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Fumo e cancro, quali sono i costi per le recidive?

Come è noto, lo stile di vita individuale spesso costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie oncologiche. Citiamo ad esempio la sedentarietà, l’alimentazione, l’uso di alcolici, ma anche il fumo. Quest’ultimo, oltre ad essere la principale causa di cancro al polmone, contribuisce non solo allo sviluppo della patologia oncologica, ma anche ad un’eventuale recidiva nei pazienti che hanno già ricevuto una diagnosi di cancro e quindi un trattamento. Ad entrare nel dettaglio di tale dinamica è stato un gruppo di ricercatori statunitensi che, in un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Jama Network Open, ha calcolato i costi aggiuntivi associati al fumo da parte dei pazienti con cancro. Ciò attraverso un modello sviluppato che stima l’onere economico del fumo sul trattamento del cancro, informazione che può essere utile sia ai pazienti che agli operatori sanitari.
Lo studio dimostra che il fumo prolungato aumenta il rischio di fallimento del trattamento del cancro e che i costi medi addizionali per il trattamento del cancro possono arrivare a 11.000 dollari americani, pari a circa 9.000 euro, per ciascun paziente. «Lo studio – spiegano i ricercatori – si è concentrato solo sul costo di un ulteriore trattamento del cancro, ma non includeva il costo del trattamento degli effetti collaterali del fumo, come l’aumento della tossicità del trattamento del cancro o il trattamento di altre malattie correlate al fumo come malattie cardiache, ictus e altre malattie note essere causato dal continuo fumo». Gli autori hanno analizzato inoltre in che modo il fumo ha diminuito l’efficacia del trattamento del cancro e stimato quanto costerebbe trattare le recidive causate dal fumo.
«Sappiamo che continuare a fumare può portare a risultati negativi per i pazienti con cancro. Il Rapporto del Surgeon General del 2014 ha concluso che continuare a fumare dopo una diagnosi di cancro aumenta il rischio di morire di cancro e altre malattie correlate al fumo. Questa è davvero la prima volta il peso economico del fumo sul trattamento del cancro è stato stimato». Ne consegue che «la decisione migliore che un paziente malato di cancro può fare – concludono i ricercatori – è decidere di smettere di fumare: il passo successivo è mettere le risorse per identificare il miglior approccio terapeutico per tutti i malati di cancro, compresi quelli che fumano quando viene diagnosticato un cancro».

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Dichiarazione dei redditi precompilata, invio dal 2 maggio al 23 luglio 2019

Come è noto, a partire dal 2016 tutte le strutture sanitarie, comprese le farmacie e le figure professionali che erogano prestazioni sanitarie, sono obbligate ad inviare al Sistema tessera sanitaria del ministero dell’Economia e delle Finanze tutte le fatture emesse nei confronti dei propri pazienti. Ciò al fine di mettere a disposizione dell’Agenzia delle entrate il dettaglio delle spese sanitarie sostenute dai pazienti nel corso dell’anno, per predisporre la dichiarazione dei redditi precompilata. In sostanza, tutti i dati relativi alle prestazioni effettuate, ma anche dei farmaci acquistati, sia per uso umano che veterinario, e per i quali non si sia opposto il trattamento dei dati personali, saranno disponibili per i cittadini. Questi, a loro volta, possono utilizzare tali dati ai fini della preparazione della dichiarazione dei redditi precompilata. «I dati – aveva spiegato il ministero dell’Economia e delle Finanze – sono messi a disposizione dei cittadini che possono pertanto consultare le spese che hanno sostenuto, sulla base di quanto inviato al Sistema TS dagli erogatori di prestazioni sanitarie e veterinarie».
Ebbene, con riferimento alla dichiarazione dei redditi precompilata, l’Agenzia delle entrate ha fatto sapere che da «lunedì 15 aprile è online la dichiarazione dei redditi precompilata», con inclusi tutti i dati sopra citati. Pertanto, i contribuenti potranno accettare o integrare il 730 predisposto dall’Agenzia ed inviarlo via web a partire dal 2 maggio e fino al 23 luglio. Il modello, oltre ai dati delle spese sostenuta in farmacia ed in generale, quelle sanitarie, conterrà anche altre informazioni provenienti da banche, assicurazioni, università, nonché dai datori di lavoro tramite le certificazioni uniche. In aggiunta a ciò, nella precompilata si aggiungo anche le spese su parti comuni condominiali che danno diritto al bonus verde e le somme versate dal 1 gennaio 2018 per assicurazioni contro le calamità, stipulate per immobili a uso abitativo.
Secondo quanto comunicato dall’Agenzia delle entrate, è possibile ottenere maggiori informazioni «sul canale YouTube dell’Agenzia è online un breve video di presentazione della precompilata, con le principali novità e le date da ricordare». Inoltre, spiega l ‘Agenzia, «è consultabile un sito Internet dedicato, all’indirizzo https://infoprecompilata.agenziaentrate.gov.it, dove sono presenti tante informazioni utili: i passi da seguire fino all’invio e le risposte alle domande più frequenti». E, per concludere, «sono sempre disponibili i numeri dell’assistenza telefonica: 800.90.96.96 da telefono fisso, 0696668907 (da cellulare) e +39 0696668933 per chi chiama dall’estero, operativi dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 17, e il sabato dalle 9 alle 13 (con esclusione delle festività nazionali)».

