«Le persone anziane che hanno avuto una diagnosi di tumore mantengono abitudini, quali fumo, abuso di alcol, sedentarietà o scarso consumo di frutta e verdura, che rappresentano fattori di rischio per recidive tumorali o aggravanti della patologia stessa». È quanto emerso alla presentazione del volume “I numeri del cancro in Italia 2019”, prodotto dall’aggregazione dei dati dei sistemi di sorveglianza “Passi e Passi d’Argento” e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss). «Nel biennio 2016-2017 – si legge in una nota – sono state raccolte informazioni su un campione rappresentativo per genere ed età di 22.811 persone di 65 anni o più residenti in Italia; di queste 3.019 hanno riferito di aver ricevuto una diagnosi di tumore, pari a una prevalenza media annua nella popolazione generale di ultra 65enni del 12,8%». Alla luce di quanto è emerso, dunque, «fra questi pazienti resta non trascurabile la quota di persone che si mantengono fumatori abituali (11%). Il 18% fa ancora un consumo di alcol rischioso per la salute (superando il limite indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità per gli ultra 65enni di una unità alcolica al giorno) e il 40% dichiara di essere sedentario».
Infine, «è relativamente bassa (13%) la quota di persone che consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, come raccomandano le linee guida per una corretta e sana alimentazione». Tra i comportamenti salutari da mettere in atto dopo la diagnosi di una patologia oncologica è bene ribadire l’importanza di sospendere il fumo e la somministrazione di alcol, oltre che evitare atteggiamenti legati alla vita sedentaria, facendo grande consumo di frutta e verdura.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
I ricercatori della Cockrell School of Engineering, presso l’Università del Texas, ad Austin, negli Stati Uniti, hanno scoperto che fare un bagno in acqua a circa 40-41 gradi, una o due ore prima di coricarsi, può migliorare significativamente il sonno. Nel dettaglio, gli studiosi hanno scoperto che la tempistica ottimale del bagno per il raffreddamento della temperatura corporea al fine di migliorare la qualità del sonno è di circa 90 minuti prima di andare a letto. Bagni caldi e docce stimolano il sistema termoregolatore del corpo, causando un marcato aumento della circolazione del sangue dal nucleo interno del corpo ai siti periferici delle mani e dei piedi, con conseguente efficace rimozione del calore corporeo e riduzione della temperatura corporea.
Pertanto, se i bagni sono fatti al momento biologico giusto, vale a dire una o due ore prima di coricarsi, aiuteranno il naturale processo circadiano e aumenteranno le possibilità non solo di addormentarsi rapidamente ma anche di sperimentare un sonno di qualità migliore. «Quando abbiamo esaminato tutti gli studi noti – evidenzia Shahab Haghayegh, del dipartimento di ingegneria biomedica e autore principale del documento – abbiamo notato notevoli disparità in termini di approcci e risultati. L’unico modo – prosegue – per determinare con precisione se il sonno può effettivamente essere migliorato era combinare tutti i dati passati e guardarli attraverso una nuova lente».
«L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha disposto il ritiro dalle farmacie e dalla catena distributiva di tutti i lotti di medicinali contenenti il principio attivo ranitidina prodotto presso l’officina farmaceutica Saraca Laboratories Ltd – India». Lo fa presente l’Agenzia italiana del farmaco attraverso un comunicato diramato sul proprio portale istituzionale. «Il motivo – spiega l’Aifa – è la presenza, in alcuni di questi lotti, di un’impurezza denominata N-nitrosodimetilammina (Ndma) appartenente alla classe delle nitrosammine, già rilevata nel 2018 in una classe di farmaci anti-ipertensivi (sartani)». Nella stessa nota, a scopo precauzionale, l’Aifa ha informato del «divieto di utilizzo di tutti i lotti commercializzati in Italia di medicinali contenenti ranitidina prodotta da altre officine farmaceutiche diverse da Saraca Laboratories Ltd, in attesa che vengano analizzati».
Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, al momento non è possibile acquistare o ritirare presso le farmacie territoriali tutti i farmaci contenenti il principio attivo ranitidina. Per tale motivo, l’Aifa ha diramato anche una serie di informazioni utili per i cittadini. Tra queste, la mancata necessità immediata nel sospendere il trattamento in corso, ma al tempo stesso l’invito a contattare quanto prima il proprio medico curante. «Potrai -evidenzia l’Aifa – concordare con lui un trattamento alternativo (un altro medicinale diverso da ranitidina, indicato nel trattamento delle condizioni in cui lo stomaco produce quantità eccessiva di acido)». In aggiunta a ciò, l’Agenzia rende noto che se i pazienti sono in trattamento con un medicinale di automedicazione, sempre contenente ranitidina, gli stessi possono consultare il medico o il farmacista di fiducia per valutare un trattamento alternativo.
