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Lotta al colesterolo, scoperto ruolo cruciale di proteina Pcsk9

Nuove evidenze giungono in tema di lotta al colesterolo. In particolare, due studi internazionali guidato dal Centro Cardiologico Monzino e dall’Università degli Studi di Milano, hanno confermato il ruolo che una proteina, denominata Pcsk9, ha anche nello sviluppo di infarto, ictus e nella calcificazione della valvola aortica, oltre che nella già nota azione sul colesterolo.
Tale proteina infatti svolge un’azione chiave nell’aggregazione delle piastrine, a causa delle quali si sviluppano i processi trombotici che poi scatenano infarti e ictus, oltre che nella calcificazione della valvola aortica. In tal senso, le conferme arrivano da due studi del Centro Cardiologico Monzino, pubblicati sulla rivista scientifica “Journal of the American College of Cardiology”.
Intervenendo sulla proteina Pcsk9, quindi, con opportuni farmaci denominati “anticorpi monoclonali” in grado di disattivarla, è stato possibile contrastare l’ipercolesterolemia riducendola fino al 60-70%, con particolare riferimento al colesterolo LDL, cosiddetto “cattivo”. Ciò nelle forme più resistenti in cui i tradizionali farmaci usati non hanno avuto una riduzione consistente di tali valori.
«Questi dati – spiega Marina Camera, principale autrice dello studio – ci hanno spinto a ipotizzare che i benefici in termini di eventi cardiovascolari prevenuti bloccando Pcsk9 potessero dipendere non soltanto dalla riduzione di colesterolo ottenuta. Abbiamo pensato che potesse esserci di più, che l’azione di questa proteina potesse estendersi oltre il metabolismo dei lipidi, e così abbiamo iniziato a cercare».

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Smettere di fumare: le terapie complementari sono efficaci?

Negli ultimi anni, vista anche la vastità del problema del fumo, è emerso un sempre maggiore interesse verso alcune terapie complementari a quelle farmacologiche. Alcune di esse risultano essere efficaci, tuttavia, non vi sono sufficienti prove scientifiche che ne testimonino l’efficacia.
A fare il punto di ciò che funziona e cosa no, è il National center for complementary and integrative health (Nccih), agenzia governativa statunitense che si occupa di medicina complementare, secondo il quale «vi sono prove che suggeriscono come alcune pratiche di meditazione mente-corpo, lo yoga e altre tecniche di rilassamento, come l’immaginazione guidata o il rilassamento muscolare, possano aiutare le persone a smettere di fumare». «È inoltre dimostrato   – spiega l’organismo – che l’agopuntura è un’altra pratica utile contro il vizio del fumo ma solo per un breve periodo, non esistono infatti prove sulla sua efficacia a lungo termine».
Sono invece risultati conflittuali gli studi sull’ipnosi come metodo complementare anti-fumo. A queste terapie, secondo il Nccih, si aggiunge anche l’assunzione di alcuni integratori, in particolare la S-adenosil metionina (Sam), conosciuta anche come ademetionina, la lobelina, alcaloide derivante dalla pianta Lobelia inflata, e l’iperico, pianta officinale con proprietà fitoterapeutiche, in particolare antidepressive e antivirali.
Infine, esiste un altro prodotto naturale usato in Europa e anche in Italia, la citisina, che sembra essere molto valido nella disassuefazione dal fumo, ma che non è ancora stata approvata dalla Food and drug administration (Fda) americana. A tal proposito, nello studio sulle terapie complementari per combattere il vizio del fumo, si inserisce proprio l’intervento del National center for complementary and integrative health, il quale sta focalizzando l’attenzione sulla citisina e vuole portare prove cliniche e non per presentare richiesta d’indagine da parte della Fda.
Al momento, secondo gli esperti del Nccih, «le pratiche corpo-mente come la meditazione e lo yoga, se eseguite correttamente, sono da considerarsi salutari e non comportano controindicazioni in pazienti sani». Il centro, tuttavia, suggerisce di fare attenzione ai metodi alternativi anche se “naturali” come gli integratori sopracitati perché «naturale non significa sicuro. Alcuni integratori possono avere effetti collaterali e altri possono interagire con medicinali o altri integratori». In particolare, si porta come esempio l’iperico, che ha già avuto numerose interazioni con alcuni medicinali, interazioni che in alcuni casi possono avere conseguenze serie.

