Manca poco all’abbassarsi delle temperature e molti saranno colpiti dai malanni invernali. E studi medici e farmacie si affolleranno di persone con sindromi influenzali.
«La prossima stagione influenzale dovrebbe essere di intensità media. Si stima, però, che non meno di 5 milioni di persone saranno costrette a letto, afferma il Prof. Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario IRCCS Galeazzi di Milano – nell’emisfero australe la stagione sta scorrendo con bassi livelli di diffusione e una prevalenza del virus AH1N1, anche se in quest’ultima parte di stagione rimane l’incognita del contributo del virus B che potrebbe innalzare la dimensione complessiva della stagione». L’andamento dipende molto da come saranno le temperature ed è dunque difficile fare previsioni certe.
È stata recentemente presentata la ricerca on line “Gli italiani e l’influenza stagionale” da Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione, aderente a Federchimica). Da questa risulta che il comportamento più comune è rivolgersi al medico di base, adottato dal 49% ed è stabile rispetto agli anni precedenti. Uno dei dati emersi è che il 25,6% degli italiani per avere indicazioni di cura si rivolge al farmacista, questo dato è particolarmente interessante perché conferma come il farmacista sia un punto di riferimento per la persona. Questa tendenza è in costante aumento, infatti la medesima domanda era presente anche nelle ricerche effettuate nel 2016 e 2017, in cui risultava che si rivolgeva al farmacista, rispettivamente il 17,7% e il 20,8% degli intervistati. Inoltre, risulta che a preferire il consiglio del farmacista sono le donne, 27,2%. Il ricorso all’automedicazione “autonoma” risulta essere in calo e passa dal 40,5% del 2017 al 35,2%. I farmaci di automedicazione sono il rimedio più utilizzato, dal 58,5% del campione. Questo è molto positivo perché il farmacista aiuta ad avere un comportamento corretto nei confronti dei sintomi: scegliere farmaci che migliorano i sintomi senza azzerarli. E consiglia farmaci che non causino interazioni con altre terapie.
Il 14% della popolazione ricorre al vaccino antinfluenzale esattamente come nella rilevazione dello scorso anno.
«Non dobbiamo dimenticare che in Australia il periodo a rischio non è ancora finito e che le cose possono cambiare anche radicalmente. Quanto successo lo scorso anno ce l’ha ricordato chiaramente: ci aspettavano una stagione nella norma e, invece, quella 2017/2018 è stata una delle stagioni più pesanti degli ultimi anni, con il numero record di 8,5 milioni di casi solo in Italia. Una lezione che non dobbiamo dimenticare – conclude Pregliasco – molto dipenderà anche dal meteo: se questo inverno dovesse essere più lungo e freddo sicuramente si avranno molti più pazienti influenzati».
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Sin dalla loro prima comparsa nel 2003 in Cina, le sigarette elettroniche, o e-cigarette, sono state progettate per favorire un graduale allontanamento dalle sigarette tradizionali, accanto ad altri presidi quali i cerotti e le gomme da masticare alla nicotina. Da allora le sigarette elettroniche hanno conquistato i mercati di tutto il mondo, spingendo la comunità scientifica ad interrogarsi sia sugli effetti che le sostanze in essa contenute possono avere sulla salute e se questi siano paragonabili a quelli delle sigarette tradizionali, sia sulla reale utilità di questi dispositivi rispetto allo scopo originario. Sebbene, infatti, il “vaping” sia la strategia più utilizzati dai fumatori che desiderano smettere, le ricerche hanno sinora prodotto risultati controversi, mentre sulla minore tossicità delle sigarette elettroniche rispetto a quelle tradizionali, la maggior parte degli esperti concordano, anche sulla base dei più recenti studi indipendenti condotti in Gran Bretagna, che hanno dimostrato che il rischio di cancro derivante dalle è-cigarette è solo dell’1% rispetto al fumo.
E sempre dal Regno Unito provengono le maggiori ricerche sull’utilità della sigaretta elettronica come strumento per smettere di fumare, che tuttavia non sono ancora risolutive. E’ del 2016 la prima analisi sistematica di studi randomizzati sull’argomento, grazie al quale i ricercatori della Cochrane Collaboration hanno rilevato che l’uso di sigarette elettroniche a base di nicotina, rispetto a sigarette elettroniche senza nicotina, è efficace per smettere di fumare per un periodo di tempo compreso tra i 6 e i 12 mesi, ma il campione utilizzato era esiguo (662 persone) e la qualità metodologica bassa, oltre ad aver incluso anche e-cigarette di prima generazione ormai superate. Un’altra revisione pubblicata nel 2017 sulla rivista Current Opinion in Pulmonary Medicine, invece, ha messo in evidenza come l’utilizzo delle sigarette elettroniche come strumento utile a smettere di fumare non porti risultati migliori di un placebo o delle terapie sostitutive della nicotina. mentre lo stesso anno altre istituzioni come il Royal College of General Practitioners e la British Medical Association, hanno pubblicato nuovi rapporti che indicano anche le e-sigarette come una scelta positiva per i fumatori che cercano di smettere. In Italia i dati disponibili sono relativi al 2013, e indicano che 3,5 milioni di persone di età superiore ai 15 anni hanno provato ad utilizzare una sigaretta elettronica almeno una volta, mentre 600.000 ne fanno uso abitualmente, e 1 fumatore pentito su 10 prova a smettere con questo sistema, un numero tre volte superiore rispetto a coloro che usavano altri presidi.
