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Tiroide, ghiandola di piccole dimensioni ma dalle fondamentali funzioni

La tiroide è una ghiandola situata nella parte anteriore del collo, deputata alla secrezione di tre ormoni: la tiroxina o T4, la triiodotironina o T3 e la calcitonina. Quest’ultima è implicata nel controllo dei livelli sierici di calcio, mentre T4 e T3 svolgono un ruolo di primaria importanza nel metabolismo, nei processi di accrescimento, nello sviluppo del sistema nervoso e a livello del muscolo cardiaco. L’attività tiroidea è regolata dall’ipofisi, una ghiandola che si trova nella scatola cranica e che produce l’ormone stimolante la tiroide, abbreviato con l’acronimo TSH e chiamato anche tireotropina. Altro fattore che influenza la funzionalità tiroidea è la concentrazione plasmatica di ioni ioduro. Una dieta povera di iodio determina la riduzione della sintesi dell’ormone T4 e l’aumento della secrezione di TSH.

Il TSH stimola la produzione degli ormoni tiroidei T4 e T3, che inducono un aumento del metabolismo cellulare, portando a un maggiore consumo di ossigeno e alla produzione di energia. La produzione di calore risulta particolarmente rilevante nella risposta del corpo umano alle basse temperature. Gli ormoni tiroidei stimolano anche la sintesi proteica e facilitano l’utilizzo dei carboidrati. Per quanto riguarda crescita e sviluppo, la tiroide già nel feto è coinvolta nella differenziazione delle cellule cerebrali. Nel miocardio, gli ormoni secreti dalla ghiandola esercitano un’azione regolatoria sulla forza di contrazione e sulla frequenza cardiaca.

Le patologie tiroidee sono tra le malattie endocrine più diffuse. Nel caso di un malfunzionamento della ghiandola in eccesso si parla di ipertiroidismo o tireotossicosi, mentre se la tiroide funziona in difetto si determina un quadro di ipotiroidismo. L’ipertiroidismo è caratterizzato da un incremento del metabolismo energetico, con sudorazione e insofferenza al caldo, irritabilità, tremori, tachicardia, aumento dell’appetito associato a perdita di peso. Il gozzo tossico diffuso o malattia di Graves è una patologia autoimmune e il segno caratteristico è l’esoftalmo, cioè la protrusione dei bulbi oculari. Il gozzo nodulare tossico è invece provocato da neoplasie benigne e non si manifesta esoftalmo. La carenza di iodio nella dieta può essere causa del gozzo semplice o non tossico, in cui si osserva un accrescimento delle dimensioni della ghiandola ma solitamente la funzione tiroidea è normale. Il trattamento farmacologico dell’ipertiroidismo prevede la somministrazione per via orale di iodio radioattivo e di medicinali appartenenti alla classe dei tiourileni, che diminuiscono la sintesi degli ormoni tiroidei. Lo iodio, convertito nell’organismo a ioni ioduro che inibiscono il rilascio degli ormoni della tiroide, viene utilizzato prevalentemente per la preparazione alla resezione chirurgica, che si esegue ad esempio nel caso in cui vi sia una compressione della trachea a causa dell’aumento di volume della ghiandola.

L’ipotiroidismo ha un’origine immunologica e i sintomi comprendono riduzione del metabolismo con aumento del peso corporeo, astenia, confusione mentale, sensibilità al freddo, bradicardia e, nei casi più gravi, ispessimento della pelle con edema sottocutaneo. La diminuzione dell’attività tiroidea durante l’accrescimento, che può essere determinata da uno sviluppo incompleto della ghiandola, causa il cretinismo, caratterizzato da ridotta crescita fisica e ritardo mentale. Per trattare l’ipotiroidismo si ricorre alla terapia sostitutiva con assunzione degli ormoni tiroidei per via orale.

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Resistenza agli antibiotici, cosa è e come si presenta il problema del nostro tempo

Gli antibiotici sono farmaci di vitale importanza che comprendono numerose classi di molecole. Si distinguono in batteriostatici, in grado di impedire la riproduzione dei batteri, e battericidi, che hanno la capacità di ucciderli. L’impiego smodato di questi medicinali o il loro uso improprio, per esempio nel trattamento di infezioni provocate da virus, su cui non sono attivi, ha provocato nel tempo l’instaurarsi di fenomeni di resistenza, cioè la possibilità che i microorganismi diventino insensibili alla terapia a cui in precedenza rispondevano.

