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Autismo ed inquinamento dell’aria, studio conferma possibile correlazione

L’esposizione dal momento della nascita all’età dei tre anni a gas di scarico dei veicoli, emissioni industriali e altre fonti di inquinamento ambientale, incrementano il rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico fino al 78%. E’ questo il risultato di uno studio portato a termine su 124 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, confrontati con 1240 bambini sani, su un periodo di nove anni, confermando la possibile correlazione tra inquinamento dell’aria e disturbi dello spettro autistico.
Lo studio dal titolo “Dioxins as potential risk factors for autism spectrum disorder”, pubblicato sulla rivista scientifica “Environment International”, è il primo ad esaminare l’effetto dell’esposizione a lungo termine ad agenti inquinanti dell’aria sullo sviluppo dei disturbi dello spettro autistico, per quei bambini esposti in età pediatrica a tali inquinanti. Lo studio in oggetto ha esaminato gli effetti di tre tipi di particolato, in particolare i PM1, PM2.5 e PM10, generalmente prodotti dalle industrie, dai veicoli, ma diffusi anche dalla presenza di strade e autostrade. Queste particelle, spiegano i ricercatori, hanno la capacità di entrare nei polmoni e penetrare nel flusso sanguigno, provocando una serie di gravi condizioni di salute.
«Le cause dell’autismo sono complesse e non completamente comprese, ma i fattori ambientali sono considerati come possibili corresponsabili, in aggiunta a fattori genetici o altri fattori», ha spiegato Yuming Guo, professore associato della Monash University’s School of Public Health and Preventive Medicine, tra i responsabili dello studio. «I cervelli dei piccoli bimbi ed il loro sviluppo – spiega Guo – sono molto più vulnerabili all’esposizione ad agenti tossici presenti nell’ambiente e numerosi studi hanno confermato che questo potrebbe influenzare la funzionalità cerebrale e del sistema immunitario. Ciò potrebbe in parte spiegare il forte legame che trovato tra l’esposizione ad agenti inquinanti e disturbi correlati all’autismo. Tuttavia, ulteriori ricerche sono necessarie per capire meglio l’associazione tra la problematica e l’esposizione agli agenti inquinanti».
«I seri effetti dell’inquinamento dell’area sulla salute – conclude Guo – sono ben documentati e tali studi suggeriscono che non esistono “livelli di sicurezza” dell’esposizione”. Anche l’esposizione a livelli molto bassi di particolato, possono essere ricollegati a nascite premature, ritardi nell’apprendimento, ed una serie di condizioni di salute molto serie, tra cui problemi al cuore».

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Farmaci fluorochinolonici, AIFA: «Rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta»

I medicinali contenenti fluorochinoloni sono antibiotici approvati nell’Unione Europea per il trattamento di diverse infezioni batteriche, alcune delle quali potenzialmente letali. Essi comprendono i principi attivi ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina, pefloxacina, prulifloxacina, rufloxacina, norfloxacina, lomefloxacina e sono commercializzati con i rispettivi nomi dei principi attivi (farmaci equivalenti), o attraverso i nomi commerciali delle specialità medicinali.
In merito a questa importante classe di farmaci, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in accordo con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e le aziende titolari delle specialità medicinali, ha diramato una nota informativa importante riguardante il rischio potenziale che può insorgere mediante la somministrazione di questi farmaci.
«I fluorochinoloni per uso sistemico e inalatorio – si legge nella nota – possono aumentare il rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta, in particolare nelle persone anziane». Pertanto, prosegue la nota, «nei pazienti a rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta, i fluorochinoloni devono essere utilizzati solo dopo un’attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio e dopo aver preso in considerazione altre opzioni terapeutiche». Inoltre «le condizioni che predispongono all’aneurisma e alla dissezione dell’aorta comprendono una storia familiare di aneurisma, aneurisma aortico o dissezione aortica pre-esistente, sindrome di Marfan, sindrome vascolare di Ehlers-Danlos, arterite di Takayasu, arterite a cellule giganti, malattia di Behçet, ipertensione e aterosclerosi». Per i motivi indicati, «i pazienti devono essere allertati del rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta e devono essere invitati a cercare assistenza medica immediata in pronto soccorso in caso di improvviso e severo dolore addominale, toracico o alla schiena». E’ bene sottolineare che, nel caso dell’insorgenza dei sintomi indicati, durante la somministrazione di una terapia a base di fluorochinoloni, è necessario andare direttamente al pronto soccorso.
Per ulteriori informazioni in merito alla nota in oggetto, è possibile richiedere informazioni direttamente al farmacista di fiducia o al medico curante, o leggere la nota integrale al link http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Fluoroquinolones-DHPC_23.10.2018.pdf.

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Cancro al seno: prevenire il ritorno con dieta, sport e stop al fumo

