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Animali domestici, cure mirate per prevenire i disturbi

L’attenzione dedicata agli animali domestici è oggi molto aumentata rispetto a un tempo. Questo anche grazie a una proposta sempre più ampia di prodotti e soluzioni che aiutano a mantenere gli animali in buona salute, prevenendo le malattie e i disturbi più comuni. Una buona cura di questi grandi amici dell’uomo semplifica anche diverse operazioni di igiene e gestione. Per fare le scelte giuste è opportuno chiedere consigli specifici per la razza e la tipologia dell’animale. Ogni specie e razza ha infatti spesso necessità diverse ed è bene seguire indicazioni mirate per non sbagliare. In questo caso, oltre naturalmente ai veterinari, anche gli allevatori sono i professionisti più esperti da consultare. Accanto a loro, il farmacista, che dispensa farmaci e parafarmaci anche a uso veterinario, potrà a sua volta dare consigli e informazioni utili.

Pelo, orecchie e occhi, le norme igieniche.

Dopo aver scelto i prodotti alimentari più indicati per la crescita e la digestione dell’animale, non ci resta che occuparci di qualche operazione igienica. Pochi semplici gesti sono in grado di donare benessere al Pet, ma anche di prevenire problemi di salute futuri. Il pelo dell’animale è la parte che entra maggiormente in contatto con lo sporco e richiede pertanto qualche attenzione. Anche in questo caso, bisogna seguire le indicazioni specifiche per la razza in questione. In genere, si raccomanda di non eccedere con i lavaggi per non rimuovere lo strato lipidico che protegge l’animale da parassiti e altri agenti esterni. Quando si decide di fare un vero e proprio lavaggio, è bene scegliere un detergente specifico. Tra un bagno e l’altro, è possibile rimuovere le impurità con salviettine umidificate, anch’esse disponibili in versione Pet, e spazzolare il pelo con un guanto o, se si tratta di pelo lungo e folto, con spazzole appropriate. Una delle parti più delicate degli animali sono le orecchie. Queste, specie se ricadono su sé stesse come in varie razze di cani, devono essere lavate periodicamente con un apposito prodotto, eliminando con un po’ di cotone idrofilo lo sporco che rimane intrappolato. Non di rado poi gli animali domestici si svegliano con gli occhi sporchi. Per pulirli esistono salviettine e soluzioni oculari, ma spesso è sufficiente usare una garza imbevuta di acqua e rimuovere lo sporco manualmente.

Farmaci e parafarmaci.

Anche gli animali da compagnia possono aver bisogno di farmaci o parafarmaci per curarsi da malattie o per prevenirle. Oltre ai vaccini usati per la profilassi di varie patologie, tra quelli più comunemente usati ci sono gli antiparassitari, che si applicano periodicamente sul manto per scongiurare infezioni di parassiti come zecche, pulci e pidocchi. In caso, invece, di parassiti intestinali, si ricorre ad antiparassitari specifici a uso orale, abbinati in genere a fermenti lattici. Questi prodotti si possono reperire in farmacia così come tutti i farmaci terapeutici per guarire da malattie. A tale proposito ricordiamo che ad aprile 2021 è entrato in vigore il Decreto che autorizza il medico veterinario a prescrivere medicinali umani anche per il trattamento degli animali se il farmaco in questione è più economico e contiene il medesimo principio attivo di quello veterinario. Il testo del decreto specifica infatti che: «Il medicinale per uso umano potrà essere prescritto sulla base della miglior convenienza economica, soltanto a condizione che tale medicinale contenga il medesimo principio attivo del medicinale veterinario indicato per il trattamento dell’animale in cura». Questa normativa permette ai proprietari di animali domestici di affrontare eventuali terapie a costi più contenuti.

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Le sigarette elettroniche fanno male?

Una sigaretta elettronica (in inglese e-cigarette, abbreviata e-cig) è un dispositivo che consente di inspirare vapore contenente dai 6 ai 20 mg di nicotina miscelata ad acqua, glicole propilenico, glicerolo e altre sostanze fra cui gli aromatizzanti. Il gesto di fumare una sigaretta elettronica – in gergo “svapare” – supplisce almeno in parte al rito di fumare una sigaretta tradizionale: da un lato si assume un certo quantitativo di nicotina, dall’altro non si rinuncia all’abitudine tattile di tenere tra le dita una pseudo-sigaretta, di sentire un certo odore nel farlo (spesso aromatizzato), di guastarne una sorta di sapore più o meno gradevole al palato.

