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Epifora: quando l’occhio lacrima in maniera eccessiva  

Mai sentito parlare di epifora? Questo termine medico indica un disturbo oculare caratterizzato da lacrimazione eccessiva, che può avere numerose cause. Per riconoscerle, sono necessarie alcune nozioni di base sulle strutture dell’occhio coinvolte nella lacrimazione e sul funzionamento di questo processo.

Le ghiandole di Meibomio sono localizzate sulla superficie interna delle palpebre e hanno la funzione di secernere le lacrime. Queste formano sulla superficie dell’occhio una pellicola oleosa costituita da diverse sostanze tra cui acqua, muco, proteine, lipidi. Il film lacrimale ha la funzione di proteggere, lubrificare, nutrire e mantenere pulita la superficie oculare. Grazie a un sistema di scarico posto sul lato interno dell’occhio, che drena le lacrime in eccesso, il volume del film lacrimale rimane costante nel tempo. Il sacco lacrimale è una sorta di piccolo serbatoio per le lacrime, mentre il dotto nasolacrimale funge da canale di sfogo del sacco lacrimale, trasportando le lacrime nel naso e in gola.

Se le ghiandole lacrimali sono molto attive o il sistema di drenaggio non funziona in modo adeguato, le lacrime in eccesso fuoriescono dagli occhi e si parla di epifora. Una delle cause è l’occlusione totale o il restringimento parziale del sistema di scarico lacrimale. Il ristagno delle lacrime nel sacco lacrimale può predisporre alle infezioni e provocare gonfiore a lato del naso. L’occlusione dei dotti lacrimali è più comune in età avanzata, ma si può andare incontro a questa condizione a qualsiasi età nel caso di infiammazioni oculari o traumi meccanici.

Altra causa dell’epifora è l’iperproduzione di lacrime ad opera delle ghiandole lacrimali conseguente a irritazioni provocate da fumo o polveri, allergie oppure congiuntivite, cioè l’infiammazione della membrana che riveste l’interno delle palpebre e la superficie del bulbo oculare dovuta a un’infezione batterica o virale, o blefarite, che è l’infiammazione del margine palpebrale. L’arrossamento dell’occhio può anche essere determinato da un’alterazione della composizione del film lacrimale, che in questo modo non riesce a distribuirsi in maniera omogenea sulla cornea. L’ipersecrezione di lacrime è quindi un fenomeno compensatorio; sebbene il sistema di drenaggio funzioni correttamente, non è in grado di far fronte alla produzione eccessiva di lacrime.

Non è raro riscontrare l’epifora nei soggetti impossibilitati a battere le palpebre, azione indispensabile per direzionare le lacrime in eccesso verso il sistema di scarico. In ogni caso, è fondamentale individuare le cause dell’iperlacrimazione per trattarla in modo mirato. Talvolta la guarigione si verifica in maniera spontanea, ma occorre monitorare sintomi quali rossore, bruciore, dolore, gonfiore, prurito, che potrebbero essere i segnali di un’infezione. In questa evenienza, si consiglia di rivolgersi al proprio medico curante o allo specialista in oftalmologia, che potranno prescrivere la terapia farmacologica più indicata.

Se il motivo dell’occhio che lacrima è la secchezza, altri sintomi spesso concomitanti sono sensibilità alla luce e all’aria, visione offuscata e affaticamento, soprattutto dopo aver fissato a lungo lo schermo di dispositivi elettronici o sforzato l’occhio, per esempio alla guida dell’automobile o con una lettura prolungata. Il farmacista suggerirà l’impiego di colliri a base di sostanze umettanti, lenitive, antinfiammatorie naturali, come acido ialuronico ed estratti di camomilla eufrasia, amamelide, malva, e, per la pulizia, salviette specifiche o fialette di soluzione fisiologica.

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Pressione bassa, quali sono le cause e i rimedi naturali?

