Con l’obiettivo di dare visibilità alla richieste di moratoria già in essere, ma anche per lanciare un appello ai parlamentari, la testata giornalistica Terra Nuova è scesa in campo per ribadire con forza la necessità di applicare il principio di precauzione, a pochi mesi dal lancio ufficiale del 5G, tecnologia che consentirà di connettere smartphone, tablet e tutti i dispositivi, ad una velocità che vedrà incrementare drasticamente il numero di campi elettromagnetici. Ciò alla luce delle recenti evidenze che mettono in correlazione l’incremento di determinate patologie con la maggiore esposizione ad onde elettromagnetiche. Terra Nuova si è fatta promotrice di una campagna di crowdfunding allo scopo di poter acquistare pagine di giornale e spazi sui mass media, al fine di sensibilizzare la popolazione, ma anche i politici, a tale problematica.
«Gentile onorevole/senatore – si legge nella lettera predisposta da Terra Nuova, da inviare ai parlamentari – dal 1° gennaio 2019 saranno disponibili le nuove radiofrequenze per la tecnologia wireless di quinta generazione, il cosiddetto 5G.
Scienziati, medici e ricercatori hanno già lanciato moniti e appelli per contenere questa avanzata, poiché mancano valutazioni preliminari del possibile rischio per la salute della popolazione. Si prevedono wi-fi dallo spazio attraverso droni in orbita e l’installazione di milioni di nuove mini-antenne a microonde millimetriche, anche sui lampioni della luce, che andranno a sommarsi agli oltre ventimila wi-fi pubblici e alle decine di migliaia di antenne per telefonia mobile 2G, 3G e 4G.
Ciò comporterà un’esposizione massiccia della popolazione all’inquinamento elettromagnetico e si preannuncia un innalzamento delle soglie limite per i valori di irradiazione».
La lettera sottolinea che «nel 2011 la IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato i campi elettromagnetici delle radiofrequenze come possibili cancerogeni per l’uomo». Ciò in aggiunta alla diffusione, il 1 novembre 2018, dal National Toxicology Program, del «rapporto finale di uno studio su cavie animali». In tale occasione, spiega la lettera, «è emersa una chiara evidenza che i ratti maschi esposti ad alti livelli di radiazioni da radiofrequenza, come 2G e 3G, sviluppino rari tumori delle cellule nervose del cuore». Il rapporto aggiunge che esistono anche «alcune evidenze di tumori al cervello e alle ghiandole surrenali». Non solo. «Nel marzo 2018 – aggiunge -, inoltre, sono stati diffusi i primi risultati dello studio condotto in Italia dall’Istituto Ramazzini di Bologna (Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni), che ha considerato esposizioni alle radiofrequenze della telefonia mobile mille volte inferiori a quelle utilizzate nello studio sui telefoni cellulari del National Toxicologic Program, riscontrando gli stessi tipi di tumore. Infatti, sono emersi aumenti statisticamente significativi nell’incidenza degli schwannomi maligni, tumori rari delle cellule nervose del cuore, nei ratti maschi del gruppo esposto all’intensità di campo più alta, 50 V/m».
La lettera spiega che «gli studiosi hanno individuato un aumento dell’incidenza di altre lesioni, già riscontrate nello studio dell’NTP: iperplasia delle cellule di Schwann e gliomi maligni (tumori del cervello) alla dose più elevata. In aumento è anche il numero di persone colpite da elettrosensibilità, malattia ambientale altamente invalidante!». Ad oggi, prosegue, «sono quasi duecento gli scienziati indipendenti che, guidati dal professor Lennart Hardell, hanno sottoscritto l’appello per una moratoria del 5G. Un altro appello internazionale ha già raccolto le adesioni di ricercatori, cittadini e organizzazioni di 96 paesi(5) e mette a disposizione una bibliografia ricchissima, che attesta numerosi rischi biologici da elettrosmog». Anche in Italia, la lettera di Terra Nuova, riferisce di «una petizione ha già raccolto migliaia di firme e l’associazione ISDE Medici per l’Ambiente ha chiesto al Governo “un piano di monitoraggio dei possibili effetti sanitari e una morato- ria per l’esecuzione delle sperimentazioni 5G su tutto il territorio nazionale sino a quando non sia adeguatamente pianificato un coinvolgimento attivo degli enti pubblici deputati al controllo ambientale e sanitario”».
