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Perché il solo esercizio fisico può non essere la chiave per la perdita di peso?

Alcuni scienziati statunitensi in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Diabetes”, edita dall’American Diabetes Association, hanno dimostrato che il solo esercizio fisico potrebbe non essere sufficiente a generare una discreta riduzione di peso. Le evidenze emerse nello studio che ha riguardato principalmente animali, potrebbe avere implicazioni anche sulle persone che praticano esercizio fisico con la speranza di una perdita di peso.

Negli anni recenti molti studi avevano già esaminato la correlazione tra esercizio fisico e perdita di peso e, gran parte di essi, avevano dimostrato che l’esercizio fisico, nella singolarità, non è un mezzo efficace per perdere peso. In gran parte di questi esperimenti i partecipanti perdevano meno peso di quanto invece si sarebbero aspettati, in proporzione all’effettivo dispendio di calorie durante le sessioni di allenamento.

Ebbene, nello studio pubblicato, gli scienziati hanno evidenziato che le persone che praticavano esercizio fisico, qualunque essa fosse la tipologia, tendevano ad essere più affamati e a consumare più calorie dopo l’attività fisica. Inoltre, hanno visto che coloro che effettuavano sessioni di allenamento, diventavano più sedentari fuori dalle sessioni di esercizio, nella vita di tutti i giorni. In pratica, questi ultimi atteggiamenti (sedentarietà e maggiore appetito) compensavano il dispendio extra di energie utilizzato durante gli allenamenti, andando a bilanciare il carico di calorie tra quelle dissipate e accumulate.

Da ciò ne consegue che non ha senso fare attività fisica e poi praticare una vita sedentaria e concedersi eccessi calorici, con la speranza poi di smaltirli durante le sessioni di allenamento.

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Nausea e vomito: farmaci e integratori per prevenirli e trattarli

Il vomito o emesi è un evento riflesso tramite il quale il contenuto gastrico viene espulso forzatamente attraverso il cavo orale. Spesso è preceduto dalla sensazione di disgusto o vomito incipiente detta nausea.

Il vomito è una risposta fisiologica positiva quando segue l’ingestione di una sostanza tossica, come l’alcol, ma può anche essere l’effetto indesiderato di alcuni farmaci, per esempio dei chemioterapici antitumorali, degli oppioidi, degli anestetici generali. Il vomito può presentarsi nei primi mesi della gravidanza, accompagnare crisi di emicrania e malattie infettive. Il termine cinetosi indica il malessere provocato dai movimenti irregolari del corpo che si verifica a bordo di un’automobile, di un aereo o di una nave.

Ai fini di evitare la disidratazione e, nel caso in cui il vomito sia indotto dall’assunzione di medicinali, migliorare l’aderenza alla terapia, esistono agenti definiti antiemetici in grado di contrastare questo disturbo spiacevole e talvolta invalidante. Il domperidone è un principio attivo definito procinetico, che stimola cioè la motilità gastrica e del tratto intestinale superiore in senso propulsivo. La metoclopramide agisce anche sul tratto digerente inferiore ed entrambe le molecole trovano impiego pure nel trattamento del reflusso gastroesofageo. L’uso cronico di domperidone e metoclopramide può essere accompagnato dalla comparsa di iperprolattinemia, cioè da livelli elevati dell’ormone prolattina nel sangue, con ginecomastia, che è lo sviluppo anomalo delle dimensioni delle mammelle nell’uomo, e galattorrea, ossia la secrezione di latte nell’uomo o nella donna al di fuori del periodo dell’allattamento. Altri effetti collaterali importanti associati all’uso protratto di questi farmaci sono i disturbi motori.

Ciclizina, cinnarizina e dimenidrinato sono antistaminici utilizzati nel mal di moto, mentre la prometazina è usata in particolare nella nausea gravidica. I principali effetti indesiderati degli antistaminici sono sonnolenza e sedazione. La ioscina o scopolamina viene somministrata per prevenire e trattare la cinetosi, sia per bocca che in forma di cerotti transdermici; può causare secchezza delle fauci e visione offuscata.

L’ondansetron è il farmaco di scelta nel trattamento del vomito nei pazienti oncologici. Clorpromazina, perfenazina, proclorperazina e trifluoperazina sono efficaci nelle gastroenteriti virali, nel trattamento del vomito conseguente a radioterapia, nella nausea mattutina che si può presentare nei primi mesi della gestazione. Questi farmaci, somministrati per via orale, endovenosa o rettale, provocano sedazione, ipotensione e difficoltà motorie. Derivati sintetici dei cannabinoidi, quali il nabilone, contrastano il vomito che origina dai farmaci anticancro.

Per coloro che preferiscono i rimedi naturali e per le donne incinte sono disponibili preparati a base di zenzero e vitamina B6 o piridossina. A dosaggi elevati lo zenzero può causare eruzioni cutanee; essendo un antiaggregante piastrinico, l’uso andrebbe evitato nei soggetti in terapia con farmaci antipiastrinici e anticoagulanti orali, in modo da scongiurare il rischio di pericolose emorragie.