Nella versione per i pazienti del manuale Msd, la pressione arteriosa bassa viene definita come «una pressione arteriosa ridotta a tal punto da causare sintomi quali capogiri e svenimento». Si parla di ipotensione quando i valori della pressione massima o sistolica sono inferiori a 90 mmHg e quelli della minima o diastolica al di sotto di 60. Gli improvvisi cali di pressione, frequenti soprattutto in estate con la vasodilatazione indotta dalle temperature elevate, determinando una riduzione dell’afflusso di sangue a livello cerebrale possono provocare svenimenti.

Se, in generale, la pressione bassa è una condizione auspicabile rispetto all’ipertensione e che non comporta seri problemi per la salute quando non è conseguente a patologie o a terapie farmacologiche, può risultare comunque invalidante per l’individuo che ne soffre, che tende a sentirsi spossato e ad avvertire frequentemente capogiri e che può essere soggetto a svenimenti.

La brusca diminuzione del flusso sanguigno al cervello è causa della lipotimia o presincope, caratterizzata da intensa debolezza, sudorazione, pallore, polso debole, respiro lento, visione offuscata, sensazione di ronzio nelle orecchie e di battito accelerato, nausea, difficoltà nel mantenimento della posizione eretta. Questi sintomi possono essere seguiti dalla sincope vera e propria o svenimento, con perdita della coscienza e caduta a terra. Nella maggior parte dei casi gli episodi sincopali non sono preoccupanti, ma possono essere pericolosi se di origine cardiaca o cerebrovascolare, di natura epilettica oppure provocati da crisi ipoglicemiche.

Se il soggetto ipoteso va incontro a perdita dei sensi, le persone che gli sono accanto devono assicurarsi che rimanga in posizione distesa con le gambe sollevate rispetto al resto del corpo, nella cosiddetta posizione antishock. È importante allentare eventuali cravatte o colletti, slacciare cinture troppo strette e rimuovere sciarpe. Poiché la perdita di coscienza determina la temporanea perdita del riflesso della tosse e della capacità di deglutire, non bisogna tentare di far bere il paziente.

Per prevenire l’ipotensione il farmacista può consigliare l’impiego di integratori a base di sali minerali e di estratti vegetali quali ginseng e guaranà, di mantenersi adeguatamente idratati, anche consumando tè, frullati o minestre, di arricchire l’alimentazione con frutta e verdura di stagione e di consumare della liquirizia e alimenti salati. Bere alcolici è poco prudente in quanto inducono vasodilatazione, peggiorando il quadro. È bene inoltre evitare di passare improvvisamente dalla posizione sdraiata o seduta a quella in piedi e di trascorrere molto tempo nella stazione eretta. Nel periodo più caldo dell’anno il medico potrà ridurre il dosaggio di alcuni medicinali prescritti per il trattamento dell’ipertensione o suggerire farmaci come la midodrina che, producendo una costrizione delle vene e delle arteriole periferiche, svolgono un’azione anti-ipotensiva. Oltre a soggiornare in luoghi rinfrescati, può essere utile indossare calze a compressione graduata così da facilitare il ritorno venoso. 

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Igiene, la salute nelle nostre mani (se pulite)

La pandemia da Covid-19 ha ampiamente ribadito il ruolo fondamentale dell’igiene delle mani nel prevenire contagi, infezioni e patologie. Lavarsi bene le mani è una raccomandazione che si tramanda di generazione in generazione, fin dalla più tenera età, perché di fatto sono il principale strumento con cui si entra in contatto con il mondo esterno e con gli altri. Il loro enorme potenziale come veicolo di trasmissione di ogni tipo di sostanza, benefica o nociva, a sé stessi e agli altri è quindi evidente. Ci si può però chiedere quando e come detergere le mani in modo sano ed efficace per rimuovere sporco e batteri. A rispondere a queste domande è il Ministero della Salute, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha indetto la Giornata mondiale dell’igiene delle mani, celebrata ogni anno il 5 maggio. L’iniziativa mira a sottolineare l’importanza di questo gesto per la salute pubblica in almeno tre ambiti: ridurre la circolazione di virus e batteri, prevenire le infezioni correlate all’assistenza sanitaria, contrastare il fenomeno della resistenza agli antibiotici.