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Fattura elettronica, per il medico nessun obbligo di emissione per il 2019

Il 1 gennaio 2019 è entrato in vigore, per milioni di attività in Italia, l’obbligo di emissione di fatturazione elettronica tra aziende e tra privati. Le farmacie, per la parte relativa all’emissione dei documenti in formato elettronico nei confronti dei pazienti, sono state esentate per tutto il 2019, in quanto i dati fiscali relativi alle transazioni sono già trasmessi al ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso il “Sistema Tessera Sanitara”.
Cosa accade invece nel caso dei medici convenzionati Asl, ovvero per i medici di famiglia? A fornire delucidazioni in merito è stata l’Agenzia delle Entrate che, in risposta alla richiesta di chiarimento, ha sottolineato come «le disposizioni normative che hanno previsto, dal 1° gennaio 2019, l’entrata in vigore dell’obbligo generalizzato della fattura elettronica non hanno modificato le previsioni della disciplina IVA in materia di certificazione delle operazioni». Pertanto, «se l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima, lo stesso non può ritenersi sussistente ora».
Secondo quanto specificato da Federfarma in una circolare, «per il periodo d’imposta 2019, i soggetti tenuti all’invio dei dati per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata non possono emettere fatture elettroniche con riferimento alle fatture i cui dati devono essere trasmessi al Sistema TS (cfr articolo 10-bis, DL 119/2018)». Pertanto, conclude, «i medici di base non sono tenuti a emettere fatture elettroniche né per le prestazioni eseguite nei confronti dell’ASL né, ma solo limitatamente all’anno 2019, per quelle nei confronti dei pazienti e comunicate al Sistema TS».

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5G e salute, alla Camera un convegno sui possibili rischi

Si terrà martedì 26 Febbraio 2019 alle ore 13:00 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati in Roma (Palazzo Montecitorio, Via della Missione 4, la conferenza stampa dell’alleanza italiana denominata “Stop 5G”, «per rinnovare la richiesta di una moratoria per la tecnologia 5G, il wireless di quinta generazione privo di studi preliminari sul rischio per la salute pubblica, fortemente criticato da ampia parte della comunità medico scientifica internazionale, non ultimo dal Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Comunità Europea che ne evidenzia i pericoli per ecosistema e popolazione civile». È quanto si legge in una nota divulgata dalla testata “Ilmamilio.it”.
«Con l’occasione – prosegue la nota – verrà presentato alla stampa anche il programma e le finalità del 1° meeting nazionale Stop 5G di Sabato 2 Marzo 2019 a Vicovaro (Roma) dal titolo ‘Emergenza politica di precauzione’ a cui, finora, col sostegno dei cittadini hanno aderito parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, assessori, partiti e movimenti politici, associazioni base e di malati, ecologisti e ambientalisti».
Fiorella Belpoggi, direttrice dell’area ricerca del Centro per la ricerca sul cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini, dichiara che «l’introduzione senza cautela del 5G, nonostante gli allarmi, sembra non aver insegnato nulla ai governi rispetto alle lezioni del passato». Per questo motivo, «i governi – sottolinea la scienziata – dovrebbero prendere tempo in attesa di valutazioni accurate sulla pericolosità di questa tecnologia innovativa con studi sperimentali appropriati».

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Salute cardiovascolare, quali sono gli elementi che la mettono a rischio?

Perdita ciclica e guadagno di peso, pressione arteriosa, colesterolo e zuccheri nel sangue, potrebbero essere associate con un maggior rischio di infarto, ictus e morte di qualsiasi causa, se comparata con le persone con migliori valori in tal senso. È in sintesi quanto riportato da uno studio osservazionale portato a termine, pubblicato sulla American Heart Association’s journal Circulation. Il primo studio in tal senso a suggerire che l’alta variabilità di tali fattori di rischio può avere un impatto negativo sulle persone relativamente sane.
In sostanza, comparate a coloro che avevano valori più stabili, durante un periodo di controllo di più di 5 anni, le persone con valori più alti, avevano il 127% in più la probabilità di morire, il 43% in più di avere un attacco cardiaco ed il 41% in più di avere un ictus.
Il Dr. Lee, capo autore dello studio “Yo-yoing weight, blood pressure, cholesterol and blood sugar readings may raise heart attack and stroke risk” e professore di endocrinologia, ha sottolineato che «i fornitori di assistenza sanitaria dovrebbero prestare maggiore attenzione alla variabilità delle misurazioni della pressione sanguigna, del colesterolo e dei livelli di glucosio del paziente e del peso corporeo». Inoltre, sottolinea, «cercare di stabilizzare queste misurazioni può essere un passo importante per aiutarli a migliorare la loro salute».