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Alopecia androgenetica, il PRAC: «Possibile relazione tra depressione e finasteride 1mg»

Il PRAC, l’ente di farmacovigilanza in seno all’Agenzia Europea per i Medicinali, ha recentemente diramato una circolare confermando la possibile presenza di «rischi di disfunzione sessuale e disordini psichiatrici con medicinali contenenti finasteride 1 mg».
In particolare, come si legge nella nota informativa importante, «sono stati segnalati casi di depressione e/o ideazione suicidaria con l’uso di medicinali contenenti finasteride 1 mg, indicati per il trattamento degli stati precoci di alopecia androgenetica negli uomini di età compresa tra i 18 e i 41 anni».
L’alopecia androgenetica è una particolare condizione che provoca la caduta del capello a seguito della suscettibilità del follicolo pilifero. Sebbene si tratti di una condizione molto comune, che interessa il 70% degli uomini e il 40% delle donne, essa può essere trattata con diverse modalità. Tra queste è possibile intervenire con terapia farmacologica, sia per uso sistemico che per uso topico. Nel caso della terapia somministrata per bocca, il medico, qualora la condizione lo consenta, potrebbe prescrivere ai soli uomini il trattamento con finasteride 1mg.
Sebbene il rapporto beneficio/rischio derivante dall’uso di finasteride 1mg rimane positivo, durante il trattamento con la terapia, i pazienti «devono essere consapevoli del rischio che si verifichi disfunzione sessuale (inclusi disfunzione erettile, disturbo dell’eiaculazione e libido diminuita) come evento avverso. Inoltre, i pazienti devono essere informati del fatto che sono stati segnalati eventi avversi di disfunzione sessuale che persistevano anche dopo l’interruzione della terapia».
Anche gli operatori sanitari, tra cui farmacisti e medici, «devono monitorare attentamente i pazienti durante il trattamento con finasteride 1 mg per la comparsa di sintomi psichiatrici (inclusi ansia, depressione, e ideazione suicidaria) e, se questi si dovessero verificare, il trattamento deve essere interrotto e il paziente deve richiedere il consiglio del medico». Si invita inoltre a segnalare eventuali reazioni avverse al proprio farmacista o al medico curante, in modo da consentire un intervento fattivo e provvedere alla segnalazione attraverso la Rete Nazionale di Farmacovigilanza.

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Diagnosi precoce cancro al polmone, individuate quattro proteine

I ricercatori statunitensi hanno scoperto e sperimentato un nuovo marcatore per la diagnosi precoce del cancro al polmone. Questo nuovo strumento può migliorare gli attuali criteri di accesso allo screening e il tradizionale modello di previsione del rischio basato sull’anamnesi relativa all’abitudine al fumo del paziente, che negli USA risulta inefficace nel prevedere gran parte dei casi diagnosticati.
Le 4 proteine circolanti alla base del biomarcatore per la valutazione del rischio di cancro al polmone sono l’antigene del cancro 125 [CA125], l’ antigene carcinoembrionico [CEA], un frammento di citocheratina-19 [CYFRA 21-1] e il precursore della proteina tensioattiva B [Pro-SFTPB], tutte individuate incrociando i campioni prediagnostici di 108 pazienti fumatori con carcinoma polmonare diagnosticati entro 1 anno dalla raccolta del sangue e i campioni provenienti da 216 controlli abbinati all’anamnesi relativa al fumo effettuati per un precedente studio sull’Efficacia del Carotene e Retinolo (CARET). Il punteggio del biomarker è stato successivamente convalidato in cieco, confrontando i risultati con le stime di rischio assoluto di 63 partecipanti a due grandi trial europei, la ricerca prospettica europea sul cancro e la nutrizione (EPIC) e lo studio sulla salute e le malattie della Svezia settentrionale (NSHDS), tutti pazienti fumatori con carcinoma polmonare diagnosticati entro 1 anno dalla raccolta del sangue e con 90 controlli abbinati alla storia di abitudine al fumo.
Questa nuova analisi americana ha dunque fornito una prova di principio nel dimostrare che un biomarcatore costutito da un gruppo di proteine circolanti può migliorare la valutazione del rischio di cancro al polmone e può essere utilizzato per definire l’ammissibilità allo screening per tomografia computerizzata (TAC).

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Lavoro disabili, stanziati nuovi fondi per incentivare le assunzioni nel 2018

Il Governo ha stanziato ulteriori 9 milioni di euro per i nuovi incentivi all’assunzione delle persone con disabilità, attraverso l’approvazione del Decreto interministeriale del 7 maggio 2018 pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed emanato di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. La somma sarà trasferita all’INPS e destinata al Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, al quale furono già assegnati quasi 22 milioni nel 2016 e aggiunti altri 58 milioni nel 2017.
Dei 9 milioni di quest’anno, circa 7 milioni e mezzo saranno destinati agli esoneri relativi all’anno 2017, mentre 1 milione e mezzo a quelli del 2018. L’incentivo, che corrisponde a uno sgravio contributivo di 36 mesi, spetta ai datori di lavoro privati e agli enti pubblici economici che assumono a tempo indeterminato, sia full time che part time, persone con varie disabilità.
L’incentivo si applica alla retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, e corrisponde alla misura del 70% per le assunzioni a tempo indeterminato delle persone con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o con minorazioni dalla prima alla terza categoria (testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), e alla misura del 35% per le assunzioni a tempo indeterminato delle persone con riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% e il 79% o con minorazioni dalla quarta alla sesta categoria (testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra).
Lo stesso sgravio del 70% è concesso anche ai datori di lavoro che decidono di assumere lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, ma ha durata di 60 mesi nel caso di assunzione a tempo indeterminato, mentre dura lo stesso tempo del contratto, per assunzioni a tempo determinato non inferiore a 12 mesi.