Con acqua o igienizzante purchè in modo scrupoloso.

«Una corretta igiene delle mani – spiega il Ministero della Salute – impedisce la trasmissione dei microrganismi responsabili di molte malattie infettive, dalle più frequenti come l’influenza e il raffreddore, a quelle più severe come le infezioni correlate all’assistenza. In particolare, durante l’emergenza epidemica da Sars-Cov-2, l’igiene delle mani è di cruciale importanza al fine di evitare il contagio per contatto e l’eventuale diffusione e trasmissione del nuovo coronavirus». L’Organizzazione mondiale della sanità ricorda che la detersione e igienizzazione delle mani può essere eseguita efficacemente con l’uso di acqua e comune sapone, a patto che si frizionino bene le mani per almeno 40-60 secondi. Se l’acqua non fosse disponibile, si può ricorrere agli hand sanitizer, igienizzanti per le mani a base alcolica. Anche in questo caso, ciò che conta è pulire le mani in modo scrupoloso, frizionandone il palmo e il dorso, le dita e le unghie, per almeno 20-30 secondi. «I prodotti reperibili in commercio – precisa il Ministero – per la disinfezione delle mani in assenza di acqua e sapone (presidi medico-chirurgici e biocidi autorizzati con azione microbicida) vanno usati quando le mani sono asciutte, altrimenti è possibile che non siano efficaci.

Quando lavarsi le mani.

È sempre raccomandato detergere le mani con una certa frequenza nell’arco della giornata, ma ci sono momenti e situazioni in cui è indispensabile per preservare la salute personale e degli altri. È fondamentale igienizzare le mani prima di assumere farmaci o somministrare farmaci ad altri, prima di toccarsi occhi, naso e bocca (per es. per fumare, usare lenti a contatto, lavare i denti, etc.) e prima di mangiare. È invece opportuno lavare le mani sia prima sia dopo: aver usato i servizi igienici, aver toccato una persona malata, aver medicato o toccato una ferita, aver cambiato il pannolino di un bambino, aver toccato un animale, aver maneggiato alimenti, soprattutto se crudi. È infine caldamente consigliato igienizzare le mani dopo aver frequentato luoghi pubblici e, in generale, appena si rientra in casa, dopo aver maneggiato la spazzatura o aver utilizzato soldi. «È buona abitudine, inoltre – conclude il Ministero – tossire/starnutire nella piega del gomito, per non contaminare le mani, che possono essere veicolo dei propri microrganismi toccando, ad esempio, il cellulare, la maniglia di una porta, etc».

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Congestione digestiva, un fenomeno da non sottovalutare  

La congestione digestiva è un disturbo a carico dell’apparato gastroenterico che, il più delle volte, è provocato da un improvviso sbalzo di temperatura durante il processo digestivo. Al momento del pasto e nel periodo immediatamente successivo il sangue si concentra nella zona dello stomaco e, più in generale, dell’addome. Il processo ha una durata variabile da trenta minuti ad alcune ore, dipendentemente dalla quantità e dalla tipologia di cibo introdotto.

Il fenomeno della congestione è frequente nel periodo estivo, per esempio se si consuma una bibita ghiacciata quando si è accaldati, ci si espone a una corrente di aria fredda mentre si è sudati oppure ci si immerge nell’acqua del mare o ci si tuffa in piscina subito dopo aver mangiato. Può tuttavia verificarsi anche a seguito di uno sforzo fisico eccessivo durante la digestione, soprattutto dopo un pasto abbondante, o al passaggio da un ambiente riscaldato verso uno più freddo nella stagione invernale, come accade quando si esce di casa senza essersi adeguatamente coperti.

I comportamenti descritti fanno sì che il cervello risponda ad una situazione percepita come un’emergenza richiamando il sangue verso di sé per mantenere costante la temperatura corporea. Si verifica una vasocostrizione, vale a dire un restringimento dei vasi sanguigni, nell’apparato digerente, proprio quando questo necessiterebbe di un maggiore afflusso di sangue. Questo squilibrio circolatorio interrompe il processo della digestione, tanto che si parla anche di blocco digestivo, causando un vero e proprio stato di shock.

