«Ciò che prima si pensava potesse essere alla base del cancro, cioè le alterazioni genetiche intrinseche all’organismo, sono responsabili soltanto del 20 per cento più o meno dei tumori il resto l’ottanta per cento dell’organismo. Prime fra tutti, le alterazioni ambientali e gli stili di vita». È quanto spiega Agostino Di Ciuala, presidente del comitato scientifico dell’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde), intervenuto a margine del convengo “Tumori: L’uomo e il suo ambiente. Quale prevenzione?”, svolto sabato 30 marzo 2019 a Bari presso l’Istituto tumori di Bari, che ha visto la partecipazione dei medici Gaetano Rivezzi e Maria Grazia Serra. L’evento divulgativo è nato con l’obiettivo di diffondere una cultura legata alla correlazione tra salute e ambiente in cui si vive, compresa l’esposizione agli agenti contaminanti. «Dobbiamo anche allontanarci dal vecchio concetto della relazione tra patologia e un singolo inquinante – spiega Di Ciuala -, per esempio il pesticida o il particolato: sono tutti inquinanti che agiscono insieme sugli stessi effettori e con meccanismi fisiopatologici comuni». Con riferimento alla qualità dei prodotti alimentari e alla filiera di produzione, gli esperti spiegano che «quello che arriva a noi deve essere controllato. il pomodoro che noi mangiamo se viene prodotto qui, posso controllarlo meglio, se arriva qua devo poter essere che sia stato controllato da altri per me».
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Bere bevande zuccherate, soprattutto con l’avanzare della stagione calda, al fine di trovare un pò di ristoro, è una cosa che capita con una certa frequenza. Invece, dissetarsi quotidianamente con bibite e bevande sportive, in sostituzione dell’acqua, potrebbe portare a conseguenze sulla salute, magari anche gravi. È stato questo l’obiettivo dello studio “Long-term consumption of sugar-sweetened and artificially sweetened beverages and risk of mortality in us adults”, pubblicato sulla rivista scientifica Circulation: Journal of the American Heart Association. I ricercatori hanno accertato che l’uso smisurato di bevande zuccherate era associato ad un aumento del rischio di morte per malattie cardiovascolari e, in misura minore, per patologie oncologiche. Anche la sostituzione di una bevanda zuccherina al giorno, con una bevanda zuccherata artificialmente, era associata a un rischio leggermente inferiore di morire, ma bere quattro o più bevande zuccherate artificialmente al giorno era associato a un più alto rischio di morte tra le donne. Gli studiosi hanno sottolineato che questo ultimo risultato non è considerato forte, come l’associazione tra bevande zuccherate e un potenziale legame con un aumentato rischio di morte, pertanto deve essere confermato con ulteriori ricerche.
«L’acqua potabile al posto delle bevande zuccherate è una scelta salutare che potrebbe contribuire alla longevità», ha spiegato Vasanti Malik, Sc.D., autore principale dello studio e ricercatore presso il Dipartimento di Nutrizione dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health a Boston, Massachusetts. «Le bibite dietetiche possono essere usate per aiutare i consumatori abituali di bevande zuccherine a ridurre il loro consumo, tuttavia l’acqua è la scelta migliore e più salutare».
Per la prima volta, i ricercatori hanno dimostrato che una combinazione di sostanze perfluorurate nella madre inibisce significativamente la crescita del bambino. Come noto, i fluorocarburi sono sostanze chimiche impiegate per la costruzione di numerosi oggetti di uso comune nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, per tenere i piedi dei bambini asciutti in stivali impermeabili, oppure evitare che la carne si attacchi alla padella, oppure per facilitare la pulizia del tappeto. Tuttavia, tali prodotti chimici ambientali, hanno una vasta gamma di effetti dannosi, con il più recente risultato di ridurre la crescita nei feti.
È quanto riportato in un recente studio portato a termine dai ricercatori dell’Università di Aarhus, in Danimarca. Nello specifico, gli studiosi hanno esaminato l’effetto cocktail delle sostanze chimiche, portando a risultati che sono sia significativi che allarmanti. In sostanza, spiegano i ricercatori, «le sostanze perfluorurate possono imitare l’ormone estrogeno e possono quindi interrompere i processi ormonali naturali del corpo, incluso lo sviluppo del feto». Nel corso dello studio i ricercatori hanno evidenziato che «la complessa miscela di sostanze perfluorurate nella madre danneggia la crescita e la lunghezza del feto». Fino ad ora, infatti, i ricercatori avevano studiato solo l’impatto delle singole sostanze sul feto, ma non del mix di sostanze, e questi risultati non erano del tutto chiari. Ne consegue che, per limitare gli effetti sul corpo umano, è necessario informarsi preventivamente della presenza di queste sostanze al momento dell’acquisto di oggetti di uso comune, anche al fine di avere un ambiente domestico poco contaminato.
