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Ulipristal acetato 5mg (Esmya), le autorità: «Può causare danni al fegato»

«Ulipristal acetato da 5 mg (Esmya e medicinali generici), utilizzato per il trattamento dei sintomi dei fibromi uterini, può causare danni al fegato, compresa la necessità di trapianto di fegato». È quanto fa sapere l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che ha diramanto i risultati di una revisione sulla sicurezza di tale medicinale portata a termine dal Comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac).

Le autorità europee hanno «valutato tutte le prove disponibili, inclusi i casi segnalati di grave danno epatico». Ciò consultando anche «pazienti e degli operatori sanitari, compresi esperti in ginecologia».

Ne consegue che, alla luce delle evidenze, e «poiché non è stato possibile identificare quali pazienti fossero maggiormente a rischio, o le misure che potessero ridurre il rischio, il Prac ha concluso che i rischi di questi medicinali superano i loro benefici e che essi non devono essere commercializzati nell’Ue».

Le agenzie sottolineano inoltre che «Ulipristal acetato è anche autorizzato come medicinale monodose per la contraccezione d’emergenza».

Questa raccomandazione, tuttavia, «non influisce sui medicinali contenenti ulipristal acetato a dose singola (ellaOne e altri nomi commerciali) utilizzati come contraccettivi di emergenza e non vi è alcuna preoccupazione per il danno epatico con questi medicinali».

Maggiori informazioni su cosa fare in caso di somministrazione di questo farmaco possono essere reperite contattando il proprio medico curante o lo specialista: entrambi sapranno fornire i chiarimenti necessari e suggerire la migliore soluzione.

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Gel igienizzanti e lavaggi frequenti, come proteggere le mani dalle irritazioni?

Il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità ci rammentano costantemente che uno degli strumenti più efficaci per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2 sia la corretta e frequente igiene delle mani, mezzo di interazione con l’ambiente esterno tramite cui veniamo a contatto con persone, animali, telefoni, maniglie, chiavi, monete e banconote, per citare soltanto alcune delle possibili fonti di contaminazione. Tenendo conto che non solo il coronavirus ma anche altri microrganismi patogeni possono essere trasmessi attraverso le mani, toccando bocca, naso e occhi, è importante più che mai lavarle accuratamente oppure, in assenza di acqua e sapone, igienizzarle con appositi prodotti in forma di gel, soluzioni spray, salviette impregnate di disinfettanti a base di alcol o cloro. Sia i saponi usati ripetutamente che gli agenti virucidi sono però particolarmente aggressivi nei confronti della cute delle mani, che nei prossimi mesi sarà esposta anche all’attacco di freddo e vento, senza dimenticare l’inquinamento sempre presente nelle città.

Il dorso delle mani appare quindi secco, ruvido al tatto, con la pelle desquamata e dal colorito spento. Il palmo e la cute che circonda le unghie sono invece più facilmente colpiti dalle fastidiose ragadi. Va ricordato che la pelle delle mani è priva di ghiandole sebacee ed è protetta da un sottile film idrolipidico. Questa pellicola viene meno con l’impiego di sostanze sgrassanti, che facilitano irritazioni e screpolature. Per la detersione sono da preferire i saponi a pH neutro, meglio se arricchiti con oli nutrienti, come quelli di mandorle dolci, argan, cocco, jojoba, ricino. Occorre risciacquare le mani con cura con acqua non troppo calda per eliminare ogni residuo di sapone. Si consiglia l’utilizzo di asciugamani in fibre naturali, evitando gli strofinamenti e facendo attenzione a non lasciare tracce di umidità tra le dita per prevenire macerazioni. Quando si maneggiano detersivi per la pulizia della casa si suggerisce di usare sempre dei guanti protettivi.

Non bisogna dimenticare di portare con sé i guanti quando si esce nella stagione invernale e, durante tutto l’anno, di applicare un filtro solare adeguato al proprio fototipo per scongiurare la formazione di macchie cutanee.