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Vaccinazioni dell’infanzia obbligatorie: difterite, tetano, poliomielite, epatite B

La vaccinazione è una modalità di prevenzione primaria delle malattie da infezione che conferisce una resistenza specifica verso singoli agenti infettivi. I vaccini sono preparati che stimolano il sistema immunitario, portando il soggetto vaccinato a sviluppare un’immunità simile a quella conseguente all’infezione naturale. La durata della protezione varia a seconda del tipo di vaccino.

L’importanza della vaccinazione risiede nella cosiddetta immunità di gregge, che consiste nella protezione della collettività a seguito della ridotta circolazione della malattia infettiva nella popolazione vaccinata. In particolare, le vaccinazioni dell’infanzia si suddividono in obbligatorie e raccomandate. Queste ultime includono morbillo, parotite, rosolia, pertosse, papilloma virus, oltre a pneumococco, meningococco, varicella, influenza, indicate nei soggetti a rischio.

Difterite, tetano, poliomielite ed epatite virale B rientrano invece tra le vaccinazioni pediatriche da effettuare obbligatoriamente. Esistono piani nazionali di prevenzione vaccinale che prevedono il calendario completo delle vaccinazioni offerte alla popolazione generale.

Il vaccino antidiftotetanico è costituito da tossine inattivate, che in questo modo perdono la loro tossicità pur mantenendo il potere antigenico, cioè la proprietà di stimolare le difese immunitarie. La prima dose viene inoculata al terzo mese di vita, la seconda tra il quinto e il sesto, la terza tra l’undicesimo e il tredicesimo. Sono inoltre previste due ulteriori dosi al quinto-sesto anno e tra gli undici e i diciotto anni. Per il mantenimento dell’immunità è necessario effettuare una dose di richiamo ogni dieci anni. In età adulta la vaccinazione è fortemente consigliata a tutta la popolazione e obbligatoria per alcune categorie lavorative.

Per quanto riguarda la vaccinazione antipoliomielitica, sono disponibili due tipologie di vaccino: con virus inattivato, che cioè ha perso l’infettività e la capacità di moltiplicarsi, e con virus attenuato, che mantiene la possibilità di moltiplicarsi stimolando il sistema immunitario, pur essendo privo di virulenza, dunque senza poter provocare la malattia. Il vaccino a virus attenuato, detto Opv dall’inglese Oral poliovirus vaccine o vaccino di Sabin, dal nome del virologo che lo sviluppò, viene somministrato per via orale ed è il più utilizzato a livello mondiale. In Italia il calendario vaccinale prevede la somministrazione del vaccino per via iniettiva Ipv (Injectable poliovirus vaccine) o vaccino di Salk, realizzatore del primo vaccino antipoliomielite.

La vaccinazione contro l’epatite B nel nostro paese è obbligatoria per tutti i nuovi nati dal 1991. Fino al 2003 sono stati vaccinati i bambini appartenenti a due fasce di età: neonati e dodicenni. Così facendo, nell’arco di dodici anni tutta la popolazione di età compresa tra zero e ventiquattro anni, che è anche quella maggiormente esposta all’infezione, è stata resa immune.

L’attuale calendario vaccinale prevede la somministrazione del vaccino anti-epatite B in contemporanea con le altre vaccinazioni obbligatorie dell’infanzia, quindi al terzo mese, tra il quinto e il sesto e tra l’undicesimo e il tredicesimo. Non sono previste dosi di richiamo. Le reazioni locali conseguenti all’inoculo, per esempio rossore e gonfiore, così come quelle generali, tra cui febbre, reazioni di ipersensibilità, shock anafilattico, sono molto rare.

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Ipoacusia: un disturbo dell’udito altamente invalidante

L’udito è il senso preposto a captare i suoni, cioè sensazioni date dalla vibrazione di corpi in oscillazione, e a trasmetterli a una regione del cervello definita corteccia temporale, dove vengono decodificati. L’apparato uditivo è composto da orecchio esterno, medio e interno e dalla porzione di sistema nervoso centrale che riceve e rielabora i suoni.

L’orecchio esterno è formato dal padiglione auricolare, che corrisponde alla parte visibile, e dal condotto uditivo. Queste strutture convogliano le onde sonore verso il timpano, la membrana che separa l’orecchio esterno da quello medio. Quest’ultimo trasmette le vibrazioni timpaniche all’orecchio interno attraverso tre ossicini concatenati chiamati martello, incudine e staffa.

L’orecchio interno comprende la coclea, che partecipa al senso dell’udito, e il vestibolo con i canali semicircolari, coinvolti invece nell’equilibrio. L’orecchio interno amplifica l’informazione uditiva e la traduce in messaggio nervoso. L’apparato uditivo centrale è costituito dal nervo acustico, che trasmette il suono all’encefalo in forma di impulso nervoso, e dalla già citata corteccia temporale.

Le orecchie, organi pari, ci permettono non solo di localizzare la direzione di provenienza del suono, ma anche di distribuirne il volume.

Se un qualsiasi componente di questo complesso sistema dovesse subire un danno, si svilupperebbe una condizione di ipoacusia.

