Categorie
Notizie

Cannabis per uso medico, aumentano i quantitativi importati dall’Olanda

Il ministro della Salute olandese Hugo De Jonge ha approvato la commercializzazione in favore dell’Italia di ulteriori quantitativi di Cannabis per uso medico. L’omologo italiano, Giulia Grillo, ne aveva fatto richiesta poiché le quantità prodotte dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e quelle già importate negli anni precedenti, non erano sufficienti a soddisfare il crescente fabbisogno nazionale. Lo scorso novembre il ministero della Salute aveva reso noto che, in collaborazione con il ministero della Difesa, sarebbero stati disponibili i primi lotti di sostanza attiva a base di Cannabis, denominata FM-1, prodotta dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e costituita da infiorescenze essiccate e triturate, contenenti le percentuali di THC tra il 13 e il 20%, oltre che di Cannabidiolo (CBD), inferiori all’1%.
Ciononostante, la produzione italiana non soddisfa il crescente fabbisogno dei pazienti che utilizzano Cannabis come supporto ed affiancamento ad altri trattamenti standard. Da qui, la necessità dell’importazione di ulteriori quantitativi dall’Olanda. «Il 2019 dovrebbe finalmente segnare l’anno della svolta per i pazienti in trattamento, poiché per la prima volta le disponibilità effettive dovrebbero superare la tonnellata, a fronte dei 350 kg del 2017 e dei circa 600 kg del 2018», ha spiegato Giulia Grillo, ministro della Salute, confermando l’impegno e la volontà di risolvere altre problematiche riguardanti questi farmaci, in primis la difficoltà nella distribuzione.

Categorie
Notizie

Girovita: l’allattamento al seno oltre i sei mesi ne favorisce la riduzione

Le mamme che allattano al seno per più di sei mesi avrebbero un girovita ridotto rispetto a coloro che hanno allattato i loro piccoli per meno di sei mesi. E’ quanto emerge da un’analisi pubblicata sul “The journal of women’s health”, di cui da notizia il The New York Times. Lo studio ha coinvolto 678 mamme osservate anche per gli 11 anni successivi al parto. In linea generale, i risultati dell’osservatorio hanno evidenziato i maggiori ed evidenti benefici a favore di coloro che hanno protratto l’allattamento al seno oltre il semestre. Nello specifico, queste ultime avevano assottigliato il girovita di circa 3,5 centimetri in più, rispetto alle mamme che avevano allattato il loro bambino per meno di sei mesi. Inoltre, tale forma fisica migliore si sarebbe protratta per i successivi dieci anni dopo il parto.
La motivazione principale, secondo gli studiosi, sarebbe da imputare ad una maggiore attenzione alla salute delle donne che hanno scelto di protrarre l’allattamento al seno. Il loro stile di vita, come emerso durante il decennio di osservazione, è risultato più attento alla salute in generale. L’analisi riguardava diversi aspetti, tra cui età, indice di massa corporea durante la gravidanza, peso accumulato durante la gestazione, pressione arteriosa e le abitudini di vita in generale, ovvero fumo, qualità e varietà della dieta, formazione scolastica, razza e altre caratteristiche comportamentali e salutistiche. Tale studio si è limitato ad osservare quanto evidenziato, non avendo mostrato il rapporto causa-effetto.
L’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), si legge nello studio, raccomanda l’esclusivo allattamento al seno per almeno i primi sei mesi di vita poiché è ottimale per la salute del neonato. Inoltre, precisa, esistono benefici equivalenti anche per la salute della madre. Generalmente la gravidanza è accompagnata da un accumulo di peso e da ritenzione postparto. Ciò può contribuire all’aumento della resistenza all’insulina e a malattie cardiovascolari in futuro. La produzione di latte materno dopo il parto richiede un dispendio energetico di circa 550 kcal in più al giorno. Alcuni studi precedenti, anche se non tutti, hanno trovato un’associazione tra l’allattamento e la salute materna e hanno dimostrato che un allattamento più duraturo può essere relazionato a una salutare perdita di peso e a una migliore composizione corporea.

Categorie
Notizie

Carne rossa, affettati e insaccati: quando fanno male?

Gli italiani, grandi estimatori di prosciutto, salame e mortadella, potrebbero dover rivedere le loro abitudini alimentari. Secondo l’American institute for cancer research (Iarc), agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, facente capo all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il consumo di carni rosse sarebbe da “limitare”, mentre, quello delle carni lavorate industrialmente, come salumi e insaccati, da “evitare”. Ciò al fine di ridurre il rischio per lo sviluppo di certi tipi di cancro, in particolare il carcinoma del colon-retto.
L’Istituto americano sottolinea, che al momento i ricercatori non sanno esattamente quali carni rosse interessano lo sviluppo del carcinoma, tuttavia «è stato dimostrato che le carni rosse contengono dei composti che danneggiano il rivestimento dell’intestino e forse favoriscono lo sviluppo del cancro. Non solo. Cuocere la carne rossa ad alte temperature, spiega l’Iarc, può produrre altri composti cancerogeni».
Gli scienziati americani dell’Ente americano puntano il dito contro le carni cosiddette “processate”, ovvero lavorate industrialmente, confermando quindi che la carne rossa è da “limitare”, mentre tutte le carni processate sono da “evitare” poiché «qualsiasi quantitativo, se consumato regolarmente, aumenta il rischio di cancro allo stomaco e colon-rettale».
Dello stesso avviso è Alberto Vicenzi, nutrizionista sportivo e membro della società italiana Nutrizione Sport e Benessere (Sinseb), secondo cui «500 grammi a settimana di carne rossa cotta, 700-800 grammi a crudo, e 70-80 grammi di carne processata a settimana incrementano dell’8% il rischio relativo di cancro al colon retto. Il rischio relativo si somma al rischio già esistente che è 100. Quindi la minaccia di contrarre tumore al colon retto per chi supera i quantitativi sopra indicati è dell’8% superiore, ossia 108».
«Gli americani – puntualizza Vicenzi – consumano per lo più carne di manzo e maiale, mentre la dieta italiana prevede anche cavallo, coniglio, ecc. sarebbe, dunque, più corretto parlare di carne di mammiferi e non di carne rossa in generale. In più, non è ancora ben chiaro se l’aumento del rischio sia dovuto all’eccessivo consumo o ad alcuni tipi di proteine contenute nella carne dei mammiferi». A tal proposito Vincenzi sottolinea che «tutti i cibi cotti ad alte temperature contengono sostanze tossiche come l’acrilamide. Questo imbrunimento non enzimatico, noto come reazione di Maillard, coinvolge non solo carni alla griglia, ma anche la crosta del pane, la birra scura, i dolci e perfino la pizza».