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Gestione dell’ansia, cosa funziona e cosa no

L’ansia è una sensazione di preoccupazione, nervosismo o paura generata da un evento o una situazione. È normale che le persone si sentano ansiose in risposta allo stress. Tuttavia, in alcuni casi, l’ansia diventa un problema grave e persistente che è difficile da controllare e influenza la vita di tutti i giorni. Per questo motivo, con l’aiuto di un medico, molte persone trattano i disturbi d’ansia con psicoterapia, farmaci o entrambi. Esistono però vari rimedi complementari ed integrativi che aiutano coloro che ne soffrono a ridurre l’ansia o a farvi fronte. Alcuni però non si fondano su solide basi scientifiche e a volte possono creare danni all’organismo. A fare una panoramica – senza pretesa di esaustività – su cosa dice la scienza in merito è il National center for complementary and integrative health (Nih), ente governativo statunitense.
Con riferimento alle pratiche di mente e corpo, gli esperti del Nih dicono che «le tecniche di rilassamento possono ridurre l’ansia nelle persone con problemi medici cronici e coloro che hanno procedure mediche. Tuttavia, la terapia cognitivo-comportamentale (un tipo di psicoterapia) può essere più utile delle tecniche di rilassamento nel trattare almeno alcuni tipi di disturbi d’ansia». Inoltre, «sebbene alcuni studi suggeriscano che l’agopuntura possa ridurre l’ansia, la ricerca è troppo limitata per consentire di raggiungere conclusioni definitive». Stesso ragionamento vale per l’ipnosi, la quale, spiegano i ricercatori, «è stata studiata per l’ansia legata alle procedure mediche o dentistiche. Alcuni studi hanno avuto risultati promettenti, ma l’evidenza complessiva non è conclusiva». Per quanto concerne l’uso di massaggi, al fine di ridurre l’ansia, gli esperti spiegano che «in alcuni studi in persone con cancro o altre condizioni mediche, la terapia di massaggio ha contribuito a ridurre l’ansia; tuttavia, altri studi non hanno trovato un effetto benefico. Poche ricerche sono state fatte sul massaggio per i disturbi d’ansia e gli studi che sono stati fatti hanno avuto risultati contrastanti». Diversi studi hanno esaminato gli interventi che comprendono la meditazione basata sulla consapevolezza, arrivando alla conclusione che «non tutti questi studi – spiega il Nih – indicavano che la consapevolezza era utile per l’ansia. Ci sono alcune prove che la meditazione trascendentale può avere un effetto benefico sull’ansia. Non c’è stata abbastanza ricerca per sapere se la consapevolezza o altri tipi di meditazione sono utili per i disturbi d’ansia». Al contrario, «ci sono prove che l’ascolto della musica può ridurre l’ansia durante la malattia o le cure mediche». Le terapie di movimento meditativo (tai chi, qi gong o yoga) «potrebbero ridurre l’ansia», tuttavia anche in questo caso, evidenzia il Nih, «la ricerca è troppo limitata per consentire di raggiungere conclusioni definitive». Infine, evidenziano i ricercatori, «il Reiki e il tocco terapeutico non si sono dimostrati utili per l’ansia».
Con riferimento all’uso di prodotti naturali, al fine di ridurre l’ansia, il Nih americano spiega che «due studi, entrambi supportati dal Centro nazionale per la salute complementare e integrativa (NCCIH), suggeriscono che un estratto di camomilla potrebbe essere utile per gestire il disturbo d’ansia generalizzato, ma gli studi sono preliminari e le loro conclusioni non sono conclusive.
Kava può avere un effetto benefico sull’ansia. Tuttavia, l’uso di integratori di kava è stato collegato al rischio di gravi danni al fegato». Anche la melatonina «è stata studiata come possibile alternativa ai farmaci convenzionali per ridurre l’ansia per i pazienti che stanno per avere un intervento chirurgico, e i risultati sono stati promettenti». Infine, strano ma vero, «non ci sono prove sufficienti su passiflora o valeriana per l’ansia per consentire di raggiungere conclusioni». Stesso vale per aromaterapia e omeopatia, secondo cui «non hanno dimostrato di essere utile per l’ansia».

