo è giusto chiedere sempre spiegazioni al medico o al farmacista se qualcosa non è chiaro nella terapia. È inoltre sempre opportuno metterli al corrente di qualsiasi altra sostanza si stia assumendo, compresi integratori alimentari e rimedi fitoterapici, in modo che possano valutare eventuali interazioni. Vanno sempre indicati anche medicinali eventualmente prescritti da altri specialisti. Una volta iniziata la terapia, è fondamentale contattare il medico se dovessero presentarsi effetti collaterali inattesi e di cui non si era stati avvisati. Il supporto del medico o del farmacista è importante anche per chi assume più farmaci. «Se mi sono stati prescritti più farmaci per diverse malattie – esorta il Ministero – riferisco al medico o al farmacista la difficoltà a ricordare tutti i nomi e gli orari di assunzione ed eventualmente chiedo di scrivere sulle confezioni di ciascun farmaco a cosa serve e l’orario in cui va preso o di farmi un promemoria delle medicine che devo assumere con tutte le indicazioni per me necessarie».

Le conseguenze di un uso non necessario dei farmaci.

Importanti considerazioni vanno fatte anche su un uso non necessario dei farmaci che può avere conseguenze dannose non solo sulla persona che li assume senza averne bisogne, ma anche sull’ambiente e sulla futura efficacia dei medicinali. A tale proposito è opportuno ribadire che è in costante aumento a livello mondiale l’antibiotico resistenza, ovvero la capacità dei batteri di sopravvivere all’azione degli antibiotici. Questo fenomeno dipende in ampia misura dall’uso massiccio che si fa di queste sostanze che, se non limitato alle reali situazioni di necessità, rischia di continuare a crescere, rendendo inefficaci molti degli antibiotici attualmente in commercio. Un uso improprio di ogni tipo di medicinale, inoltre, ne provoca una dispersione nell’ambiente che poteva essere evitata. I farmaci vanno quindi utilizzati solo se prescritti e davvero necessari.

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Autismo da adulti: esiste tale condizione a esortio tardivo?

Non esiste una diagnosi ufficiale di “autismo tardivo” o “autismo in età adulta”. Dati e ricerca scientifica evidenziano che l’esordio dei sintomi avviene nella prima infanzia. Tuttavia ci sono bambini che sembrano regredire rispetto al proprio percorso di crescita, manifestando comportamenti assimilabili a quelli autistici. E ci sono persone che sembrano sviluppare sintomi dello spettro autistico da adolescenti o da adulti.

Quando compaiono i sintomi dell’autismo?.

Da ragazzi e in età adulta si possono manifestare sintomi inquadrabili tra quelli dello spettro autistico? Sì, ma in questi casi è assai probabile che quel giovane o quell’adulto abbia manifestato segnali di autismo già nella primissima infanzia (forse mai diagnosticati), almeno entro i primi 3 anni di vita. Quindi coloro che sembrano improvvisamente adottare comportamenti autistici in realtà non lo hanno fatto dopo un periodo di sviluppo regolare ed equilibrato. Potrebbero invece aver sviluppato nel tempo una serie di problemi comportamentali o di comunicazione sociale, alcuni dei quali esplosi in età adulta.

Comportamenti simili all’autismo ma che non sono autismo.

Spesso si etichettano in modo errato o superficiale determinati comportamenti e stati d’animo, propri o di coloro che ci circondano. Una persona esigente non è necessariamente affetta da un disturbo ossessivo-compulsivo. L’essere lunatici non significa per forza soffrire del disturbo bipolare. Sentirsi di pessimo umore non si traduce automaticamente in una diagnosi di depressione. Nel caso dell’autismo, si tratta di un complesso disturbo dello sviluppo di solito diagnosticato in tenera età e non bastano alcune “stranezze” per definire qualcuno (o autodefinirsi) autistico.

Riconoscimento tardivo dei sintomi autistici.

Si può parlare di esordio tardivo dei sintomi di autismo? Abbiamo visto che non è esatto, poiché la letteratura scientifica sull’argomento ha dimostrato che i sintomi si manifestano nel primo periodo di sviluppo di un bambino. Ciò non toglie che possano emergere parzialmente più tardi oppure essere mascherati da strategie apprese in età adolescenziale o adulta. Nel caso di autismo ad alto funzionamento, per esempio, la diagnosi del disturbo nel bambino o nell’adulto potrebbe essere tardiva rispetto alla maggioranza dei casi. E questo non perché i sintomi autistici abbiano improvvisamente fatto la loro comparsa nella vita di questa persona. Piuttosto, è probabile che siano talmente lievi che solo sedimentandosi nel tempo si sono resi più evidenti.

Autismo ad alto funzionamento negli adulti.

Un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento presenta sintomi contenuti, ovvero più leggeri, rispetto a quelli dell’autismo a basso funzionamento. Di conseguenza, questa condizione permette alla persona che ne è affetta una vita tutto sommato indipendente nella gestione della propria persona e della propria quotidianità. Ecco perché, a volte, l’autismo ad alto funzionamento viene diagnosticato tardi, “da grandi”, quando il paziente ha ormai già imparato a riconoscerne e controllarne sfide e sintomatologia. Il che non vuol dire che non ha più senso rivolgersi a specialisti e seguire una terapia, perché questi supporti mirati aiuteranno il paziente a governare meglio il disturbo e a migliorare la qualità della sua vita.

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Gli italiani sono attenti alla salute?