Per trattare la secchezza esistono diverse formulazioni in crema dall’azione idratante e, per chi svolge lavori manuali, le cosiddette paste barriera idrorepellenti. Per il giorno sono più adatte emulsioni leggere dalla texture non untuosa, arricchite con glicerina, urea, acido ialuronico, pantenolo, vitamine E ed A. Se la pelle risultasse particolarmente infiammata, possono essere d’aiuto pomate a base di calendula, dall’azione lenitiva. Per attenuare il dolore e il bruciore provocati dalle ragadi risultano utili prodotti specifici in forma di spray, gel, cerotti, che proteggono i piccoli taglietti dal contatto con sostanze irritanti e promuovono la rimarginazione della cute. Per la notte sono disponibili cosmetici più corposi e maschere da applicare prima di coricarsi e da risciacquare al risveglio dopo aver indossato guanti in filo di cotone o al termine del tempo di posa indicato sulla confezione.

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È ricominciata la scuola… attenti ai pidocchi!

Il pidocchio dei capelli è un parassita marrone-grigio che infesta il cuoio capelluto succhiando sangue. Le femmine adulte depongono uova chiamate lendini che, considerata la loro lunghezza di circa 1 mm, sono visibili ad occhio nudo, disposte in file sul fusto del capello. A differenza della forfora, restano fissate ai capelli quando si scuotono o vi si soffia sopra. Le lendini, di colore bianco-grigiastro, vengono deposte all’attaccatura dei capelli, soprattutto nella zona della nuca e dietro le orecchie. Dopo una decina di giorni si schiudono e fuoriesce una ninfa, che diventa un pidocchio adulto nell’arco di una settimana.

Le estremità dell’insetto hanno la forma di un uncino, caratteristica che gli consente di ancorarsi saldamente ai capelli. Al di fuori della cute non è in grado di sopravvivere per più di 2-3 giorni.

I pidocchi sono diffusi prevalentemente tra i bambini di età compresa tra i 3 e i 12 anni, anche nel nostro paese: contrariamente al pensare comune, la loro diffusione non ha alcun legame con la mancanza di igiene, basse condizioni socio-economiche, colore o lunghezza dei capelli. Il contagio è più probabile nel contesto scolastico o nei luoghi in cui il bambino svolge attività sportive e ricreative di gruppo. I pidocchi, che non volano né saltano, si trasmettono prevalentemente attraverso il contatto testa-testa, mentre la trasmissione indiretta per mezzo di cappelli, sciarpe, pettini, cuscini è più rara. I pidocchi che si trovano sugli oggetti sono solitamente morti, per cui la disinfestazione degli ambienti non è indicata. Non è necessario rasare il bambino; può invece essere utile lavare ad alta temperatura pettini e spazzole.

Una delle prime avvisaglie dell’infestazione è l’intenso prurito, dovuto sia alla presenza del parassita che a una reazione alla sua saliva. Il bambino è quindi portato a grattare il capo con insistenza: i genitori e le altre persone che si prendono cura di lui dovrebbero eseguire un’accurata ispezione del capo, aiutandosi con una lente di ingrandimento. Dal momento che i pidocchi si muovono molto velocemente può non essere facile individuarli.

Una volta giunti alla diagnosi di pediculosi, per arginare la diffusione è consigliabile che tutti coloro che sono venuti a stretto contatto con il soggetto colpito facciano controllare il proprio capo dai conviventi.

Per la prevenzione possono essere usati spray protettivi a base di essenze sgradite al parassita, come l’olio di neem e gli oli essenziali di lavanda, tea tree, eucalipto, rosmarino. In caso di infestazione, associazioni di questi oli possono provocare la morte del pidocchio per asfissia: si possono addizionare allo shampoo abituale o applicare su fasce per capelli, a diretto contatto con fronte, nuca e retro delle orecchie. L’aceto può essere impiegato per facilitare il distacco di pidocchi e lendini dai capelli, imbevendovi un pettine a denti stretti.

