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Autostima e movimento per una vecchiaia più felice

Un articolo pubblicato sulla rivista Nature fa il punto sulle più recenti ricerche scientifiche in materia di invecchiamento. Fra queste, uno studio prodotto dalla John Hopkins University di Baltimora ha scoperto che gli anziani più inclini all’indebolimento fisico sono anche quelli con minore fiducia in se stessi. Dal 2011 al 2018 i ricercatori della John Hopkins hanno verificato il livello di autostima di un gruppo di circa 4.800 persone over 65. Per farlo, hanno chiesto loro quanto condividessero l’affermazione “Quando voglio davvero fare qualcosa, di solito trovo un modo per farlo”. Nel corso dei sette anni di monitoraggio, gli studiosi hanno misurato il grado di fragilità soggettiva in base a determinati criteri: la frequenza della condizione di stanchezza, la perdita involontaria di peso, un rallentamento eccessivo dell’andatura, e così via.

Misure semplici ma efficaci.

Se nella fase iniziale dell’esperimento gli anziani credevano poco in se stessi, il rischio di diventare fragili in seguito era superiore del 41% rispetto ai coetanei più sicuri. Che fare? I ricercatori suggeriscono che si possono adottare misure molto semplici ma estremamente efficaci per “imparare” a coltivare la propria autostima: ad esempio fare esercizio fisico quotidiano e adottare un’alimentazione bilanciata migliorano la condizione di fragilità e i suoi effetti negativi sulla salute. A conferma di ciò un altro studio citato da Nature ribadisce non soltanto i benefici prodotti dall’esercizio fisico, ma che questi siano particolarmente virtuosi nelle persone anziane. Ricercatori britannici e spagnoli hanno chiesto a un campione di anziani di valutare regolarmente la loro felicità per tre anni, scegliendo tra una gamma di opzioni da “molto infelice” a “molto felice”.

L’impatto dell’esercizio fisico settimanale.

Al contempo, ai partecipanti è stato chiesto di fare esercizio fisico, almeno 150 minuti a settimana, come raccomandato dall’OMS. Lo studio ha dimostrato che i soggetti più attivi erano anche i più felici nel lungo periodo. Tra coloro che hanno rispettato le due ore e mezza di esercizio settimanale, più della metà ha riferito di sentirsi felice o molto felice; al contrario, chi non ha fatto movimento o ne ha fatto meno rispetto a quanto previsto, solo il 15% ha descritto positivamente il proprio stato d’animo. Diverse le cause che spiegano l’associazione tra movimento e felicità nelle persone anziane. L’attività fisica provoca il rilascio di endorfine, che aumentano il senso di benessere, e di sostanze chimiche cerebrali che inducono calma (l’acido gamma-amminobutirrico) e aiutano ad alleviare l’ansia (gli endocannabinoidi). Infine, fare movimento contribuisce a rallentare il declino cognitivo senile.

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Farmacovigilanza, quali sono le modalità per segnalare le reazioni avverse?

Sono reperibili online sul sito istituzionale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), alla pagina denominata «Moduli di segnalazioni di reazioni avverse», le schede di segnalazione delle sospette reazioni avverse, disponibili nelle differenti versioni per operatore sanitario e per cittadino. In aggiunta a queste, è disponibile il documento «Faq per la gestione delle segnalazioni nell’ambito della Rete nazionale di farmacovigilanza (Rnf)», contenente le risposte alle domande più frequenti.

Le modalità cartacee, principalmente anche a carico dei farmacisti territoriali, vanno si sommano a quelle elettroniche, disponibili attraverso i portali Vigifarmaco per i medicinali e Vigierbe per i preparati fitoterapici. I cittadini che necessitino di segnalare una reazione avversa, dunque, possono segnalare autonomamente eventuali ipotesi di reazione. Le segnalazioni registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza saranno poi trasmesse al portale Eudravigilance tramite la funzione di “re-routing” sopra descritta.