I meccanismi con cui un batterio perde sensibilità verso una data molecola sono molteplici. Dopo frequenti esposizioni a un determinato antibiotico, a livello del batterio si possono verificare modificazioni che interessano il sito bersaglio del farmaco. Il gene che presiede alla sintesi della molecola target va incontro a mutazioni e l’antibiotico non riconosce più la porzione a cui legarsi per poter esplicare la propria azione. A seguito di una mutazione genica il bersaglio molecolare potrebbe anche essere iperespresso e dunque presente in più copie, rendendo l’agente patogeno immune all’antibioticoterapia. Il patogeno potrebbe sintetizzare enzimi capaci di inattivare il medicinale. In altri casi si verifica una riduzione della permeabilità dell’agente infettivo al farmaco attraverso la produzione di trasportatori di membrana che riconoscono l’antibiotico e ne impediscono l’ingresso. Potrebbero inoltre essere attivati sistemi di efflusso dell’antibiotico, una volta che questo sia riuscito a penetrare all’interno della cellula batterica.

Per prevenire l’antibiotico-resistenza, che purtroppo rende vane tante terapie essenziali, occorre ricordare innanzitutto che spesso l’organismo possiede la capacità di superare un’infezione provocata da batteri senza la necessità di ricorrere all’utilizzo di farmaci antibatterici. Vi sono stati patologici, come la comune influenza stagionale, che sono causati da virus e pertanto non sono ricettivi nei confronti di questa tipologia di medicinali. È assolutamente da evitare il fai-da-te: la decisione di assumere autonomamente un antibiotico per via sistemica non è mai una buona idea. Ciò che ha funzionato in passato per risolvere sintomi che sembrano analoghi a quelli di cui soffriamo oggi può non essere indicato. Ogni caso è a sé stante e la scelta di un’eventuale terapia antibiotica deve essere effettuata dal medico di volta in volta, dopo una visita accurata e un’attenta analisi della sintomatologia, meglio ancora se suffragata da un antibiogramma. Per individuare la molecola più adatta il medico può infatti avvalersi di questo esame, che consente di valutare la sensibilità ai diversi antibiotici del batterio presente nel materiale biologico prelevato dal paziente, come urine, feci, sangue, muco.

È necessario attenersi scrupolosamente alla posologia affinché la terapia risulti efficace, debellando l’infezione e scongiurando il rischio di ricadute. Rispettare dosi, modi e tempi di assunzione è quindi un’altra norma fondamentale per impedire la comparsa di antibiotico-resistenza. Si ricorda infine che il problema in questione in parte è dovuto alla somministrazione di antibatterici in ambito veterinario come promotori dell’accrescimento degli animali da allevamento. Come conseguenza di questa pratica, vietata negli stati membri dell’Unione europea, alcuni ceppi hanno sviluppato resistenza agli antibiotici somministrati agli animali destinati all’alimentazione umana, divenendo causa di infezioni nell’uomo che non risultano più curabili con gli antibiotici abitualmente prescritti.

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Dentifrici, collutori & co.: l’importanza di una corretta igiene orale

Dedicare quotidianamente il giusto spazio all’igiene dentale è fondamentale per la prevenzione di disturbi e patologie a carico di denti e gengive. Si consiglia di optare per uno spazzolino a setole morbide, spazzolare i denti per almeno due-tre minuti e sostituirlo non appena le setole risultino consumate, o comunque ogni tre mesi circa. La placca batterica è un film costituito dai batteri Streptococcus mutans e Lactobacillus acidophilus, strettamente adesi alla superficie dei denti. Se la placca non viene rimossa regolarmente con l’uso di spazzolino e dentifricio, si indurisce, andando incontro a processi di mineralizzazione e portando alla formazione del tartaro. È importante eseguire periodici controlli dall’odontoiatra e programmare una pulizia professionale dei denti almeno una volta all’anno.

La carie è una malattia infettiva dipendente da diversi fattori in cui si osserva una demineralizzazione di smalto e dentina, i tessuti duri del dente. I microorganismi normalmente presenti all’interno della cavità buccale sono in grado di produrre acidi che contribuiscono al processo di demineralizzazione. Nella saliva sono contenute sostanze che regolano il pH e che hanno un’azione antibatterica, tra cui gli enzimi lisozima e lattoferrina, fagociti, cioè cellule in grado di inglobare i batteri, e anticorpi. L’alterazione quali-quantitativa della saliva, la predisposizione genetica, l’impiego di alcuni farmaci, stati fisiologici particolari come la gravidanza e condizioni patologiche, insieme a una scarsa igiene del cavo orale e a una dieta ricca di zuccheri, sono fattori facilitanti la comparsa della carie.

