Il Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano (HUD) degli Stati Uniti ha recentemente stabilito il divieto di fumo di sigarette, sigari e pipe all’interno di appartamenti, aree comuni e spazi esterni entro 8 metri dalle case popolari; il divieto attualmente non copre le sigarette elettroniche.
L’obiettivo principale del divieto è quello di migliorare la qualità dell’aria interna e ridurre l’esposizione dei residenti al fumo passivo, ma secondo un recente studio pubblicato su PLOS One, questo tipo di iniziative possono anche aiutare i fumatori a basso reddito ad avere più successo nel tentativo di smettere di fumare.
I ricercatori hanno analizzato i dati di un sondaggio nazionale sulle abitudini al fumo della popolazione, ai partecipanti veniva richiesto se il fumo fosse permesso nelle loro case e se avessero provato o fossero riusciti a smettere in un periodo di 10 anni, dal 2002 al 2011; essi hanno poi esaminato altri fattori che possono influire sulla cessazione, come reddito e istruzione.
Secondo lo studio, i fumatori benestanti avevano quasi il doppio delle probabilità di riuscire a smettere per almeno 30 giorni rispetto ai fumatori a basso reddito. Le persone che abitavano in case dove non era possibile fumare avevano il 60% in più di probabilità di smettere di fumare per almeno 30 giorni rispetto alle persone senza questo divieto. Tuttavia, la prevalenza di case senza fumo era del 33% più bassa tra le persone a basso reddito che tra le persone più abbienti.
“Abbiamo scoperto che ridurre il consumo di sigarette e simili predice una cessazione totale. – Ha dichiarato l’autrice principale dello studio, la dott.ssa Maya Vijayaraghavan dell’Università della California, a San Francisco – Il divario nei risultati di cessazione tra individui con reddito inferiore e superiore potrebbe essere ridotto fino al 36% se le persone con reddito più basso abitassero in case prive di fumo. E si tratta di una riduzione sostanziale del divario a livello di popolazione”.
Abitare in case dove non è consentito fumare potrebbero aiutare a smettere del tutto, rendendo più difficile per i fumatori accendersi una sigaretta quando vogliono. I fumatori potrebbero anche ridurre il fumo perché è meno conveniente, e quindi ridurre potrebbe a sua volta rendere più facile smettere.
Durante il periodo di studio, poiché sempre più persone in tutto il Paese hanno iniziato a vivere in case senza fumo, più persone hanno smesso di fumare per più di un mese, e quelli che non hanno smesso hanno ridotto il numero di sigarette.
Lo studio non era un esperimento controllato progettato per dimostrare se o come le case senza fumo potessero direttamente causare l’abbandono dell’abitudine al fumo, “eppure questi risultati si aggiungono a una grande quantità di prove che suggeriscono che un alloggio senza fumo può rendere più facile per i fumatoro smettere – ha confermato Judith Prochaska, ricercatrice presso la Stanford University in California che non è stata coinvolta nello studio – Vedere fumare altre persone per strada o nei parchi può scatenare la voglia di fumo, ma è più facilmente controllabile rispetto a quando si è nella propria residenza. Vivere in una casa dove non è consentito fumare rimuove gli stimoli che attivano la voglia di accendere la sigaretta (ad esempio, vedere e annusare una sigaretta, vedere accendini, posacenere, pacchetti di sigarette) e rimuove l’esposizione al fumo passivo. Il fumo passivo, sia di seconda che di terza mano, lasciato su superfici come tappeti e tende contiene sia nicotina che sostanze cancerogene, e ad oggi non è disponibile alcuna forma di ventilazione e filtrazione che possa rimuovere efficacemente l’esposizione al fumo negli ambienti interni”.
La sola abitazione senza fumo potrebbe però non essere sufficiente a indurre le persone a smettere, dunque “queste politiche abitative sul divieto di fumo in casa devono essere accompagnate da ulteriori forme di aiuto alla cessazione, come per esempio la promozione di linee di assistenza per smettere di fumare o l’accesso a farmaci efficaci”, ha puntualizzato il dottor Carlos Roberto Jaen del Centro di Scienze sanitarie dell’Università del Texas a San Antonio.
Categoria: Notizie
Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Secondo la Glaucoma Research Foundation, i pazienti con apnee notturne presentano un rischio di 10 volte maggiore di sviluppare il glaucoma, una grave malattia dell’occhio caratterizzata da un progressivo danno al nervo ottico, causato in parte da un forte aumento della pressione interna all’occhio. In Italia colpisce circa mezzo milione di persone e il trend appare in crescita a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Se non diagnosticato, il glaucoma è irreversibile e può portare alla perdita della vista, tuttavia se individuato in tempo si può trattare in modo efficace, ma è necessario non sottovalutare i primi sintomi.