«Negli ultimi 20 anni sono aumentate le concentrazioni di farmaci nell’acqua potabile di tutto il mondo». È quanto rilevato in uno studio portato a termine un gruppo di studiosi della Radboud University a Nijmegen, in Olanda. In sostanza, i livelli dell’antibiotico ciprofloxacina ha raggiunto il punto di essere potenzialmente causa di effetti dannosi sull’ambiente. In questa direzione, la ricerca svolta è la prima ad esaminare il rischio di due particolari farmaci presenti nelle fonti di acqua dolce a livello globale.
Nello specifico, sono state analizzate le concentrazioni di carbamazepina, un farmaco anti-epilettico, e ciprofoxacina, un antibiotico molto usato per il trattamento di varie patologie. Ebbene, le concentrazioni trovate nelle fonti di acqua sono state da 10 a 20 volte più alte, rispetto al 1995. Ciò a causa dell’incremento dell’utilizzo di tali molecole. «La concentrazione dell’antibiotico ciprofloxacina – spiegano i ricercatori – può essere dannosa per i batteri presenti nell’acqua», in aggiunta a ciò, «tali batteri svolgono un ruolo importante nei vari cicli alimentari». Inoltre, «gli antibiotici hanno anche un impatto negativo sull’efficacia delle colonie batteriche utilizzate nel trattamento delle acque reflue».
L’antibiotico-resistenza è stata inserita nell’agenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e nell’Assemblea generale delle Nazioni unite. «Solitamente – spiegano i ricercatori – l’antibiotico-resistenza è considerata un problema nel settore sanitario, poiché i batteri resistenti possono essere diffusi all’interno degli ospedali o attraverso il bestiame», tuttavia, evidenziano, «c’è poca consapevolezza del ruolo dell’ambiente in questo problema, anche se diventa sempre più chiaro che l’ambiente funziona come una fonte di resistenza per vari patogeni».
Le acque sotterranee nelle falde acquifere carsiche costituiscono circa il 25% della fonte di acqua potabile al mondo. Lo studio dal titolo “Microplastic Contamination in Karst Groundwater Systems”, curato dai ricercatori del Prairie Research Institute dell’università dell’Illinois, ha portato alla luce il problema dell’inquinamento da microplastiche nelle fonti e nelle sorgenti di due falde acquifere dell’Illinois. In entrambi i casi, è emerso che «le fonti e le sorgenti delle due falde acquifere di origine carsica contenevano microplastiche e altri agenti inquinanti antropogenici, le microplastiche rinvenute erano fibre con una concentrazione massima di 15,2 particelle/litro». Una seconda indagine, svolta con differenti parametri quali fosfato, cloruro e triclosan, ha suggerito agli studiosi che «la presenza di microplastica potrebbe essere anche causata dagli effluenti settici».
I rifiuti di detriti plastici e la contaminazione microplastica sono ampiamente diffusi negli ecosistemi delle acque di superficie e in tutti gli ecosistemi acquatici a livello mondiale, inclusi gli oceani, acque fresche come quelle dei ruscelli e dei laghi e perfino nei terreni. Le microplastiche sono frammenti di rifiuti plastici più grossi che diventano pezzi piccolissimi e si depositano nell’atmosfera, inquinando così i corsi d’acqua, comprese le acque reflue. L’acqua reflua, come per esempio quella di effluenti settici, fosse settiche o biologiche, può contenere molte migliaia di microfibre composte da sottili polimeri, come il poliestere o il polietilene, ma anche fibre derivanti dagli scarichi del lavaggio di indumenti sintetici. Le microplastiche hanno inoltre la capacità di assorbire inquinanti organici persistenti, detti Pop, ossia tutte quelle sostanze chimiche particolarmente resistenti alla decomposizione. Questi inquinanti possono essere trasferiti ai tessuti animali inoltre, se ingeriti, possono irritare i tessuti digestivi.
La natura delle falde acquifere carsiche, tipicamente aperta, le rende maggiormente vulnerabili a un più rapido trasporto di agenti contaminanti di superficie che si dissolvono in diverse e particolari forme. «Il 20% della massa terrestre è di origine carsica e le falde acquifere carsiche costituiscono circa 1/4 della fonte di acqua potabile a livello mondiale».
Inoltre, sottolineano gli esperti, «non bisogna trascurare il fatto che gli ecosistemi carsici sono l’habitat di rare specie faunistiche, i troglobi, anch’essi vulnerabili a tale contaminazione». L’obiettivo dello studio era quello di determinare le microplastiche presenti nelle fonti e sorgenti nelle regioni carsiche e la loro eventuale cooperazione con altri contaminanti provenienti da rifiuti prodotti dall’uomo. Lo studio ha portato alla luce ciò che i ricercatori sospettavano, «16 campioni su 17 contenevano microplastiche con una concentrazione media di 6,4 particelle/litro e una massima di 15, 2 particelle /litro». Il lavoro ha dunque dimostrato che i sistemi carsici permettono il movimento di fibre microplastiche nei sistemi di flusso delle acque sotterranee. Data la presenza di Pop, nutrienti e batteri enterici trovati in entrambe i sistemi carsici analizzati, molto probabilmente le microplastiche derivano da effluenti settici, anche se il deflusso superficiale potrebbe essere un’altra fonte d’inquinamento.