La sigaretta elettronica fa male alla salute? Nell’aprile 2021 si è pronunciato in merito il Comitato scientifico della Commissione Europea, incaricato di valutare i rischi sanitari emergenti. Circa i danni alla salute che le sigarette elettroniche potrebbe provocare risulta moderato il rischio di complicazioni alle vie respiratorie locali ma in crescita, seppur moderate, le ripercussioni sul sistema cardiovascolare. Nondimeno appaiono limitate le probabilità di sviluppare malattie respiratorie cancerogene, ma forti segnali dimostrano che nel lungo periodo cresce il rischio di avvelenamento e di lesioni alle vie aeree.

Anche il fumo passivo da sigaretta elettronica produce effetti sulla nostra salute. Per esempio, le sigarette elettroniche stanno iniziando i giovani al tabagismo e il fumo aromatizzato, anche se percepito passivamente, invoglia e incentiva a fumare. Viceversa, scarse le prove dell’efficacia delle sigarette elettroniche nel supportare coloro che stanno tentando di smettere di fumare sigarette tradizionali.

L’Istat ha raccolto alcuni dati sull’utilizzo delle sigarette elettroniche dal 2014, registrandone il consumo dai 14 anni in su. Nel 2020 a fumare sigarette elettroniche è meno del 2,4% della popolazione (3% uomini; 1,9% donne). Fra il 2014 e il 2019 il tasso di popolazione che fuma sigarette elettroniche è passato dall’1,5% al 2,4%. Anche il centro di raccolta dati “Sorveglianza Passi” dell’Istituto Superiore di Sanità si è occupato della diffusione della sigaretta elettronica in Italia. Ha registrato che a fumarla sono soprattutto giovani tra i 18 e i 24 anni, per una fetta di popolazione pari a meno del 4%.

La Global Youth Tobacco Survey, un’indagine globale promossa dall’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità sull’uso del tabacco fra gli studenti dai 13 ai 15 anni, ha rilevato che sono aumentati più del doppio i giovani che fumano sigarette elettroniche: 0% nel 2010; 8,4% nel 2014; 17,5% nel 2018. Sono soprattutto i ragazzi a farne uso (21,9%) rispetto alle ragazze (12,8%). Quasi triplicati coloro che fumano soltanto sigarette elettroniche (e non anche quelle tradizionali): 2,9% nel 2014; 8,2% nel 2018. Il 76% degli adolescenti (13-15 anni) afferma di poter facilmente acquistare le sigarette elettroniche, sebbene la vendita sia vietata ai minorenni.

Infine, le sigarette elettroniche inquinano? Tutte le sigarette sono dannose per l’ambiente, anche quelle elettroniche, dato che contengono entrambe sostanze inquinanti come l’arsenico, la formaldeide e il piombo. Inoltre, gli involucri delle sigarette elettroniche sono fatti con materiali non biodegradabili, così come le cartucce e i contenitori del liquido di ricarica, non riciclabili.

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Sensibilità al glutine, come distinguerla da celiachia e allergia al grano?

La celiachia, patologia di origine autoimmune che viene gestita con la totale eliminazione dalla dieta degli alimenti contenenti glutine, può essere diagnosticata attraverso marker sierologici e tramite il riscontro di un appiattimento dei villi duodenali, le estroflessioni digitiformi che aumentano la superficie di assorbimento dell’intestino.

Inoltre la celiachia è spesso associata ad altre malattie autoimmuni, per esempio il diabete giovanile e la tiroidite di Hashimoto. L’allergia al grano è caratterizzata dalle tipiche reazioni delle allergie alimentari, con interessamento anche cutaneo e respiratorio.

Esiste una terza forma di risposta patologica dell’organismo all’introduzione di alimenti contenenti glutine, definita gluten sensitivity o sensibilità al glutine non celiaca. Consumando prodotti a base di frumento e altri cereali contenenti glutine, i soggetti sensibili a questa proteina manifestano malessere, con sintomi molto simili a quelli provocati dal morbo celiaco.