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Parkinson, vitamina B12 possibile inibitrice di enzima chiave

Come è noto, il morbo di Parkinson è il più comune disturbo cronico del movimento neurodegenerativo. Esso colpisce circa l’1% della popolazione globale oltre i settanta anni. Al momento, non esiste una cura per questa malattia e i trattamenti disponibili si concentrano sull’affrontare i suoi sintomi ma non sulla sua progressione. Sebbene la maggior parte dei casi di Parkinson siano sporadici, le varianti ereditabili della malattia sono principalmente associate a mutazioni di un gene che codifica per l’enzima LRRK2. Nel 2004 un gruppo di ricerca internazionale, al quale hanno partecipato ricercatori dei Paesi Baschi, ha stabilito il legame tra una delle mutazioni in questo enzima e i pazienti con diagnosi di malattia.
Quindi l’enzima LRRK2, noto anche a livello internazionale con il nome “dardarina”, la parola basca che significa tremore, è diventato uno degli obiettivi terapeutici più interessanti per lo sviluppo di nuovi farmaci per combattere il Parkinson ereditario. La neurotossicità, o gli effetti patogeni nel suo complesso associati a LRRK2, è principalmente dovuta al fatto che le mutazioni patogene aumentano l’attività della chinasi di questo enzima, che ha indotto una razza internazionale a sviluppare inibitori. In questo momento esistono inibitori specifici e potenti dell’attività della chinasi di LRRK2. Eppure molti di loro causano effetti collaterali indesiderati o producono risultati clinici molto poco chiari.
La ricerca,  condotta da Iban Ubarretxena, ricercatore Ikerbasque e direttore dell’Istituto Biofisika presso il Parco scientifico di UPV / EHU (Leioa-Erandio Area), insieme ad un gruppo di ricerca internazionale, ha rivelato che AdoCbl, una delle forme attive di vitamina B12, agisce come un inibitore dell’attività della chinasi di LRRK2 nelle cellule in coltura e nel tessuto cerebrale. Inoltre, previene in modo significativo la neurotossicità delle varianti di LRRK2 associate al Parkinson nelle cellule in coltura di roditori primari, nonché in vari modelli geneticamente modificati utilizzati per studiare questa malattia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Cell Research.
Quindi, secondo lo studio, la vitamina B12 si è rivelata una nuova classe di modulatore dell’attività della chinasi di LRRK2, che, come ha sottolineato Iban Ubarretxena, «costituisce un enorme passo avanti perché è una vitamina neuroprotettiva in modelli animali e ha un meccanismo diverso da quello degli inibitori attualmente esistenti, quindi potrebbe essere usato come base per sviluppare nuove terapie per combattere il Parkinson ereditario associato a varianti patogene dell’enzima LRRK2».

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L’Italia è tra i primi paesi in Europa per uso di antibiotici

Come è noto, gli antibiotici sono farmaci utilizzati per uccidere determinati microrganismi chiamati batteri, i quali, in determinate condizioni, diventano pericolosi per la salute dell’uomo. Alcuni di essi, con una proliferazione incontrollata, possono popolare l’organismo e contribuire allo sviluppo di una sintomatologia, al punto da richiedere una somministrazione. Nonostante questa classe di farmaci rivesta un’importanza cruciale per la sopravvivenza del genere umano, spesso se ne fa un uso sconsiderato e del tutto fuori controllo. Tale uso, oltre a provocare una serie di effetti collaterali ed indesiderati, porta nel lungo periodo allo sviluppo della cosiddetta resistenza antibatterica. In sostanza, un processo mediante il quale un batterio, riconoscendo l’antibiotico, sviluppa un meccanismo difensivo tale da disattivarne gli effetti benefici.
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), ovvero l’autorità governativa italiana che controlla le attività regolatorie dei farmaci in Italia, nel febbraio del 2019 ha predisposto il rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia 2017”, con l’obiettivo di fornire dati di consumo e di spesa a livello nazionale e regionale. Ebbene, in tale documento, l’Aifa ha evidenziato che l’Italia «è tra i Paesi europei – si legge – con i maggiori consumi (sebbene da alcuni anni il trend sia decrescente) e con i tassi più elevati di resistenza e multi-resistenza (resistenza di un batterio ad almeno quattro antibiotici di classi diverse)». Ne consegue che, proprio al fine di ridurre la quantità di antibiotici effettivamente attivi contro i principali tipi di batteri, è necessario avere cautela prima e durante la loro somministrazione. È sempre bene, prima di decidere in autonomia un eventuale inizio o sospensione della terapia, consultare il proprio medico curante o il farmacista di fiducia. È utile ricordare che il medico curante, a tal proposito, è l’unico professionista abilitato alla prescrizione dei farmaci antibiotici. Mentre, al farmacista, compete l’erogazione del farmaco e l’eventuale supporto informativo per la terapia da seguire. In ogni caso, il farmacista in Italia non è tenuto all’erogazione di un farmaco antibiotico senza che il paziente abbia una prescrizione valida.