Non ha alcun razionale l’uso di sostanze dall’azione pediculocida per prevenire il contagio. Se l’infestazione è accertata, occorre invece utilizzare prodotti specifici in forma di shampoo, gel, polvere, mousse, lozione, da lasciare in posa per almeno un quarto d’ora. Il trattamento va ripetuto dopo 10 giorni per debellare le ninfe che nel frattempo possono essere fuoriuscite dalle lendini.

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21 settembre, giornata per fare il punto sull’Alzheimer a livello globale

Il 21 settembre si celebra la giornata mondiale dell’Alzheimer, patologia cronico-degenerativa del sistema nervoso centrale caratterizzata da demenza, una perdita progressiva delle funzioni cognitive che può arrivare a rendere impossibile lo svolgimento delle normali attività quotidiane, per la quale purtroppo non esiste ancora una terapia efficace. Sia per prevenire che per rallentare la progressione della malattia, fortemente invalidante e accompagnata da importanti ripercussioni emotive, sociali ed economiche anche su coloro che accudiscono il paziente, fondamentale è la stimolazione delle risorse cognitive. Ciò è possibile per esempio grazie al mantenimento delle relazioni sociali e allo svolgimento di esercizio fisico e di attività intellettuali come la lettura. La giornata, indetta per la prima volta nel 1994 da Organizzazione mondiale della sanità e Alzheimer’s disease international, è stata istituita per riunire medici, ricercatori, istituzioni sanitarie e associazioni di volontari, familiari e malati, al fine di sensibilizzare la collettività sulle problematiche legate alla malattia.

I pazienti e i loro cari possono rivolgersi ai centri Uva (Unità valutativa Alzheimer), dove troveranno equipe di neurologi, geriatri, psichiatri, psicologi specializzati nella gestione della malattia.

Numerose sono le associazioni che nel nostro paese si occupano di fare formazione, supportare i familiari dei malati fornendo informazioni sui servizi territoriali, l’assistenza a domicilio, consulenze legali e amministrative, dare conforto tramite la programmazione di incontri con operatori sanitari che quotidianamente lavorano con pazienti affetti dal morbo di Alzheimer e con altre persone con cui condividere la propria esperienza.

Alla pagina web della Federazione Alzheimer Italia www.alzheimer.it [1] si possono reperire numerose informazioni utili, inclusa la Carta dei diritti della persona con demenza, trovare i contatti per ricevere assistenza e leggere le testimonianze di familiari e amici dei malati.

Oltre alla Federazione, formata da 46 associazioni di persone con demenza, si ricordano l’Associazione italiana malattia di Alzheimer (Aima), Sos Alzheimer, l’Alzheimer association Italia, l’Associazione italiana ricerca Alzheimer (Airalzh). Tra i centri di eccellenza presenti sul nostro territorio non si può dimenticare l’Ebri, European brain research institute, un istituto di ricerca scientifica di respiro internazionale voluto nel 2002 dal premio Nobel Rita Levi Montalcini.

L’istituto ha sede a Roma e, come riportato nel sito www.ebri.it [2], è “interamente dedicato allo studio delle neuroscienze” e si pone “l’obiettivo di individuare nuove strategie terapeutiche per malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer”.

Le letture sul tema non si contano, ma anche il mondo del cinema ha prodotto pellicole incentrate sulla malattia di Alzheimer. Tra i film usciti negli ultimi anni, si elencano nell’ordine dal più recente al più “datato” “Ca’ nostra”, “Ella & John”, “Still Alice”, “La famiglia Savage”, “Lontano da lei”, “Le pagine della nostra vita”, “Il figlio della sposa” e “Iris – Un amore vero”. Vale la pena di citare il lungometraggio d’animazione spagnolo “Arrugas – Rughe”, tratto dall’omonima graphic novel.