Quanto alla N-nitrosodimetilammina, l’Aifa evidenzia che «è una sostanza chimica organica che si genera come sottoprodotto di numerosi processi industriali. È inoltre presente a livelli molto bassi nelle forniture d’acqua e in alcuni alimenti, in particolare quelli cotti, affumicati o stagionati. Non sono attesi danni, quando ingerita in quantità molto basse». Per questo motivo, conclude l’Aifa, «non si attende un rischio acuto per il paziente che abbia già assunto medicinali contenenti ranitidina». Ulteriori informazioni possono essere reperite sul portale istituzionale dell’Agenzia italiana del farmaco (https://www.aifa.gov.it/) oppure contattare il numero verde 800571661. In alternativa, è possibile recarsi presso il proprio medico curante o il farmacista di fiducia.
L’Associazione internazionale per lo studio del cancro del polmone (International association for the study of lung cancer, Iaslc) ha diramato un appello in occasione della conferenza annuale sul cancro al polmone, svoltasi a Barcellona dal 7 al 10 settembre 2019, per richiamare l’attenzione sull’importanza della cessazione del tabacco dopo la diagnosi del cancro. Ciò esortando tutti i medici a selezionare i malati di cancro per l’uso del tabacco e raccomandare loro la cessazione del tabacco. Secondo quanto riportato dall’associazione, «i pazienti oncologici che continuano a fumare dopo la diagnosi hanno un tasso di mortalità più elevato e un rischio più elevato di un secondo sviluppo del cancro». Nello specifico, «gli effetti clinici del fumo dopo la diagnosi del cancro hanno anche un effetto sostanziale sull’aumento dei costi di trattamento del cancro».
Nella propria dichiarazione pubblicata nei giorni del congresso, la Iaslc ha diramato diverse raccomandazioni. Tra queste, che «tutti i malati di cancro devono essere sottoposti a screening per l’uso del tabacco e informati sui benefici della sospensione del tabacco». Inoltre, «nei pazienti che continuano a fumare dopo la diagnosi di cancro, l’assistenza di cessazione del tabacco basata sull’evidenza deve essere sistematicamente e integralmente integrata nella cura multidisciplinare del cancro per i pazienti e i loro familiari». In aggiunta a ciò, «i programmi educativi sulla gestione del cancro dovrebbero includere l’addestramento alla cessazione del tabacco, la comunicazione empatica sulla storia dell’uso del tabacco e la cessazione e l’utilizzo delle risorse esistenti per la cessazione del tabacco basate sull’evidenza». Inoltre «la consulenza e il trattamento per smettere di fumare dovrebbe essere un servizio rimborsabile». Infine, «lo stato di fumo, sia inizialmente che durante lo studio, dovrebbe essere un elemento di dati richiesto per tutti gli studi clinici prospettici», e dunque che «le sperimentazioni cliniche su pazienti con cancro dovrebbero prendere in considerazione progetti che potrebbero anche determinare gli interventi più efficaci per la sospensione del tabacco».
L’inattività fisica, il fumo, l’ipertensione, il diabete e il colesterolo alto svolgono un ruolo primario rispetto alla genetica nei giovani pazienti con malattie cardiache. È quanto afferma una ricerca presentata nel corso del congresso annuale della Società europea di cardiologia, svolto a Parigi dal 31 agosto al 4 settembre 2019. Secondo quanto emerso dai risultati dello studio, avere comportamenti sani dovrebbe essere una priorità assoluta per ridurre le malattie cardiache anche in coloro con una storia familiare di esordio precoce. Nel corso dello studio sono stati valutati cinque fattori di rischio modificabili. Tra questi inattività fisica, fumo, ipertensione, diabete e colesterolo alto. Quasi i tre quarti (73%) dei pazienti presentavano almeno tre di questi fattori di rischio rispetto al 31% dei soggetti sani. In entrambi i gruppi, la probabilità di sviluppare malattie cardiache premature è aumentata in modo esponenziale con ogni fattore di rischio aggiuntivo.
Ai partecipanti è stato analizzato anche il corredo genetico, sebbene abbia influito in minore percentuale rispetto alle cause primarie legate agli stili di vita. «I risultati – spiega Joao A. Sousa, dell’ospedale di Funchal, in Portogallo – dimostrano che la genetica contribuisce alla malattie cardiache premature. Tuttavia, nei pazienti con due o più fattori di rischio cardiovascolare modificabili, la genetica gioca un ruolo meno decisivo nello sviluppo della malattie cardiache premature». Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, «lo studio fornisce una forte prova del fatto che le persone con una storia familiare di malattie cardiache premature dovrebbero adottare stili di vita sani, dal momento che i loro comportamenti scorretti possono contribuire maggiormente alle malattie cardiache rispetto alla loro genetica. Ciò significa che smettere di fumare, esercitare regolarmente dieta sana e controllo della pressione arteriosa e dei livelli di colesterolo».