La lettera prosegue quindi con un appello al Governo: «Fermi l’avanzata del 5G, in piena applicazione del principio di precauzione, finché non si potranno escludere danni a carico della popolazione, non innalzi i valori limite previsti dalla legge per l’esposizione all’inquinamento elettromagnetico, promuova uno studio epidemiologico a livello nazionale sui campi elettromagnetici». Indirizzando ai politici un appello chiaro, ovvero, «fare pressione sul governo e sul Parlamento attraverso mozioni, ordini del giorno e interrogazioni per chiarire la portata dei rischi per la popolazione e per proporre alla discussione parlamentare la documentazione scientifica esistente, la cui portata impone l’adozione del principio di precauzione, rilasciare dichiarazioni ai media mainstream che sottolineino una sua ferma presa di posizione sulla necessità di una moratoria per il 5G», ed infine, «opporsi all’innalzamento per legge delle soglie limite in Volt/m di esposizione per la popolazione».
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Il 1 dicembre di ogni anno è la Giornata mondiale contro l’AIDS, occasione dedicata a mantenere alta l’attenzione e la coscienza sull’epidemia mondiale di AIDS dovuta a causa della diffusione del virus HIV. Per quanto possano essere stati fatti passi da gigante, migliorando la vita delle persone grazie al miglior accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali, il virus, dal 1981 ad oggi, ha ucciso circa 25 milioni di persone. Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, ha ricordato la giornata affermando che «l’infezione da HIV è un esempio perfetto di come la ricerca farmacologica possa mutare radicalmente il destino del paziente. Oggi la sopravvivenza ha raggiunto traguardi impensabili e con una buona qualità della vita, trasformando l’HIV in una malattia cronica». Tuttavia, sottolinea il dirigente, «a questo aspetto positivo si affianca purtroppo il dato, finora incomprimibile, di 3.500 – 4000 nuovi casi l’anno in Italia. Non solo: come ricordato nei giorni scorsi dall’infettivologo Matteo Bassetti, spesso sono diagnosi tardive».
Nonostante i nuovi casi, «le stime concordano sul fatto che a livello mondiale, e quindi anche nel nostro paese, dal 30 al 35% delle persone colpite ignora la sua condizione». Per questo motivo, chiosa Mandelli, «resta forte il bisogno di grandi campagne mirate alla prevenzione e agli screening, ma anche di un’opera costante e quotidiana di informazione, sia per contrastare lo stigma che ancora accompagna questa malattia sia per divulgare i progressi operati in campo diagnostico e terapeutico».
A tal proposito, Mandelli ricorda che «i farmacisti sono a disposizione della collettività per offrire consiglio e indicazioni anche sul tema, importantissimo, delle interazioni tra le terapie antiretrovirali e gli altri farmaci di uso comune». «Credo però – conclude – che se, fortunatamente, l’HIV è divenuto una malattia cronica, si debba mettere in condizione l’assistenza territoriale di farsi carico anche di questi pazienti, soprattutto considerando quale peso abbia qui l’aderenza alla terapia, anche per ridurre al minimo le possibilità di contagio accidentale».
L’antibiotico cefepime è un farmaco per uso parenterale – ovvero il cui ingresso nell’organismo avviene per vie diverse dall’assorbimento intestinale -, appartenente alla famiglia delle cefalosporine, che, con la capacità di trattare infezioni batteriche causate da germi sensibili al farmaco, viene eliminato soprattutto per via renale. L’Agenzia Italiana del Farmaco, in accordo con le aziende produttrici dei medicinali contenenti il principio attivo cefepime ha diramato una nota informativa riguardante la possibile insorgenza di «reazioni avverse neurologiche gravi», in particolare per i pazienti con insufficienza renale che «hanno ricevuto dosi differenti da quelle consigliate».
Sebbene si tratti di una nota per lo più tecnica, riservata agli operatori sanitari, si è pensato di divulgarla in questa sede per evidenziale tale rischio anche direttamente ai pazienti. Nella nota diramata, infatti, l’Aifa sottolinea che «dosi inappropiate di cefepime possono causare eventi avversi neurologici gravi in pazienti con insufficienza renale», in gran parte dei casi in cui si è avuta neurotossicità, l’Aifa specifica che essa «si è verificata in pazienti con insufficienza renale che hanno ricevuto dosi al di sopra di quelle consigliate, in particolare nei pazienti anziani. Tuttavia, sono stati segnalati casi verificatisi in pazienti con funzionalità renale normale e che ricevevano dosi superiori a quelle raccomandate». Quando presenti, «i sintomi di neurotossicità sono scomparsi dopo la sospensione del trattamento e/o dopo emodialisi; tuttavia alcuni casi hanno avuto esito fatale». L’Aifa specifica che «in caso di uso concomitante di farmaci potenzialmente nefrotossici come aminoglicosidi e potenti diuretici è necessario controllare attentamente la funzione renale», oltre che «in caso di disturbi neurologici o di peggioramento degli stessi, si può sospettare un sovradosaggio di cefepime».