Uno stile di vita corretto, che comprenda attività fisica regolare per almeno 150 minuti a settimana, una dieta sana con pochi grassi e l’eliminazione delle sigarette, potrebbero aiutare coloro che hanno già sviluppato un cancro al seno, a prevenire una recidiva. E’ quanto emerso in occasione del convegno nazionale “Carcinoma mammario, traguardi raggiunti e le nuove sfide”, tenuto a cura dell’Aiom, Associazione italiana di oncologia medica, e riportato da Ansa salute.
Secondo le stime, sono 52.800 le donne italiane che nel 2018 hanno avuto una diagnosi di tumore alla mammella, neoplasia divenuta più frequente in Italia, superando il cancro al colon. Sebbene l’87% delle donne supera con successo la malattia, sono poche le pazienti che modificano le abitudini e lo stile di vita, andando incontro a rischi di recidive.
Stefania Gori, presidente dell’Aiom, intervistata dall’Ansa, che spiega «la mancata adesione a queste semplici regole rischia di vanificare gli importanti risultati ottenuti con terapie sempre più efficaci». Come riportato, «una dieta troppo ricca di grassi, ad esempio, aumenta fino al 24% il rischio di recidiva del tumore della mammella e ciò dimostra il ruolo degli stili di vita sani nella cosiddetta prevenzione terziaria, che mira a evitare il ritorno della malattia. Ed ancora: bastano 150 minuti di attività fisica a settimana (come camminata veloce o giardinaggio) per ridurre del 25% la mortalità per tumore del seno nelle pazienti che hanno già ricevuto la diagnosi rispetto alle sedentarie. E ingrassare di 5 Kg può incrementare fino al 13% la mortalità per la neoplasia». Anche il fumo influenza negativamente il ritorno della patologia: «le donne che hanno abbandonato questa pericolosa abitudine ma che in passato hanno fumato da 20 a 35 sigarette presentano un rischio di ricomparsa di carcinoma della mammella del 22%, del 37% per le fumatrici di più di 35 sigarette e, addirittura, del 41% per coloro che non hanno mai smesso».

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Sedentarietà, studio conferma: siamo “programmati” per essere sedentari

Siamo nati per essere fisicamente pigri? Sembrerebbe di sì, e a rivelarlo è un nuovo e sofisticato studio elettroencefalografico appena pubblicato su Neuropsychologia. Anche quando le persone sono consapevoli dei benefici dell’esercizio fisico e prevedono di allenarsi, alcuni segnali elettrici all’interno del loro cervello possono spingerli verso la sedentarietà. Sono pochi, infatti, coloro che fanno esercizio fisico regolarmente, nonostante ne abbiano tutte le intenzioni, e spesso si attribuisce la colpa dell’inattività alla mancanza di tempo, strutture o capacità, ma stando a questo nuovo studio internazionale, la causa potrebbe essere più profonda e risiedere nel modo in cui è “cablato” il cervello umano. A lungo fisiologi, psicologi e professionisti del settore si sono interrogati sulle ragioni del gap tra la volontà di essere fisicamente attivi e il comportamento reale, che di solito va in direzione contraria. I processi automatici che regolano i comportamenti che includono l’esercizio fisico possono in parte spiegare questo paradosso, ma questi processi sino ad oggi sono stati studiati solo con risultati comportamentali, ovvero in base ai tempi di reazione. I ricercatori di questo studio, invece, utilizzando l’elettroencefalografia, hanno studiato l’attività corticale sottostante l’approccio automatico e la tendenza a evitare stimoli relativi ad attività fisica o comportamenti sedentari, in 29 giovani adulti fisicamente attivi oppure inattivi ma con l’intenzione di diventare fisicamente attivi.
I risultati comportamentali hanno mostrato reazioni più rapide quando ci si avvicinava all’attività fisica rispetto ai comportamenti sedentari, e reazioni più rapide quando si evitavano comportamenti sedentari rispetto a quelle volte ad evitare l’attività fisica. Tuttavia, queste ultime reazioni erano anche associate a più alti livelli di monitoraggio e inibizione dei conflitti, indipendentemente dal normale livello di attività fisica svolta. ‹I risultati dell’elettroencefalografia hanno suggerito che i comportamenti sedentari sono attraenti e che le persone che intendono essere attive hanno bisogno di attivare ulteriori risorse corticali per contrastare questa attrazione››, si legge nelle conclusioni dello studio. L’inattività fisica è dunque intrinsecamente gratificante per tutti. La differenza tra coloro che fanno esercizio fisico e i sedentari potrebbe risiedere nella loro diversa capacità di sfuggire alla forza attrattiva dei comportamenti sedentari attraverso risorse neurali aggiuntive o più efficienti.

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Allattamento al seno: è buono anche per la mamma, non solo per il bambino

E’ cosa risaputa che allattare al seno faccia bene alla salute del nascituro, tuttavia, gran parte dei medici raramente dicono alla mamma che è anche buono per la loro stessa salute.
Le donne che allattano al seno sono meno esposte al rischio di sviluppo di cancro al seno, tumore ovarico, diabete di tipo 2, artrite reumatoide ed hanno una migliore salute cardiovascolare. E’ questo in sintesi il risultato di uno studio pubblicato in America. Secondo i ricercatori, allattare al seno riduce di 4.3 punti percentuali il rischio di sviluppare un cancro al seno, per ogni 12 mesi di allattamento al seno, in aggiunta ad un decremento del 7 percento per ogni nascita. Allattare al seno è particolarmente protettivo contro alcune forme aggressive di tumore, chiamate “ormone recettore-negativo” o “tumore triplo negativo”, molto comune nelle donne Afro-Americane. Lo studio ha mostrato che le donne che allattano al seno sono meno propense a sviluppare il cancro alle ovaie, diabete di tipo due ed artrite reumatoide, nonché, hanno una migliore salute cardiovascolare.
Il Dr. Ramaswamy, professore associato in oncologia medica presso l’Università dell’Ohio, autore dello studio, ha spiegato che «mediante i risultati di questo studio abbiamo la possibilità di salvare vite umane», ponendo una domanda: «Siamo sicuri che (la classe medica, ndr) stia educando correttamente le madri al momento di fare la scelta difficoltosa di allattare al seno o no?». E continua: «Mentre le aziende commercializzano nuove “formule” di latte pediatrico, facendoli passare come buoni sostituti al latte materno, queste “formule” non aiutano le donne a vivere più a lungo».