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Igiene orale, la salute della bocca è nelle nostre mani

Molte delle patologie che riguardano i denti, le gengive e il cavo orale si possono facilmente prevenire osservando qualche regola relativa all’igiene e all’alimentazione. La cura della bocca è un aspetto molto importante, non solo per la salute dei denti, ma anche per il benessere generale e per l’immagine. «Le malattie del cavo orale che colpiscono la stragrande maggioranza della popolazione italiana – confermano gli esperti del ministero della Salute – sono strettamente legate agli stili di vita (igienici e alimentari) e sono provocate in larga misura da batteri contenuti nella placca dentaria. La mancanza di adeguati interventi di prevenzione porta ad alti valori di prevalenza di carie e di parodontopatie, con perdita precoce di elementi dentari e conseguenti disagi funzionali ed estetici». Le abitudini quotidiane per la cura dei denti e le regole alimentari da seguire per evitare la formazione di placca e carie vanno insegnate quanto prima anche ai bambini, così che vengano apprese precocemente e mantenute nel tempo.

La prevenzione quotidiana.

Le problematiche correlate alla bocca e ai denti possono essere in gran parte prevenute adottando abitudini corrette e regolari. «Le principali malattie dei denti e dei loro tessuti di sostegno sono determinate da condizioni ben individuate e controllabili – proseguono gli esperti del Ministero -. La carie dentaria e la malattia parodontale vedono nella placca batterica il principale fattore responsabile. La prevenzione delle malattie dei denti e delle gengive si fonda sull’adozione e la pratica quotidiana di precise norme di comportamento legate a pratiche di igiene orale e igiene alimentare. Inoltre, periodiche visite specialistiche permettono il precoce intercettamento di eventuali processi patologici».

Le regole per mantenere un sorriso sano.

Sembra scontato, ma il modo con cui spazzoliamo i denti non è sempre corretto ed efficace. Questa operazione va eseguita con spazzolino e dentifricio almeno tre volte al giorno, dopo i pasti principali, dedicandole non meno di 2-3 minuti a ogni lavaggio. Lo spazzolino ideale deve essere dotato di testina medio-piccola così da raggiungere tutte le zone della bocca. È preferibile sceglierlo con setole artificiali di durezza media e sostituirlo almeno ogni due mesi. La detersione dei denti si esegue spazzolando entrambe le arcate, dente per dente. In età adulta è inoltre raccomandabile usare quotidianamente anche il filo interdentale, unico strumento in grado di rimuovere in modo efficace la placca che si deposita tra un dente e l’altro. «Tali manovre hanno lo scopo di eliminare meccanicamente la placca batterica dalle superfici dei denti allontanando eventuali residui di cibo», sottolineano gli esperti. Anche l’alimentazione gioca un ruolo determinante per mantenere la bocca sana e pulita. Si consiglia di evitare il consumo eccessivo di zuccheri che permette ai batteri cariogeni di formare sostanze acide responsabili della demineralizzazione dello smalto e della dentina. Si raccomanda infine di prediligere sempre un’alimentazione equilibrata, ricca di frutta e verdura che contengono elementi essenziali per la salute dei denti, come vitamine C, A e D, calcio, fosforo, potassio, sodio, ferro e magnesio.

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Come assicurarsi un riposo notturno ristoratore?

Nello stato generale di salute di una persona viene spesso sottovalutato il valore del sonno. Eppure la sua qualità ha un’influenza notevole sul benessere psico-fisico, a tutte le età. «Uno dei benefici del sonno è il suo effetto ristoratore sulla capacità delle persone di funzionare normalmente durante il giorno» – spiegano gli esperti del manuale Msd, sottolineando quindi che dormire male compromette le normali funzioni dell’organismo nelle ore diurne. Nel corso della notte, il sonno cambia caratteristiche seguendo un ciclo nel quale si susseguono diversi stadi. «Normalmente si passa attraverso i tre stadi di sonno Nrem (stadi da N1 a N3), spesso seguiti da un breve intervallo di sonno Rem, ogni 90-120 minuti o diverse volte per notte. Durante la notte, le persone si svegliano brevemente (stadio W), ma non sono consapevoli di essere sveglie».

Il sonno non è tutto uguale.

Perché il sonno sia davvero ristoratore è necessario che tutte le sue fasi trascorrano senza interruzioni e nella giusta sequenza. La prima fase è quella del sonno Nrem, che rappresenta circa il 75-80% del sonno totale negli adulti ed è caratterizzata da tre stadi. Questi si differenziano per il livello di intensità del sonno, che passa dal primo stadio in cui è leggero e ci si sveglia con facilità, fino al terzo stadio, quando invece diventa profondo ed è molto più difficile svegliarsi. «Allo stadio tre – affermano gli esperti nel manuale Msd – la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e quella respiratoria sono al livello minimo. Questo stadio è percepito come sonno di alta qualità». L’altra fase del sonno è denominata Rem ed è quella in cui si riscontra un’attività elettrica nel cervello particolarmente intensa, secondo gli specialisti «quanto quella rilevata durante lo stato di veglia. Gli occhi si muovono rapidamente e alcuni muscoli sono paralizzati, quindi è impossibile qualsiasi movimento volontario. Tuttavia, alcuni muscoli possono contrarsi in modo involontario. La frequenza e la profondità della respirazione aumentano. I sogni più vividi avvengono durante il sonno Rem».