Tra le numerose cause del calo dell’udito, si segnala l’invecchiamento: con l’avanzare dell’età non è raro perdere la capacità di sentire soprattutto i suoni acuti. Vi sono poi la predisposizione genetica, la calcificazione della staffa, che è il più piccolo dei tre ossicini presenti nell’orecchio medio, l’assunzione di farmaci dotati di ototossicità, stili di vita errati come l’abitudine al fumo di sigaretta o il consumo di bevande alcoliche. Il trauma acustico conseguente all’esposizione prolungata a forti rumori, tipica di alcune categorie di lavoratori, senza l’utilizzo di dispositivi di protezione come cuffie o tappi può essere motivo di un abbassamento temporaneo ma anche permanente della soglia uditiva.

La perdita dell’udito ha un impatto fortemente negativo sulla qualità della vita di chi ne è affetto. Nelle prime fasi l’ipoacusia si manifesta con una riduzione della comprensione delle parole. Alle prime avvisaglie di disturbi uditivi, magari grazie alla segnalazione della difficoltà da parte di persone vicine, si consiglia di rivolgersi allo specialista in otorinolaringoiatria per sottoporsi ad un esame audiometrico.

Poiché i deficit dell’udito rappresentano condizioni invalidanti, dopo aver effettuato le indagini specifiche può rivelarsi necessario adottare protesi acustiche, al giorno d’oggi più discrete ed efficaci di un tempo. Si tratta di piccoli dispositivi medici elettronici, sia esterni che interni, che consentono agli individui ipoacusici di recuperare parte dell’udito.

L’utilizzo degli apparecchi acustici limita una serie di fattori sfavorevoli associati allo stato di sordità, quali la riduzione della capacità di concentrazione e della memoria, l’isolamento sociale e la depressione che ne può conseguire. Inoltre, la correzione del difetto sensoriale diminuisce il rischio, maggiore nell’anziano, di sviluppare deficit cognitivi, inclusa la demenza, più frequenti rispetto ai normoudenti.

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Herpes labiale: una fastidiosa infezione che colpisce le labbra, ma non solo

L’herpes labiale è una malattia infettiva che colpisce cute e mucose, causata dal virus Herpes simplex di tipo 1. L’infezione si manifesta con la comparsa di vescicole pruriginose piene di liquido sieroso soprattutto sulle labbra, ma può presentarsi anche in altre sedi, per esempio all’interno delle narici o a livello oculare. La trasmissione del virus avviene per contatto diretto o attraverso la condivisione di oggetti utilizzati da persone infette, quali bicchieri, posate, prodotti cosmetici, asciugamani.

La formazione delle caratteristiche lesioni vescicolari può essere preceduta da una sensazione di formicolio e accompagnata da dolore, bruciore e calore oltre che da sintomi generali, come malessere, cefalea, febbricola. Nel giro di pochi giorni piccole croste prendono il posto delle vescicole, per seccare e cadere nell’arco di una decina di giorni, di solito senza lasciare cicatrici.

Per facilitare la guarigione e scongiurare la diffusione dell’infezione a parti diverse del corpo o ad altre persone, occorre evitare di toccare le vescicole. Se le vescicole scoppiassero, la pelle risulterebbe inoltre maggiormente esposta al rischio di sovrainfezioni.

Non esiste un medicinale che elimini completamente il virus dall’organismo. Per accelerare la guarigione si impiegano farmaci antivirali, come aciclovir e penciclovir, in forma di pomate da applicare sulle zone interessate. Il trattamento sarà tanto più efficace quanto più precocemente verrà iniziato, avendo cura di ripeterlo più volte al giorno e prestando particolare attenzione all’igiene delle mani, da lavare scrupolosamente sia prima che dopo l’applicazione della crema. Per proteggere la zona colpita e ridurre il rischio di trasmissione dell’infezione, si possono impiegare appositi cerottini da applicare sulle lesioni, che in genere si riuniscono a grappolo.

Si tratta di un virus che, dopo l’infezione primaria, rimane silente, annidandosi all’interno di alcune strutture nervose dette gangli. Può tuttavia riattivarsi nei periodi di intenso stress psicofisico, quando tende a verificarsi un concomitante calo della risposta immunitaria. Può essere utile, al fine della prevenzione delle recidive, sostenere le difese con integratori a base di vitamine del complesso B.

La riattivazione del virus può pure verificarsi in contemporanea con altri processi infettivi, durante la fase perimestruale nella donna in età fertile o a seguito dell’esposizione alle radiazioni solari o a lampade abbronzanti. Per la prevenzione, in commercio sono disponibili stick specifici formulati con filtri anti-Uva e anti-Uvb. In inverno, si consiglia di mantenere le labbra e l’intera regione periorale ben idratate con burrocacao o creme emollienti idonee per il contatto con le mucose, in quanto le screpolature sono un fattore predisponente negli individui soggetti a recidive.

Nei pazienti immunodepressi a causa di patologie come l’Aids o di trattamenti con immunosoppressori l’herpes simplex può provocare lesioni anche estese, per le quali potrebbe essere necessaria una terapia antivirale sistemica dietro prescrizione medica.