I prodotti indispensabili per l’igiene orale sono i dentifrici, disponibili in pasta e gel, ma anche in polveri o compresse. Nell’elenco degli ingredienti, compaiono sostanze dall’azione umettante che ne prevengono l’essiccamento, come glicerolo, sorbitolo e xilitolo. Quest’ultimo ha anche un’azione edulcorante e, con altri dolcificanti di sintesi come mannitolo e saccarina, viene preferito nella formulazione dei dentifrici in quanto acariogeno. Rientrano nella composizione dei dentifrici anche sostanze abrasive, aromatizzanti, profumate per contrastare l’alitosi, antimicrobiche, quali la clorexidina, da utilizzare soprattutto in seguito ad interventi odontoiatrici. Le stesse sostanze si ritrovano anche nei collutori per effettuare sciacqui dopo lo spazzolamento e permettere la pulizia delle parti del cavo orale meno facilmente raggiungibili con il solo spazzolino. Molti dentifrici sono arricchiti con fluoro, dall’effetto rimineralizzante. Il fluoro agisce anche come ingrediente antimicrobico sulla placca, in particolare contro Streptococcus mutans, di cui inibisce la capacità adesiva e la sintesi di acidi.

Per una pulizia più completa, a dentifricio e collutorio si possono abbinare filo interdentale e/o scovolino. I fili interdentali sono di tipo diverso: quelli cerati facilitano lo scorrimento tra un dente e l’altro prevenendo il rischio di sanguinamento gengivale, quelli espandibili si adattano a spazi differenti e risultano utili nei portatori di apparecchi odontoiatrici e protesi. Gli scovolini hanno misure variabili a seconda delle dimensioni degli spazi interdentali. Il farmacista saprà orientarvi verso i prodotti più adatti, inclusa la scelta di uno spazzolino elettrico o l’acquisto di un collutorio medicato contenente un antinfiammatorio o diverse concentrazioni di disinfettante, a seconda che l’uso sia quotidiano o post-intervento.

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Vitamine del gruppo B per una carica di energia

Stanchezza fisica e mentale, difficoltà di concentrazione, sbalzi di umore, calo dell’appetito, maggiore suscettibilità alle infezioni: sono sintomi aspecifici, ma che potrebbero essere indice della carenza di vitamine del gruppo B. Per contrastarli può essere utile ricorrere a integratori alimentari che le contengano. Si tratta di vitamine idrosolubili che non si accumulano nel corpo umano. È quindi necessario introdurle con la dieta, soprattutto con alimenti di origine animale come carne e frattaglie, pesce, uova, latte e derivati. Si trovano anche in cereali integrali e legumi. Sono contenute in frutta e verdura, ma, essendo molecole termolabili, spesso non si riescono ad assumere in quantità adeguata a seguito dei processi di cottura. Il lievito di birra può essere considerato un integratore completo in quanto contiene tutte le vitamine B. Le vitamine B2, B6 e B8 sono in parte sintetizzate dalla microflora intestinale.

Queste vitamine svolgono un ruolo fondamentale per la crescita dell’organismo e per il corretto funzionamento degli enzimi coinvolti nel metabolismo energetico. Come tutte le vitamine, anche quelle del gruppo B sono prive di calorie e non forniscono energia in quanto tali, ma ci consentono di utilizzare l’energia degli alimenti per le principali funzioni vitali. La vitamina B1 è anche detta tiamina ed è importante per la trasmissione degli impulsi nervosi. L’avitaminosi porta all’insorgenza del beriberi, una malattia che provoca serie complicanze cardiovascolari e neurologiche. La vitamina B2 o riboflavina è responsabile del corretto funzionamento di numerose altre vitamine. Le sindromi da carenza sono caratterizzate da un ritardo nell’accrescimento, infiammazioni labiali e orali, congiuntiviti. La vitamina B3, nota anche come niacina o vitamina PP, contribuisce a mantenere in salute cute, sistema nervoso e apparato digerente. La carenza è causa della pellagra, patologia caratterizzata da sintomi a carico di pelle, sistema nervoso centrale e intestino. La vitamina B5 o acido pantotenico è un componente di enzimi. La carenza determina astenia, cefalea, sintomi gastroenterici e neurologici. La vitamina B6, chiamata anche piridossina, contribuisce alla sintesi delle proteine e del glicogeno, la forma in cui il glucosio è immagazzinato nel corpo umano. Un deficit di vitamina B6 determina disordini a livello della sintesi proteica, astenia, dermatiti e disturbi neurologici. La vitamina B8 o biotina ha una funzione rilevante nella biosintesi degli acidi grassi e nella gluconeogenesi, il processo metabolico tramite il quale l’organismo è in grado di convertire composti non glucidici in glucosio. La carenza può provocare dermatiti, astenia, mialgie, nausea, disordini neurologici. La vitamina B9 o acido folico favorisce le funzioni psicologiche e sostiene il sistema immunitario. Partecipa ai processi di sintesi degli aminoacidi e degli acidi nucleici e alla formazione dei globuli rossi. Prima del concepimento e durante la gravidanza se ne consiglia l’assunzione per prevenire difetti nello sviluppo del tubo neurale. I sintomi da carenza comprendono anemia, disturbi neurologici e alterazioni a carico di cute e mucose. La vitamina B12 o cobalamina interviene nella sintesi dei globuli rossi e favorisce le risposte del sistema immunitario. Poiché le fonti sono alimenti di origine animale, la carenza, che provoca diverse forme di anemia e disturbi digestivi e neurologici, si riscontra con una maggior frequenza nei soggetti che seguono una dieta vegana.