Le apnee ostruttive del sonno sono un fenomeno che accomuna circa 12 milioni di italiani dai 40 anni in su, con sintomi che includono sonnolenza diurna, colpi di sonno, mancanza di concentrazione e mal di testa. Le persone che soffrono di apnee ostruttive durante il sonno sperimentano ripetute pause del respiro, anche decine di volte per notte e per diversi secondi. E’ ormai ampiamente noto che queste interruzioni hanno effetti a cascata sul corretto funzionamento della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco, aumentando il rischio di ipertensione, infarto, ictus e problemi cardiaci, tuttavia recentemente i ricercatori hanno scoperto che le apnee notturne possono avere effetti negativi anche sulla vista e in particolare sulla pressione oculare, causando lo sviluppo del glaucoma.
“Si tratta di una connessione particolarmente subdola e pericolosa che rende ragione ulteriore di trovare un trattamento efficace per questo disturbo del sonno. In particolare i soggetti con apnea diagnosticata dovrebbero sottoporsi a controlli periodici regolari per intercettare al più presto eventuali segni di malattie oculari e impostare una terapia che ne rallenti la progressione” spiega il Professor Luciano Quaranta, Responsabile del Centro per il Glaucoma degli Spedali Civili di Brescia “per individuare se le apnee avessero conseguenze a livello oculare è stata utilizzata una innovativa lente a contatto che ‘registra’ le fluttuazioni della pressione intraoculare in continuo grazie ad un particolare sensore (CLS) che intercetta e registra le variazioni della curvatura e nella circonferenza della cornea che si verificano in risposta ai cambiamenti pressori. L’uso di queste speciali lenti a contatto avviene in concomitanza con la polisonnografia, l’esame che registra i cambiamenti notturni e le apnee, in modo da verificare se la pressione dell’occhio aumenta in corrispondenza dell’episodio di apnea.“
Anche il meritato relax, si sa, ha bisogno di riflessione e pianificazione, soprattutto se si è determinati a non farsi rovinare le vacanze, brevi o lunghe che siano, da quegli imprevisti sempre in agguato per i turisti, piccoli disturbi di salute cha vanno dalle contusioni, alle scottature, passando per raffreddori, virus intestinali, insonnia da jet leg e gestione delle varie politiche sanitarie nei Paesi prescelti come meta delle ferie. Nulla di complicato, basta attrezzarsi e non farsi cogliere impreparati, trovando spazio in valigia per il necessario e adottando poche, semplici precauzioni.
Se decidete di andare in vacanza oltre frontiera, prima di partire controllate sul sito della Farnesina «Viaggiare Sicuri» (www.viaggiaresicuri.mae.aci.it) la situazione sanitaria e le vaccinazioni obbligatorie e consigliate per entrare nel Paese, e per effettuarle contattate la vostra ASL di riferimento. Inoltre, se la vostra meta è in un Paese membro dell’Unione Europea, ricordate di portare con voi la Tessera Sanitaria, che è anche tessera europea di assicurazione malattie, un documento riconosciuto in tutta l’UE, che consente di usufruire di tutte le cure mediche necessarie, anche quelle considerate non urgenti; bisogna tenere presente, infatti, che in molte nazioni non tutti i servizi sanitari sono gratuiti.
Portate con voi i farmaci che usate abitualmente, prescritti dal medico e da banco per i malanni occasionali. Per questi ultimi informatevi, presso il vostro medico di famiglia o farmacista di fiducia, sul nome del principio attivo che siete abituati ad assumere, in modo da poterlo facilmente reperire oltre confine. Alcuni farmaci, con e senza ricetta, che in Italia sono approvati e dispensati, all’estero sono considerati illegali o possono essere introdotti solo in casi specifici, controllate quindi eventuali restrizioni, e chiedete se le medicine che assumente regolarmente rientrano in una lista vietata e, in caso, quali procedure si devono attuare per ottenere le autorizzazioni a portarle con sé in viaggio.
Se la vostra vacanza è in Paesi esotici, e soprattutto in luoghi dove le condizioni igieniche sono precarie, bevete e usate acqua confezionata in bottiglia e consumate cibi cotti o sbucciati, al fine di evitare di contrarre virus intestinali che possono causare dissenteria o vomito.
Per prevenire o ridurre il rischio di essere colpiti da questi spiacevoli sintomi e rovinare la vostra permanenza, ricordatevi che la regola n.1 è lavare spesso e a fondo le mani. Se tuttavia queste precauzioni non dovessero bastare, e vi capita di essere colpiti da dissenteria e non migliorate entro un paio di giorni, non esitate a recarvi in ospedale o a farvi visitare da un medico.