Come migliorare la qualità del risposo.

Non tutti riescono a trascorrere notti davvero riposanti. Ci sono infatti numerosi individui che soffrono di disturbi del sonno, subendo poi molti disagi durante il giorno, come stanchezza, sonnolenza, mancanza di memoria e concentrazione. Per risolvere o alleviare insonnia e altri problemi che impediscono un sonno ristoratore, la medicina del sonno ha effettuato diversi studi ricavando importanti informazioni che hanno permesso di individuare abitudini e stili di vita utili a soddisfare una corretta igiene del sonno. Tra le principali raccomandazioni, s’invitano le persone a ottimizzare la stanza da letto, adeguando luce, temperatura e umidità, ma anche togliendo tutto ciò che richiama l’attività anziché il riposo, come televisori, computer, dispositivi elettronici e scrivanie. È poi sconsigliato assumere caffeina, alcolici e sostanze eccitanti nelle ore serali, consumare pasti ipercalorici che rallentino la digestione e praticare attività sportive intense prima di coricarsi. L’attività fisica regolare e moderata e l’abitudine di trascorrere del tempo all’aria aperta sono invece raccomandate durante il giorno. Infine, gli esperti suggeriscono di non fare sonnellini diurni, che potrebbero compromettere la qualità del sonno notturno.

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La vitamina D riduce il rischio di malattie autoimmuni?

Le malattie autoimmuni prevedono una reazione anomala del sistema immunitario che per errore aggredisce e distrugge cellule sane del nostro organismo. Tra le strutture e i tessuti che possono essere attaccati vi sono i vasi sanguigni, il tessuto connettivo, le ghiandole endocrine (tiroide, pancreas), le articolazioni, i muscoli, la pelle. Purtroppo ad oggi la cause che innescano un comportamento errato del sistema immunitario non sono state ancora accertate. Le malattie autoimmuni si configurano così come disturbi cronici, gestibili adottando le opportune terapie. I sintomi si manifestano periodicamente a fasi alterne, tra momenti di regressione e momenti di riacutizzazione del disturbo. Ne sono esempio: il diabete mellito di tipo 1, il morbo di Crohn, il morbo celiaco, l’epatite autoimmune, l’alopecia, l’anemia emolitica autoimmune, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica progressiva, la sindrome di Sjögren.

Karen Costenbader e il suo gruppo di lavoro al Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno studiato il rapporto tra malattie autoimmuni e assunzione di vitamina D. Per farlo la studiosa ha suddiviso casualmente 26 mila persone di età pari o superiore ai 50 anni in due gruppi. A un gruppo è stata somministrata vitamina D, all’altro del placebo. I partecipanti all’esperimento sono stati monitorati per circa 5 anni allo scopo di misurare l’eventuale sviluppo di malattie autoimmuni. Lo studio ha dimostrato che una dose di 0,05 mg di vitamina D al giorno riduce l’insorgere di malattie autoimmuni del 22% rispetto al placebo.

Non è ancora chiaro come la vitamina D prevenga la comparsa di tali patologie. Quello che si sa è che essa, una volta metabolizzata dall’organismo, può alterare il comportamento delle cellule immunitarie. Costenbader ipotizza che la vitamina D possa aiutare il sistema immunitario a distinguere tra le proprie cellule e quelle estranee (microbi, batteri) oppure contribuisca a ridurre la risposta infiammatoria dell’organismo. Tuttavia la ricercatrice del Brigham and Women’s Hospital sottolinea come l’assunzione di qualsiasi integratore vada fatta in tutta sicurezza, previo parere favorevole del proprio medico di riferimento. Il passo successivo per la ricerca in materia sarà quello di capire quanto durano gli effetti positivi della vitamina D, nella speranza di poter effettuare una sperimentazione anche su fasce di popolazione più giovani.