Per ulteriori informazioni è possibile consultare il foglietto illustrativo del farmaco in questione, oltre che visitare il sito web dedicato di Aifa, al link https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/bancadatifarmaci/cerca-farmaco, o visualizzare direttamente la circolare al link http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Cefepime_NII.pdf. Qualora vi siano dei dubbi su quanto riportato in questo articolo, è doveroso contattare il medico di famiglia o il farmacista di fiducia: entrambi potranno in qualsiasi momento rispondere a qualsiasi domanda, fornendo ulteriori informazioni in merito all’argomento trattato.
I medicinali contenenti chinoloni e fluorochinoloni sono una classe di antibiotici ad ampio spettro attivi contro i batteri delle classi dei Gram-negativi e Gram-positivi, utilizzati per trattare determinate infezioni. I principi attivi sono cinoxacina, ciprofloxacina, flumechina, levofloxacina, lomefloxacina, moxifloxacina, acido nalidixico, norfloxacina, ofloxacina, pefloxacina, acido pipemidico, prulifloxacina e rufloxacina.
Nell’ambito di una revisione sulla sicurezza di tali medicinali, l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha diramato alcuni dettagli riguardanti i principi attivi sopra indicati, somministrati per via sistemica (per bocca o per iniezione) e per via inalatoria, specificando che, nel caso di cinoxacina, flumechina, acido nalidissico e acido pipemidico, la commercializzazione deve essere sospesa, mentre, per tutti gli altri principi attivi, l’uso debba essere ristretto.
La limitazione dell’uso di antibiotici fluorochinolonici riguarda l’uso di tali medicinali, spiega l’Agenzia, «per trattare infezioni non gravi o che potrebbero migliorare senza trattamento (come infezioni alla gola), «per trattare infezioni di origine non batterica, come la prostatite (cronica) non batterica», «per prevenire la diarrea del viaggiatore o le infezioni ricorrenti del tratto urinario inferiore (infezioni delle urine che non si estendono oltre la vescica)», «per il trattamento di infezioni lievi o moderatamente gravi a meno che altri medicinali antibatterici comunemente raccomandati per queste infezioni non possano essere usati».
L’Ema ha divulgato anche una serie di importanti informazioni di cui i pazienti devono tener conto, in particolare, «i medicinali fluorochinolonici (che contengono ciprofloxacina, levofloxacina, lomefloxacina, moxifloxacina, norfloxacina, ofloxacina, pefloxacina, prulifloxacina e rufloxacina) possono causare effetti indesiderati invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti che coinvolgono tendini, muscoli, articolazioni e sistema nervoso». Tali effetti indesiderati, spiega l’Agenzia, «includono tendini infiammati o lacerati, dolore o debolezza muscolare e dolore o gonfiore alle articolazioni, difficoltà a camminare, sensazione di spilli e aghi, bruciore, stanchezza, depressione, problemi di memoria, del sonno, della vista e dell’udito, alterazione del gusto e dell’olfatto». In tal senso, «gonfiore e lesioni del tendine possono verificarsi entro 2 giorni dall’inizio del trattamento con un fluorochinolonico, ma possono anche verificarsi diversi mesi dopo l’interruzione del trattamento».
Inoltre, l’Agenzia ha sottolineato che l’assunzione di un medicinale flurochinolonico deve essere interrotta «o al primo segno di lesione del tendine, come dolore o gonfiore al tendine – tenere a riposo l’arto», o «se avverte dolore, sensazione di spilli e aghi, formicolio, solletico, intorpidimento o bruciore, o debolezza specialmente nelle gambe o nelle braccia», oppure «se si manifesta gonfiore alla spalla, alle braccia o alle gambe, e ha difficoltà a camminare, stanchezza, depressione, o ha problemi con la memoria, o disturbi del sonno, o nota dei cambiamenti della vista e dell’udito e alterazione del gusto e dell’olfatto». In questi casi è necessario contattare immediatamente il medico ed insieme si potrà decidere se continuare o meno il trattamento e se vi è la necessità di assumere un altro tipo di antibiotico.