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“Bimbi in auto”, al via campagna del ministero della Salute

La sicurezza dei bambini prima di tutto, è l’obiettivo principale della campagna “Bimbi in auto” realizzata dal ministero della Salute, insieme al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la Polizia di Stato e le società e associazioni scientifiche pediatriche (Sip, Simeup, Sipps, Acp).
Sono infatti centinaia i bambini che ogni anno perdono la vita o riportano lesioni, nei 175mila incidenti stradali che si registrano sulle strade italiane. Gran parte delle conseguenze gravi si verifica per il mancato o cattivo uso dei seggiolini, obbligatorio per i bimbi fino al metro e cinquanta di altezza, o della cintura, obbligatoria per tutti gli altri.
La campagna di sensibilizzazione sarà diffusa negli ambulatori pediatrici, negli ospedali, consultori, centri vaccinali e sui principali mezzi di comunicazione.
Sarà distribuito un opuscolo contenente informazioni su quale seggiolino scegliere, in base al peso del bambino, oltre che una serie di comportamenti e consigli da mettere in pratica alla guida. Primo tra tutti, quello di usare sempre il seggiolino e non tenere mai in braccio il bambino, anche se per brevissimi tragitti. Successivamente, l’invito all’acquisto di un dispositivo più adeguato e che sia omologato. Utilizzare un dispositivo alle dimensioni, anche nei primi mesi di vita. Montare il seggiolino nella posizione corretta. Allacciare sempre le cinture, anche se il bambino strilla e fa i capricci. Infine, no al lecca-lecca mentre si guida, sì al peluche.

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Un’aspirina al giorno per proteggere il cuore? Dipende dal peso

Un’aspirina al giorno a basso dosaggio è ampiamente raccomandata per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, ma l’approccio standard “una dose uguale per tutti” potrebbe non funzionare. Una nuova analisi pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet ha esaminato i dati di 10 studi randomizzati, per un totale di più di 117 mila partecipanti, e ha rilevato che c’è una correlazione tra dosaggio dell’aspirina e peso e altezza corporei, con effetti significativi sul risultato della terapia, che deve quindi adeguata alle caratteristiche e le necessità dei singoli pazienti.
I ricercatori del National Institute for Health Research Oxford Biomedical Research Centre hanno infatti scoperto che una dose giornaliera da 75 a 100 milligrammi di aspirina riduce il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti che pesano meno di 70 kg, ma non ha alcun effetto nell’80 % degli uomini e nel 50% delle donne che hanno un peso superiore, anzi in questi aumenta il rischio di un evento cardiovascolare fatale. Mentre dosi più elevate – da 325 a 500 milligrammi al giorno – hanno mostrato un’interazione inversa con il peso e l’altezza, risultando efficaci nell’abbassare il rischio cardiovascolare solo nelle persone che pesavano più di 70 kg.
Questi risultati si riscontrano negli uomini e nelle donne, nei pazienti con diabete e nella prevenzione secondaria dell’ictus. Nell’ambito dello stesso studio, sono stati anche analizzati gli effetti dell’aspirina rispetto ad altri esiti come il cancro, e si è palesata anche in questo caso la medesima correlazione con le dimensioni corporee. Il farmaco a basso dosaggio ha ridotto il rischio a lungo termine di tumore del colon-retto in persone di peso inferiore a 70 kg, ma non in quelle che superano quel peso, mentre un alto dosaggio ha ridotto il rischio di cancro nelle persone tra i 70 e gli 80kg, ma non in quelle più pesanti. Inoltre, l’ulteriore stratificazione dei pazienti ha rivelato danni causati dall’eccessibo dosaggio, con aumento del rischio a breve termine di cancro nei partecipanti con peso e statura bassi di età uguale o superiore a 70 anni.
Per converso, si è potuto osservare una notevole riduzione degli eventi cardiovascolari e morte per tutte le cause quando la dose di aspirina somministrata era adeguata al peso, e ciò suggerisce che esiste una finestra terapeutica correlata alle dimensioni corporee all’interno della quale una dose giornaliera di aspirina è davvero efficace, e bisogna dunque usare strategie personalizzate per sfruttarla al meglio.
‹‹Ci sono un miliardo di persone in tutto il mondo che assumono l’aspirina regolarmente e ogni studio randomizzato si basa sulla stessa dose uguale per tutti i pazienti. Potremmo aver sbagliato in questo, dovremmo adattare il dosaggio all’individuo, come facciamo con altri farmaci››, ha ammesso Peter M. Rothwell, autore principale dello studio e professore di neurologia all’Università di Oxford.