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Giornata mondiale contro l’AIDS, Fofi: «Farmacisti sono a disposizione della collettività»

La Fofi, Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, interviene in occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS.

Il 1 dicembre di ogni anno è la Giornata mondiale contro l’AIDS, occasione dedicata a mantenere alta l’attenzione e la coscienza sull’epidemia mondiale di AIDS dovuta a causa della diffusione del virus HIV. Per quanto possano essere stati fatti passi da gigante, migliorando la vita delle persone grazie al miglior accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali, il virus, dal 1981 ad oggi, ha ucciso circa 25 milioni di persone. Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, ha ricordato la giornata affermando che «l’infezione da HIV è un esempio perfetto di come la ricerca farmacologica possa mutare radicalmente il destino del paziente. Oggi la sopravvivenza ha raggiunto traguardi impensabili e con una buona qualità della vita, trasformando l’HIV in una malattia cronica». Tuttavia, sottolinea il dirigente, «a questo aspetto positivo si affianca purtroppo il dato, finora incomprimibile, di 3.500 – 4000 nuovi casi l’anno in Italia. Non solo: come ricordato nei giorni scorsi dall’infettivologo Matteo Bassetti, spesso sono diagnosi tardive».
Nonostante i nuovi casi, «le stime concordano sul fatto che a livello mondiale, e quindi anche nel nostro paese, dal 30 al 35% delle persone colpite ignora la sua condizione». Per questo motivo, chiosa Mandelli, «resta forte il bisogno di grandi campagne mirate alla prevenzione e agli screening, ma anche di un’opera costante e quotidiana di informazione, sia per contrastare lo stigma che ancora accompagna questa malattia sia per divulgare i progressi operati in campo diagnostico e terapeutico».
A tal proposito, Mandelli ricorda che «i farmacisti sono a disposizione della collettività per offrire consiglio e indicazioni anche sul tema, importantissimo, delle interazioni tra le terapie antiretrovirali e gli altri farmaci di uso comune». «Credo però – conclude – che se, fortunatamente, l’HIV è divenuto una malattia cronica, si debba mettere in condizione l’assistenza territoriale di farsi carico anche di questi pazienti, soprattutto considerando quale peso abbia qui l’aderenza alla terapia, anche per ridurre al minimo le possibilità di contagio accidentale».

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