Il soggetto colpito da congestione digestiva diventa improvvisamente pallido, trema, suda freddo e avverte una sensazione di malessere generale, con grande spossatezza associata talvolta a cefalea. È importante interpretare correttamente questa sintomatologia, dal momento che è piuttosto aspecifica e può essere confusa con altre condizioni tipiche della stagione calda, come il colpo di calore e l’insolazione. Nell’arco di pochi minuti dalla comparsa di questi primi sintomi, possono manifestarsi dolore crampiforme intenso a livello addominale, nausea e vomito. Altri campanelli d’allarme sono annebbiamento della vista, capogiri e stato confusionale. La perdita della coscienza da arresto cardiocircolatorio, che si verifica in casi estremi, è particolarmente pericolosa qualora il soggetto si trovi in acqua.

Gli individui più a rischio sono quelli in età pediatrica, che non sono in grado di riconoscere i sintomi di una congestione, e gli anziani che, soprattutto se presentano altre patologie concomitanti, possono andare incontro a perdita dei sensi dovuta all’abbassamento della pressione.

Ai primi segnali di malessere, il soggetto interessato deve sdraiarsi tenendo le gambe in posizione leggermente rialzata rispetto al resto del corpo. Può essere utile riscaldare la pancia, coprendola con un panno e massaggiandola con un movimento delle mani in senso orario, e sorseggiare lentamente una bevanda tiepida. Di norma, comunque, si tratta di un disturbo temporaneo e la ripresa si verifica entro circa tre ore dall’insorgenza dei sintomi, sebbene l’astenia ed eventuali mialgie possano perdurare più a lungo.

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Reazioni avverse ai farmaci e vaccini, come segnalarle?

La normativa in materia di farmacovigilanza definisce una reazione avversa come un «effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale». Come è noto, un farmaco può curare una patologia ma al tempo stesso, a seconda di particolari condizioni, può dar luce a effetti non voluti. Le reazioni avverse vengono classificate sulla base di vari criteri e a seconda del tipo di caratteristica che le contraddistingue. In estrema sintesi, esse si dividono in dose-dipendente, dose-indipendente, dose e tempo dipendente, tempo dipendente, sospensione e fallimento della terapia. Possono essere esempi di reazione avversa la sedazione da antistaminici H1, l’ipokalemia da diuretici, ototossicità da aminoglicosidi, ma anche lo shock anafilattico da penicilline, idiosincrasie, ipertermia maligna da anestetici. Esse possono manifestarsi in un determinato momento con una singola somministrazione o nel caso di somministrazioni ripetute del farmaco, immediatamente ma anche a distanza di tempo. In questo ultimo caso si suddividono in reazioni tardive e reazioni ritardate.

Come inviare una razione avversa ai farmaci.

In Italia l’organismo che si occupa di raccogliere, catalogare e analizzare le segnalazioni di reazioni avverse è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che rende disponibili una serie di strumenti attraverso cui operatori sanitari, industrie ma anche cittadini possono segnalare eventuali reazioni avverse di cui sono stati oggetto in prima persona o per conto dei loro familiari. È il caso della piattaforma Vigifarmaco, raggiungibile al link https://www.vigifarmaco.it/, che consente – mediante una procedura da completare in vari passaggi – di accogliere eventuali segnalazioni. Collegandosi al sito www.vigifarmaco.it, il cittadino può cliccare il tasto “Invia una segnalazione di reazione avversa”. Alla pagina seguente è necessario selezionare “Sono un cittadino” e seguire le istruzioni passo passo suggerite dalla stessa pagina web. È utile ricordare, infine, che anche il farmacista può accogliere le segnalazioni di reazioni avverse direttamente al banco in farmacia. Sarà poi lo stesso professionista a effettuare la procedura per conto del cittadino e sottoporre le segnalazioni al vaglio dell’Aifa.