Categorie
Notizie

Antibiotico fosfomicina, al via revisione negli Stati europei

L’antibitoico fosfomicina è utilizzato in parecchi Stati dell’Unione europea per il trattamento di alcune infezioni batteriche, prevalentemente del tratto urinario, causate da batteri che sono sensibili a tale molecola. L’Agenzia europea per i medicinali (Ema), su richiesta della Germania, ha iniziato un iter di revisione dei famarci contenenti questo antibiotico, anche a causa della disparità nell’impiego, nei dosaggi e nelle indicazioni sulla sua sicurezza nei vari stati membri.
L’antibiotico fosfomicina può essere prescritto per curare infezioni di vario genere ed essere somministrato per via orale, ma anche per infusione in vena attraverso la flebo o ancora con iniezione intramuscolare. Quando gli antibiotici a base di fosfomicina si somministrano per via orale sono solitamente utilizzati per «il trattamento negli adulti di infezioni del tratto urinario causate da batteri che sono sensibili all’azione antibatterica della fosfomicina». Inoltre, spiega l’Agenzia, «in alcuni paesi della Ue è anche utilizzata per prevenire infezioni associate a procedure chirurgiche o diagnostiche che interessano il tratto urinario».

Categorie
Notizie

Omega-3, l’Ema: «Non efficaci per prevenire malattie cardiache»

Chi è stato già colpito da infarto e contava sugli omega-3 per prevenire nuovi attacchi, ictus o recidive purtroppo resterà deluso. L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha infatti diffuso una nota ufficiale nella quale viene smentita l’efficacia che i medicinali a base di acidi grassi omega-3 avrebbero come trattamento per prevenire la ricorrenza di problemi cardiaci dopo un infarto miocardico. Gli ultimi dati emersi a seguito della procedura di rivalutazione, iniziata nel marzo 2018 su richiesta dell’Agenzia Svedese per i medicinali e condotta dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano (Chmp), non hanno confermato effetti benefici. Ecco perché questo tipo di medicinali, utilizzati in diversi paesi dell’Unione europea già dal 2000 in combinazione con altri farmaci e con una dose di un grammo al giorno, non saranno più autorizzati per tale uso. Al contrario resta invece valida l’indicazione che riguarda l’efficacia degli acidi grassi per ridurre alcuni tipi di grassi nel sangue e in particolare nel trattamento dell’ipertrigliceridermia. In quest’ultimo caso i pazienti sono vivamente consigliati di continuare nella terapia.
La rivalutazione degli omega-3, che si trovano comunemente nell’olio di pesce, acido eicosapentaenoico (Epa) e acido docosaesaenoico (Dha), ha preso in esame lo studio Gissi Prevenzione condotto nel 1999 nel quale si era inizialmente osservata una piccola riduzione del rischio d’insorgenza di nuovi problemi cardiaci in soggetti che già avevano avuto un infarto. Ora il parere del Chmp sarà trasmesso alla Commissione Europea, la quale emetterà una decisione che sarà legalmente vincolante e applicabile in tutti gli Stati Membri. E se da un lato è importante sottolineare che non è comunque emerso nessun pericolo collegato all’uso degli omega-3, resta il fatto che alla luce delle nuove ricerche coloro che stanno usando medicinali di questo tipo nella speranza di evitare o tenere a bada l’insorgenza di ulteriori problemi di cuore, la cosiddetta prevenzione secondaria, sono invitati a rivolgersi al proprio medico curante per farsi consigliare un’alternativa.
Gli omega-3 sono comunque attualmente contenuti in numerosissimi integratori alimentari e vengono consigliati in molti regimi dietetici perché impediscono l’accumularsi del colesterolo, mentre avrebbero benefici anche su alcune malattie della pelle. Particolarmente noti tra gli sportivi anche per le loro proprietà anti infiammatorie e di supporto alla salute delle articolazioni. Gli omega-3 sono definiti anche “essenziali” perché il nostro organismo non è in grado di produrli da solo: ecco perché devono essere necessariamente introdotti con l’alimentazione. Tra i prodotti più ricchi in omega-3 si segnalano alghe e semi di lino, oltre naturalmente ai pesci come merluzzo, salmone e sgombro.