Nella sensibilità al glutine si verifica una vera e propria reazione avversa che però non determina danni visibili alla mucosa intestinale. Non sono riscontrabili la presenza di anticorpi rivolti verso componenti del glutine né meccanismi autoimmunitari. Si giunge dunque alla diagnosi solamente per esclusione, valutando se l’eliminazione e la successiva reintroduzione del glutine provochino cambiamenti nella sintomatologia riferita dal paziente.

Nella malattia celiaca intervengono processi mediati sia dall’immunità innata, presente sin dalla nascita, che dal sistema immunitario adattativo, altamente specifico, con l’attivazione di cellule del sistema immune chiamate linfociti T. Nell’allergia al grano viene attivata la popolazione dei linfociti di tipo B, da cui derivano plasmacellule che producono anticorpi o immunoglobuline di tipo E, normalmente deputate a rispondere a minacce esterne come infezioni virali o batteriche.

Nella gluten sensitivity si verifica un difetto del sistema immunitario innato, per cui la reazione al glutine si manifesta a distanza di poche ore dalla sua ingestione, diversamente dalla celiachia in cui i danni all’organismo si rendono evidenti dopo mesi o anni.

L’iter da compiere in caso di persistenza di disturbi gastroenterici, come nausea, vomito, diarrea a volte alternata a stitichezza, distensione e dolori addominali, flatulenza e meteorismo, passa prima di tutto attraverso il medico di base. Il medico di famiglia eventualmente reindirizzerà il paziente al gastroenterologo per procedere con indagini mirate.

Occorre tenere presente che i sintomi della gluten sensitivity, coì come quelli della celiachia, possono anche essere di natura aspecifica. Tra i sintomi extraintestinali, si ricordano rash cutanei, astenia, sonnolenza, cefalea, confusione mentale, artralgie, anemia, formicolii alle estremità di mani e piedi.

Se l’esito degli esami diagnostici per la celiachia fosse negativo, dopo aver scartato altre patologie come la sindrome del colon irritabile, le malattie infiammatorie intestinali, le varie forme di artrite e disturbi neurologici, lo specialista potrà prescrivere una dieta priva di glutine, che è l’unica terapia possibile ed efficace per arrivare alla remissione della sintomatologia. La dieta andrà seguita da un medico dietologo al fine di evitare pericolose carenze nutrizionali.

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Frutta secca, assolutamente raccomandata ma in piccole quantità

La frutta secca è un alimento ricco di proprietà benefiche e nutrienti. Gli esperti ne raccomandano il consumo in quantità moderate, e in ogni stagione dell’anno, per il suo contenuto di sali minerali, vitamine e fibre. L’unico accorgimento da adottare è quello di non eccedere con le porzioni perché si tratta di alimenti calorici. «Nonostante l’apporto calorico sia molto alto (circa 600 kcal per 100 g) – sostengono gli esperti di scienze alimentari dell’Istituto di ricerca Humanitas – è stato dimostrato che il consumo di frutta secca a guscio rientra nel corretto e sano regime dietetico, soprattutto dei vegetariani, dei vegani e degli sportivi. L’assenza di glutine rende questi alimenti ottimi anche per i celiaci». Quando si parla di frutta secca si fa riferimento a due tipologie di frutta, quella in guscio e quella essiccata. La prima è tendenzialmente oleosa, ricca di grassi ma povera di zuccheri. La frutta essiccata, invece, è quella non in guscio che può essere disidrata e che preserva gran parte delle proprietà dei frutti freschi, come un elevato contenuto di zuccheri, ma anche vitamine, sali minerali e fibre.

Frutta in guscio, grassi buoni e proteine.

Oltre alle varietà che troneggiano in genere sulle tavole natalizie, come mandorle, nocciole, arachidi, noci e pistacchi, rientrano nella frutta in guscio anche i pinoli, le castagne e le noci di cocco. Come spiegano gli esperti dell’Humanitas, «l’insieme di questi frutti è definito “frutta oleosa” o “lipidica” per il suo elevato contenuto di grassi (90% circa) che, però, si trovano sotto forma di acidi grassi insaturi e polinsaturi (soprattutto Omega-6 e Omega-3, quelli cosiddetti “buoni”). Essi contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue e, quindi, a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari». Un altro elemento prezioso contenuto nella frutta in guscio sono le proteine, pari a circa il 12% per ogni 100 g di alimento. Non mancano, poi, preziosi micronutrienti, come le vitamine del gruppo B e la vitamina E, che vantano proprietà antiossidanti, oltre a sali minerali quali magnesio, potassio, ferro, rame, fosforo e calcio. Anche la quantità di fibre è significativa.