Particolare precauzione va presa anche se si stiano assumendo contemporaneamente – o si pensi di assumere – medicinali corticosteroidi (come idrocortisone e prednisolone), poiché, spiega l’Agenzia, «potrebbe essere particolarmente soggetto a danni ai tendini se sta prendendo un farmaco corticosteroide e un medicinale fluorochinolonico allo stesso tempo».
Ulteriori dettagli non riportati in questo articolo possono essere consultati visualizzando il comunicato integrale al seguente link http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/FluoroquinolonesQuinolones_PHC_IT_16.11.2018.pdf. Qualora questo articolo risultasse di difficile comprensione, a causa della terminologia tecnica, o, in ogni caso, qualora vi fosse il bisogno di ulteriori chiarimenti, è possibile contattare il medico di famiglia o il farmacista di fiducia. Entrambi, potranno fornire tutte le informazioni necessarie a dirimere ogni dubbio ed ad assicurare un corretto uso di tali medicinali.
Si è conclusa il 18 novembre 2018 la settimana mondiale degli antibiotici, evento mondiale con l’obiettivo di diffondere la consapevolezza che un eccessivo uso di antibiotici porta un danno non solo in termini di sviluppo di antibiotico-resistenza ma anche in termini di vite umane.
L’antibiotico-resistenza infatti è il problema che consegue all’uso eccessivo, inappropriato ed indiscriminato degli antibiotici, rendendo sempre più difficile la lotta alle infezioni, a causa dello sviluppo, da parte dei batteri, di meccanismi di difesa che portano ad un’inutilità via via maggiore dei farmaci utilizzati. Inutilità che si traduce nel dover utilizzare antibiotici sempre più forti, anche per la cura di infezioni che un tempo richiedevano un uso limitato di famaci.
A causa del fenomeno dell’antibiotico-resistenza, ogni anno muoiono in Europa 30.000 persone, inoltre, nei prossimi 20 anni, secondo quanto riferito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS, essa diventerà la prima causa di morte, superando quella dei tumori. L’Italia è al quinto posto in Europa per morti a causa dell’antibiotico-resistenza. Un terzo di queste, circa 10.000, avvengono sul territorio nazionale, non solo a causa di resistenza dovuta alla somministrazione diretta di tali farmaci, ma anche a causa dell’eccessivo quantitativo di antimicrobici utilizzati negli animali per la produzione di carni per uso alimentare.
A sottolineare l’importanza del fenomeno dell’antibiotico-resistenza è la Società Italiana di Neonatologia (SIN), secondo cui «far fronte alla diffusione dei batteri antibiotico-resistenti è oggi una priorità assoluta che deve coinvolgere tutti: i sanitari, che gli antibiotici li prescrivono ma anche il cittadino comune, che li assume spesso come automedicazione». In sostanza, spiega la Società, «ci troviamo di fronte ad una minaccia grave per la salute mondiale».
Anche in ambito neonatale, il problema non è da meno, la Società spiega infatti che «i neonati sono biologicamente suscettibili alle infezioni perché l’immaturità del loro sistema immunitario li rende vulnerabili all’attacco di batteri: il 40% dei tre milioni di decessi neonatali ogni anno nel mondo è dovuto a infezioni». Ulteriori complicazioni emergono se il neonato nasce prima del termine previsto, in tal caso, spiega la SIN, «i neonati pretermine associano alla immaturità biologica la necessità di procedure e terapie molto invasive, che favoriscono l’ingresso di germi responsabili di infezioni ospedaliere generalizzate, molto gravi». Ne consegue che nei reparti ospedalieri delle Terapie Intensive Neonatali, quindi, «l’impiego di antibiotici come terapia o come prevenzione è abituale, per salvare la vita del neonato».
La Società Italiana di Neonatologia spiega che, sebbene in Italia vi sia una tendenza all’aumento dell’antibiotico-resistenza, essa può essere invertita «creando una complicità fra Strutture e Organizzazioni volte alla cura dei pazienti». In tal senso, conclude la Sin, diventa prioritario curare le malattie infettive, ma allo stesso tempo, «proteggere le popolazioni più vulnerabili, come quella neonatale, dai danni derivanti dall’emergenza di ceppi batterici sempre più resistenti».