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Piccoli disturbi del cavo orale: cause principali e possibili soluzioni

I piccoli problemi che possono interessare il cavo orale sono molteplici e tutt’altro che rari. Le gengiviti sono infiammazioni delle gengive, che risultano gonfie ed arrossate e facilmente vanno incontro a sanguinamenti. La principale causa è un’igiene orale insufficiente, che sostiene la proliferazione batterica. Le gengiviti sono frequenti nei fumatori e nei consumatori abituali di bevande alcoliche. Tra i fattori favorenti si ricordano anche lo stress psicofisico e la pulizia aggressiva dei denti, magari con spazzolini dalle setole troppo dure. Da evitare, nel corso dell’infiammazione, gli alimenti grassi e molto zuccherati e le fritture.

Può risultare utile impiegare collutori, gel o spray a base di disinfettanti ad ampio spettro, come la clorexidina, oppure effettuare sciacqui con collutori contenenti sostanze antinfiammatorie, quali flurbiprofene e ketoprofene. Per attenuare il dolore, soprattutto se le gengive appaiono retratte, è d’aiuto praticare un massaggio di qualche minuto con i polpastrelli; il beneficio può essere aumentato dall’uso di olio essenziale di chiodi di garofano.

Uno dei sintomi che spesso accompagnano la gengivite è l’alitosi.

L’odore sgradevole emesso con l’espirazione può essere inoltre dovuto a disturbi gastroenterici, infezioni dell’apparato respiratorio, assunzione di certi farmaci e presenza di patologie come il diabete. Per prevenire l’alito pesante occorre abbandonare fumo di sigaretta e consumo di alcol, astenersi dagli alimenti contenenti composti solforati, per esempio aglio e cipolla, limitare i cibi difficili da digerire e bere abbondantemente. Anche nel caso dell’alito cattivo, una corretta igiene orale, che preveda lo spazzolamento non solo della superficie dei denti ma anche della lingua, riveste un ruolo di primaria importanza. Per contrastare questo fastidio sono disponibili collutori, spray e gomme da masticare formulati con oli essenziali dalla profumazione gradevole.

Le stomatiti aftose o afte sono piccole ulcerazioni non contagiose della mucosa orale. Si presentano come lesioni dalla forma tondeggiante di colore bianco, circondate da una zona arrossata indice di infiammazione.

Al contatto con alimenti e bevande possono provocare dolore anche intenso, che talvolta si avverte perfino deglutendo o parlando. Tendono ad essere ricorrenti e, prima di manifestarsi, sono precedute da una sensazione di fastidio o bruciore che il paziente che ne soffre sa riconoscere. Oltre ad una predisposizione genetica, facilitano la comparsa delle afte i periodi prolungati di affaticamento fisico e/o mentale, la presenza di lesioni di altra natura, per esempio quelle traumatiche provocate dagli apparecchi ortodontici o dalle protesi, intolleranze alimentari, squilibri ormonali, condizioni di immunodepressione, scarsa igiene orale. Per prevenire queste lesioni occorre dunque prestare particolare attenzione alla pulizia, utilizzando spazzolino, dentifricio e filo interdentale dopo ogni pasto.

Anche l’alimentazione va curata, bandendo i cibi nei confronti dei quali si è sviluppata una forma di intolleranza e privilegiando il consumo di frutta e verdura fresche e di stagione. Sono da preferire i vegetali più ricchi di vitamina C, tra cui figurano kiwi, fragole, agrumi, peperoni, che stimolano il sistema immunitario. Se le afte sono già presenti, si suggeriscono collutori, gel, spray o cerottini a base di aloe o acido ialuronico che, grazie alla formazione di una pellicola protettiva, riducono il dolore, promuovono la rimarginazione della mucosa lesa e scongiurano il rischio di infezioni.