La frutta essiccata.

Datteri, uva passa, fichi, albicocche e prugne sono tra gli esempi più comuni di frutta essiccata, ma se ne trovano altri. Le caratteristiche di questi alimenti sono simili a quelle del frutto fresco, ovvero molti zuccheri, una quasi totale assenza di grassi e una grande ricchezza di fibre, vitamine e sali minerali. Ogni frutto presenta una ricchezza particolare di micronutrienti. I datteri, per esempio, sono fonte di magnesio, potassio, fosforo e vitamine, l’uva passa di potassio, fosforo, magnesio, calcio, fluoro, fibre e vitamina E. I fichi secchi sono invece caratterizzati da discrete quantità di vitamine e sali minerali e presentano proprietà antinfiammatorie e lassative, come le prugne secche, che contengono molte fibre, sali minerali, alte concentrazioni di vitamina A e betacarotene.

Quando consumarla e quando evitarla.

Tutti i tipi di frutta secca sono particolarmente consigliati a colazione e lontano dai pasti, così da essere digeriti e smaltiti più facilmente. Secondo gli esperti, la frutta secca è invece sconsigliata «a chi soffre di patologie dell’apparato digerente, quali colite, rettocolite ulcerosa, gastrite, ulcera e morbo di Crohn, a causa della grande quantità di fibre in essa contenuta. I diabetici, coloro che presentano problemi renali e le persone che seguono una dieta ipocalorica, devono evitare soprattutto la frutta secca polposa per il suo alto apporto di zuccheri».

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Dormire di più aiuta a dimagrire?

In principio, questa doveva essere una ricerca sulla regolazione del sonno e non sulla perdita di peso. Eppure i risultati ottenuti hanno acceso nuovi punti di vista, e nuove opportunità di indagine, sul rapporto tra sonno e alimentazione. L’esperimento ha coinvolto 80 pazienti adulti, una parte dei quali, giovani in sovrappeso, dormiva meno di 6 ore e mezza a notte. Scopo della ricerca era quello di istruire i propri pazienti nell’adottare alcuni accorgimenti utili a dormire di più. Ciò che hanno scoperto i ricercatori statunitensi è che, se dormivano fino a 8 ore e mezza al giorno, i soggetti riducevano l’apporto calorico quotidiano di 270 Kcal. Vale a dire che, nel lungo periodo, avrebbero perso circa 12 Kg in meno in tre anni.

Scarso riposo notturno stimola appetito.

Studi clinici precedenti avevano già evidenziato come uno scarso riposo notturno stimoli l’appetito e, di conseguenza, un’eccessiva assunzione di cibo. Pertanto, gli studiosi del sonno dell’UChicago Medicine si sono posti un altro tipo di domanda: “Se questo è quello che accade con la perdita di sonno, possiamo prolungare il sonno e invertire alcuni di questi esiti negativi?”. Ciò che rende ancora più interessanti simili studi è il loro essere calati nella realtà. A nessuno dei partecipanti è stato chiesto di trasferirsi in una clinica accademica per poter essere monitorato né di seguire una dieta o di fare più esercizio fisico. Bastava che osservasse le istruzioni date per agevolare il proprio sonno notturno. In altre parole, gli studiosi hanno educato ogni individuo a regolarizzare il rapporto sonno-veglia, offrendogli persino consigli per migliorare l’ambiente del riposo (luci e colori della propria stanza, per esempio).

Uso dei dispositivi elettronici prima di coricarsi.

Fra gli altri, uno degli interventi chiave nella regolazione del sonno è stato l’aver ridotto l’uso di dispositivi elettronici prima di coricarsi. Dopo una sola sessione di consulenza sul sonno i partecipanti avevano già iniziato a dormire un’ora in più al giorno. E nonostante non avessero prescrizioni specifiche su cosa e quanto mangiare, avevano ridotto “naturalmente” la quantità di calorie assunte, qualcuno fino a 500 calorie al giorno. Prossimo obiettivo dei ricercatori dell’UChicago Medicine sarà quello di esaminare i meccanismi causali alla base del legame sonno/apporto calorico, auspicando che questi studi aprano la via a nuove ricerche sulla prevenzione e la cura dell’obesità.