AncheJet lag, cibi, orari e ritmi inusuali possono causare fastidi, soprattutto all’apparato gastrointestinale, e si manifestano di solito con pesantezza di stomaco, acidità, cattiva digestione o stitichezza. Per ridurre tali rischi, soprattutto nei primi giorni di vacanza, sarebbe bene evitare bibite gassate e cibi elaborati, ricchi di grassi e spezie. Se siete vittima di mal di pancia e gonfiore tipici del “disordine alimentare del turista”, evitate gli alimenti che introducono aria o gas nello stomaco e nell’intestino come le bibite gassate. Se invece avete problemi di stitichezza, evitate gli alimenti raffinati, alcolici, fritti e grassi animali e cercate di mangiare delle fibre (pane integrale e crusca, frutta e verdura), aumentando l’attività fisica.
A prescindere dalla vostra meta, non scordatevi di portare con voi occhiali da sole, cappello, crema solare adatta al vostro fototipo, repellenti per zanzare e insetti, e sciarpa per affrontare gli sbalzi termici dovuti alla presenza di climatizzatori, che possono causare tosse, raffreddore e mal di gola.
Per essere sicuri di non rovinarsi le tanto agognate ferie, oltre a seguire le semplici regole di prevenzione, è consigliabile trovare un po’ di spazio in valigia per un kit di rimedi per le emergenze, che include il kit di pronto soccorso e i farmaci di automedicazione, riconoscibili grazie al bollino con la faccina che sorride sulla confezione, e in particolare: Disinfettanti, garze sterili, ghiaccio secco e cerotti per escoriazioni, ferite, strappi e distorsioni. Possono essere utili anche medicinali antinfiammatori per ridurre l’eventuale gonfiore e alleviare il dolore, oltre a farmaci ad azione cicatrizzante. Nel caso di slogatura o ematomi a seguito di una caduta, ricordate di mantenete l’articolazione a riposo e applicate sull’area interessata una fonte fredda come borsa con il ghiaccio.
Farmaci a uso topico a base di antistaminici o corticosteroidi a bassa potenza e anestetici locali, per liberarsi efficacemente dell’infiammazione cutanea e prurito dovuti a irritazioni, punture di insetti e dermatiti da contatto. In caso di puntura di api, disinfettate con cura la ferita togliendo con delicatezza il pungiglione, prestando attenzione a non strapparne la parte residua per non favorire la comparsa di un’infezione.
Antiemetici contro le cinetosi tipo mal mal d’auto, mal di mare e mal d’aria, che causano nausea e vomito Emollienti e medicinali ad azione antisettica, antipruriginosa e rigenerativa contro il prurito, il bruciore e la secchezza dovuti a scottature solari. Disturbi che, tuttavia, potrebbero agevolmente essere evitati non esponendosi al sole nelle ore più calde della giornata, e in caso farlo con le adeguate protezioni. Se invece siete rimasti a lungo sotto il sole e la pelle si è arrossata troppo, è consigliabile fare subito una bella doccia fredda, asciugando con delicatezza la parte scottata del corpo. Una volta che la pelle è pulita e asciutta sempre meglio applicare almeno una crema lenitiva e idratante.
Antispastici, antidiarroici e microrganismi antidiarroici che aiutano rispettivamente a calmare gli spasmi, ripristinare e regolarizzare la flora intestinale, per combattere mal di pancia e diarrea.
Lassativi e adsorbenti intestinali per contrastare aerofagia e meteorismo, stitichezza e gonfiore addominale Farmaci ad azione balsamica, antisettici del cavo orale, decongestionanti nasali e antinfiammatori non steroidei, per mal di gola e raffreddore Antipiretico per far scendere la temperatura in caso di febbre. Antinfiammatori non steroidei e miorilassanti per trattare contratture, torcicollo e dolori muscolari Farmaci procinetici, antiacidi e anti-secretori contro cattiva digestione, acidità e reflusso gastrico Sedativi leggeri a base di sostanze vegetali (valeriana, passiflora) contro l’insonnia da jet lag Infine non dimenticate di conservare i farmaci nel modo corretto, seguendo le indicazioni del foglietto illustrativo ed evitando gli sbalzi termici. In caso di dubbi sull’utilizzo dei farmaci di automedicazione, non esitate a rivolgervi al farmacista di fiducia o al medico di famiglia.
Passa il tempo, cambiano gli stili di vita. Dagli anni in cui eravamo iperattivi, siamo arrivati agli anni in cui passiamo ore e ore fermi, seduti in ufficio davanti al monitor di un PC o davanti una console di gioco.
Per poter contrastare gli effetti negativi di una vita sedentaria, tra cui l’incremento di peso, è considerata abitudine salutare il praticare quotidianamente attività fisica.
