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I residui di farmaci nell’acqua rappresentano un problema ambientale

Uno studio olandese ha evidenziato in che modo i residui di farmaci rappresentano un problema per la salute dell’ambiente (e quindi dell’uomo).

«Negli ultimi 20 anni sono aumentate le concentrazioni di farmaci nell’acqua potabile di tutto il mondo». È quanto rilevato in uno studio portato a termine un gruppo di studiosi della Radboud University a Nijmegen, in Olanda. In sostanza, i livelli dell’antibiotico ciprofloxacina ha raggiunto il punto di essere potenzialmente causa di effetti dannosi sull’ambiente. In questa direzione, la ricerca svolta è la prima ad esaminare il rischio di due particolari farmaci presenti nelle fonti di acqua dolce a livello globale.
Nello specifico, sono state analizzate le concentrazioni di carbamazepina, un farmaco anti-epilettico, e ciprofoxacina, un antibiotico molto usato per il trattamento di varie patologie. Ebbene, le concentrazioni trovate nelle fonti di acqua sono state da 10 a 20 volte più alte, rispetto al 1995. Ciò a causa dell’incremento dell’utilizzo di tali molecole. «La concentrazione dell’antibiotico ciprofloxacina – spiegano i ricercatori – può essere dannosa per i batteri presenti nell’acqua», in aggiunta a ciò, «tali batteri svolgono un ruolo importante nei vari cicli alimentari». Inoltre, «gli antibiotici hanno anche un impatto negativo sull’efficacia delle colonie batteriche utilizzate nel trattamento delle acque reflue».
L’antibiotico-resistenza è stata inserita nell’agenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e nell’Assemblea generale delle Nazioni unite. «Solitamente – spiegano i ricercatori – l’antibiotico-resistenza è considerata un problema nel settore sanitario, poiché i batteri resistenti possono essere diffusi all’interno degli ospedali o attraverso il bestiame», tuttavia, evidenziano, «c’è poca consapevolezza del ruolo dell’ambiente in questo problema, anche se diventa sempre più chiaro che l’ambiente funziona come una fonte di resistenza per vari patogeni».

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