Solo 1 italiano su 3 fa visite mediche regolari. Questo è il primo dato lampante che emerge da un recente studio condotto da UniSalute insieme all’Istituto di Ricerca Nomisma per sondare se gli italiani facciano o meno visite mediche regolari di routine e specialistiche. Secondo questa ricerca, il 46% degli italiani dichiara di rimandare le visite quando ha un problema trascurabile, mentre il 48% inizia a curarsi quando ha un disturbo o una malattia. Negli ultimi due anni, coincidenti con lo scoppio della pandemia da COVID-19, sono stati rimandati il 49% degli esami di prevenzione. Gli esami del sangue sono stati rimandati nel 24% dei casi. Sono stati ridotti anche esami di base come visite dermatologiche e controlli cardiologici. Nel corso del biennio 2020-2022 il 38% degli italiani ha limitato qualsiasi tipo di visita medica di base o specialistica.

Gli esami più annullati o rinviati.

Fra il 2020 e il 2022 gli esami medici più annullati o rinviati sono stati: le analisi del sangue (24%), visite dermatologiche (17%), esami cardiologici (14%). 13 italiani su cento hanno dichiarato che preferiscono sottrarsi il più possibile a qualsiasi visita medica. Una delle più classiche visite mediche di base come il controllo periodico dei nei non è mai stata fatta dal 54% degli italiani. La pandemia ha senza dubbio inciso sulle scelte degli italiani, comprese quelle relative alla cura della propria salute. Dal 2020 ad oggi è stato annullato un controllo su 5, mentre 1 su 3 è stato rinviato. Quindi, in sintesi, una visita su due è stata cancellata o rimandata.

Pandemia e visite di controllo.

Ciò che ha spinto a rinunciare o a posticipare le visite mediche è stata l’emergenza sanitaria nella maggior parte dei casi: molti italiani hanno preferito evitare di entrare in una struttura sanitaria temendo un eventuale contagio da COVID-19. Altri hanno evidenziato i tempi di attesa troppo lunghi causa pandemia e quindi hanno preferito disdire o rimandare le visite. Tuttavia nell’ultimo anno l’83% degli intervistato è andato almeno una volta dal proprio medico di base.

Prevenzione e cura della salute: non sono ancora buone abitudini.

Visite di controllo regolari, di base o specialistiche sono il primo passo per prevenire problemi di salute anche gravi e, che se non affrontati e gestiti in tempo, possono complicare pesantemente la vita di una persona e della sua famiglia. Un’analisi più approfondita dei dati raccolti da UniSalute e Nomisma rivela però, in linea di massima, una scarsa propensione degli italiani ad aver cura della propria salute. A tal proposito, Il dato più allarmante è la tendenza, nonché pericolosa abitudine, a sottovalutare l’importanza della prevenzione anche quando si tratta di visite specialistiche e controllo, in alcuni casi, salvavita.

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Attività fisica negli anziani: riduce la mortalità fino al 30%

Il 27 e il 28 ottobre scorsi si è svolto a Roma il XV Congresso Nazionale di Cardiogeriatria, presieduto dai professori Lorenzo Palleschi, direttore dell’Unità Operativa Complesso di Geriatria dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, e Francesco Vetta, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia e Aritmologia di IDI-IRCSS. Fra le tematiche affrontate, quella del fondamentale rapporto tra attività fisica, condizioni di salute e speranza di vita negli anziani.

Movimento, prevenzione, salute.

Sul legame tra movimento e riduzione del rischio di mortalità nelle persone in età avanzata il prof. Palleschi ha spiegato: “Il movimento non solo previene la maggior parte delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative (anche la demenza di Alzheimer, definita per la sua altissima prevalenza la vera epidemia del terzo millennio), ma permette una miglior conservazione dell’efficienza fisica, garantendo così di vivere a lungo in forma e in piena autonomia. Il declino della massa, forza muscolare e capacità motorie che è stato a lungo considerato un corollario ineluttabile dell’invecchiamento, non si osserva, o è molto meno evidente, in chi continua a praticare esercizio fisico anche in età matura-anziana. Gli anziani over 80 che praticano esercizi di resistenza hanno performance motorie equivalenti alla classe di età 50-54 anni”.

Degenza ospedaliera e movimento delle persone anziane.

Il prof. Palleschi ha poi sottolineato come l’attività fisica negli anziani faccia la differenza anche quando sono ricoverati in ospedale o in altre strutture sanitarie (se le condizioni fisiche glielo consentono, naturalmente). La scarsa mobilità causa un aumento del rischio di perdita dell’autonomia personale e altre complicazioni. “L’ipomobilità durante il ricovero può aumentare il rischio di morte di 30 volte rispetto ai soggetti ad alta mobilità. Data la pervasività di questo problema, la scarsità di movimento durante il ricovero in ospedale è stato definito per la prima volta “pericoloso” nel 1947, e successivamente descritto come un’epidemia. Gli ospedali hanno compiuto notevoli progressi nell’ultimo mezzo secolo e negli ultimi due decenni in particolare”.

COVID-19 e attività fisica degli anziani.

Nella cornice del XV Congresso Nazionale di Cardiogeriatria Palleschi ha infine ricordato che “La pandemia Covid-19 presenta nuove e gravi sfide che minacciano di compromettere i recenti sforzi e i progressi verso una cultura della mobilità. Le rigide misure di distanziamento sociale dentro le strutture sanitarie, le carenze di personale riallocate ad aree ad alto fabbisogno come il pronto soccorso o le terapie intensive, la mancanza di dispositivi di protezione, la diffidenza dei pazienti nei confronti della mobilità stanno minacciando la promozione dell’attività fisica all’interno delle strutture sanitarie. Un recente studio pubblicato quest’anno sulla prestigiosa rivista British Medical Journal ha dimostrato che un programma di esercizi condotto su una popolazione di persone anziane fragili con riduzione della massa muscolare (sarcopenia) è in grado di diminuire il rischio di disabilità motoria, nello specifico di percorrere a piedi 400 metri in autonomia”.