Spesso però ci chiediamo: che tipo di attività fisica è necessaria per mantenersi in forma? Quali sono dei livelli accettabili di attività giusta per poter evitare di mettere sotto affaticamento l’organismo? A rispondere a queste domande è l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha stabilito quali sono i livelli di attività fisica utile a mantenere il controllo del peso corporeo.
Le ricercatrici dell’ISS, Istituto Superiore della Sanità, Valentina Minardi, Benedetta Contoli e Maria Masocco, hanno evidenziato in un documento che «per ottenere vantaggi per la salute nell’adulto (18-64 anni) l’attività fisica dovrebbe essere praticata nell’arco della settimana per almeno 150 minuti complessivamente con intensità moderata (in media 30 minuti per 5 giorni la settimana) ovvero per almeno 75 minuti complessivamente con intensità più elevata (in media 15 minuti per 5 giorni la settimana) o ancora con una combinazione equivalente di attività di intensità moderata ed elevata».
Con riferimento all’attività cosiddetta “aerobica” le ricercatrici spiegano che questa «deve essere effettuata in frazioni di almeno 10 minuti continuativi per ottenere un vantaggio metabolico significativo». Mentre «raddoppiando il tempo settimanale raccomandato (300 minuti di attività moderata ovvero 150 minuti di attività intensa o ancora una combinazione equivalente) si raggiungono benefici aggiuntivi».
Inoltre è «indicata almeno 2 giorni alla settimana un’attività di rafforzamento dei gruppi muscolari maggiori».
Per quanto attiene invece l’intensità dell’attività fisica, le ricercatrici spiegano che «anche se per mantenersi in salute e prevenire le malattie croniche è sufficiente praticare regolarmente un’attività di intensità moderata, un’attività intensa può essere gradita ad alcune persone e ha un’efficacia anche maggiore, ma va riservata alle persone adeguatamente allenate evitando in particolare che lo sforzo intenso sia praticato sporadicamente perché incrementa il rischio di incidenti cardiovascolari».
Infine, l’attività fisica a intensità leggera, hanno «solo una modesta efficacia preventiva e non è consigliabile se non nelle fasi iniziali di “allenamento” nei soggetti sedentari, obesi o molto anziani nell’ottica di un incremento molto graduale dei tempi e dell’intensità».
Il dolore al collo è uno dei più significativi problemi di salute in tutto il mondo. Secondo la Global Burden of Disease Study, è la quarta principale causa di anni vissuti con disabilità, la sua prevalenza nella vita media è stimata al 48,5% ma si prevede che aumenterà a causa dell’invecchiamento della popolazione. Il decorso naturale di un episodio di dolore al collo è favorevole, tuttavia i tassi di recidiva sono alti, e questo comporta un onere elevato in ambito sociale ed economico, a livello globale. In tutto il mondo, infatti, gli studi sull’impatto globale delle malattie hanno portato ad una richiesta sempre più forte di strategie di prevenzione di recidive del dolore al collo e mal di schiena, indicazioni assenti anche dalle più recenti linee guida di pratica clinica per tali disturbi. Sono dunque necessarie una revisione sistematica completa di alta qualità degli studi già esistenti e nuove indagini, al fine di esaminare l’efficacia delle strategie attuate sinora. Il più recente tentativo in questo senso è stato fatto su cinque studi in cui sono stati coinvolti uomini e donne di età media di 40 anni, che lavoravano come impiegati o infermieri. La meta-analisi ha rivelato che, ad oggi, la strategia più efficace per prevenire nuovi episodi di dolore al collo è un programma di esercizi effettuati sul posto di lavoro e a casa.
Tale conclusione deriva dai dati aggregati di due studi randomizzati controllati su un totale di 500 partecipanti. Uno dei due studi ha valutato un programma di esercizi che includeva lo stretching del muscolo del collo e l’allenamento di resistenza, effettuati al lavoro due volte al giorno per ogni giorno lavorativo e due volte a settimana a casa, durante tutto il periodo di studio di 12 mesi. Il secondo studio ha valutato un programma aerobico generalizzato, comprendente esercizi di consapevolezza corporea e allenamenti aerobici, di rafforzamento, stabilizzazione e stretching, integrati con formazione sulla salute e sulla gestione dello stress nonché con un esame pratico del posto di lavoro. Il programma di esercizi è stato erogato in sessioni di un’ora, tre volte alla settimana per 9 mesi, mentre la formazione in sessioni di un’ora, una volta alla settimana per 4 mesi.
Questa revisione ha dimostrato in modo più o meno convincente che un programma di esercizi, rispetto ad altri interventi, riduce il rischio di un nuovo episodio di dolore al collo, ma ulteriori studi con follow-up a lungo termine dovranno essere condotti per stabilire più chiaramente le implicazioni di questo risultato sulla salute pubblica.