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Cosmetici antietà, in che modo contrastare l’invecchiamento cutaneo?

L’invecchiamento della cute è un processo irreversibile del tutto fisiologico, che non può essere prevenuto ma sul quale si può intervenire per attenuarne o ritardarne le manifestazioni. I segni caratteristici sono secchezza, perdita di luminosità e compattezza, comparsa di rughe, ipercheratosi e discromie. Le rughe sono solchi lineari permanenti variamente marcati e in funzione dell’agente predominante che ne ha determinato la comparsa vengono classificate in rughe da gravità, le più frequenti, da posizione, dovute ad abitudini come la postura o il modo in cui si dorme, di espressione, come quelle chiamate comunemente “zampe di gallina”, che fanno da contorno agli occhi, o il cosiddetto “codice a barre” attorno alla bocca, e, infine, rughe da photoaging. Si parla di cronoinvecchiamento quando il processo è dovuto all’età anagrafica e di fotoinvecchiamento quando ci si riferisce all’invecchiamento precoce indotto dall’esposizione alle radiazioni ultraviolette. Anche stress, inquinamento e fumo contribuiscono ad accelerare il fenomeno.

Nell’invecchiamento cutaneo si riduce il contenuto di lipidi dello strato corneo, quello più superficiale, costituito da cellule morte, con un suo ispessimento, a fronte di una riduzione dello spessore di epidermide e derma, formati da cellule vive. A livello dell’epidermide si osserva un rallentamento della capacità proliferativa delle cellule, mentre nel derma si ha una diminuzione delle fibre di collagene ed elastina, proteine che conferiscono rispettivamente resistenza ed elasticità alla pelle. I radicali liberi, che vengono prodotti normalmente nelle reazioni metaboliche cellulari e che aumentano in seguito all’esposizione ai raggi solari, rendono le fibre di collagene più rigide e inibiscono il ruolo dell’acido ialuronico, altro componente fondamentale della pelle, nella promozione dell’idratazione della cute e nella proliferazione degli elementi fibrosi.

Si può intervenire sui diversi aspetti dell’invecchiamento cutaneo con prodotti cosmetici ad hoc. L’uso di esfolianti aiuta a ridurre l’ipercheratosi, eliminando le cellule morte e preparando così la cute a ricevere i trattamenti successivi. Oltre agli esfolianti chimici, esistono quelli fisici che rimuovono meccanicamente gli strati più esterni dell’epidermide. Sono disponibili formulazioni in crema contenenti microgranuli di origine minerale, vegetale o sintetica.

Gli antiossidanti agiscono contrastando i radicali liberi. Tra le sostanze maggiormente impiegate vi sono le vitamine A, C ed E. La vitamina A o retinolo stimola il rinnovamento cellulare e riduce la profondità delle rughe; la vitamina C o acido ascorbico interviene nella sintesi del collagene, ha azione fotoprotettiva e un blando effetto schiarente sulle macchie cutanee; la vitamina E o tocoferolo protegge le membrane cellulari da reazioni dannose di ossidazione. Per mantenere la giusta idratazione cutanea, oltre a introdurre quotidianamente almeno due litri di acqua, si consigliano creme per il viso e il corpo a base di acido ialuronico e urea.

Le cause dell’iperpigmentazione possono essere la melanocitosi, cioè un aumento del numero di melanociti, le cellule deputate alla sintesi del pigmento cutaneo detto melanina, o la melanosi, un incremento della melanina stessa. Tra gli agenti depigmentanti si ricordano l’acido cogico, prodotto metabolico di alcune specie di funghi; l’acido azelaico, che all’azione schiarente unisce un’attività cheratolitica; il resveratrolo, sintetizzato da diverse piante per proteggersi da batteri e funghi. Nei depigmentanti spesso si ritrovano estratti di tè verde, camomilla, uva ursina.