Per ciò che riguarda più propriamente gli effetti sulla salute dell’ uso delle sigarette elettroniche, il grado di tossicità dipende dall’eterogeneità dei modelli attualmente in commercio e dalla composizione dei liquidi. Le e-cigarette sono dispositivi alimentati a batteria in grado di riscaldare fino alla vaporizzazione un liquido contenente nicotina in varie concentrazioni o altri aromi. Il liquido contiene solitamente anche glicole propilenico e glicerolo che possono causare irritazioni agli occhi e al tratto respiratorio, e altre sostanze tossiche quali composti carbonilici, composti organici volatili, nitrosammine cancerogene e metalli pesanti, la cui soglia di pericolosità resta ignota. Tuttavia, bisogna tener presente che nel vapore emesso dalla sigaretta elettronica la presenza di questi composti è risultata da 9 a 450 volte minore rispetto al fumo di sigaretta tradizionale.
Già uno studio del 2016 del Royal College of Physicians aveva stimato che i danni per la salute associati all’utilizzo delle e-cigarette potrebbero non superare il 5% di quelli causati dalle sigarette contenenti tabacco, ma nel 2017 sono arrivate ulteriori conferme con la pubblicazione del primo studio a lungo termine sullo svapo, finanziato dalla Cancer Research UK, che ha confrontato l’esposizione tossica tra le persone che avevano smesso di fumare e utilizzato i prodotti per una media di 16 mesi, rispetto a quelli che avevano continuato a fumare, rilevando forti riduzioni negli agenti cancerogeni e in altri composti tossici tra i vapers rispetto ai fumatori, ma solo per coloro che avevano smesso completamente di fumare. Infine, un’analisi scientifica ancora più recente, ha confrontato le sostanze tossiche cancerogene presenti nei vapori e nel fumo. La maggior parte dei dati disponibili sulle sigarette elettroniche in questo studio hanno suggerito che il rischio di cancro derivante dal vaping è di circa l’1% rispetto al fumo. Linda Bauld, presidente della Society for Research su Nicotine and Tobacco Europe, commentando sul The Guardian queste ultime evidenze scientifiche, ha spiegato che dato che l’inalazione e la masticazione di tabacco bruciato sono estremamente dannosi per la salute umana, rimuovendo il tabacco e la combustione si riduce il rischio,”Ciò non significa che le e-sigarette siano innocue. Ma ciò significa che possiamo essere ragionevolmente sicuri che passare dal fumo allo svapo porterà benefici per la salute”.
Dunque se è chiaro che le sigarette elettroniche riducono in maniera sensibile il rischio di cancro rispetto alle sigarette tradizionali, è ancora incerto se queste siano davvero utili a smettere di fumare, né quali possono essere gli effetti collaterali a lungo termine del complesso di sostanze in esse contenute, che potranno essere valutati solo nel corso del tempo.
Siamo quello che mangiamo? Sembra di sì e questa non è quella che si può definire una buona notizia. Il problema è subdolo, perché è proprio dentro a ciò che mangiamo e beviamo che si nascondono le minacce più pericolose. Al giorno d’oggi c’è una particolare attenzione all’alimentazione. Prodotti biologici, filiera corta, chilometro zero: queste ed altre espressioni hanno decretato, nell’ultimo decennio, il ritorno alla necessità di riscoprire una naturalità perduta a causa dell’avvento della grande distribuzione. E così, dopo il boom del cibo in scatola, carne e uova provenienti da allevamenti intensivi, insalata in busta e cibi pronti, una bella fetta della popolazione ha deciso di riscoprire un’alimentazione che sia più sana possibile.Ma siamo sicuri che tutti gli accorgimenti che prendiamo ci aiutino davvero a scegliere bene e a nutrirci nel modo corretto? Oppure, è preferibile consumare cibi prodotti su scala industriale, che prevedono una serie di controlli routinari, a garanzia della salubrità degli stessi? Probabilmente nulla di tutto ciò è davvero sufficiente. Se pensiamo, infatti, al contesto all’interno del quale i cibi, anche quelli definiti più sani, vengono prodotti, possiamo facilmente renderci conto che molte cose non sono esattamente come dovrebbero essere. Eppure le etichette, le informazioni nutrizionali presenti sulle confezioni, le rassicurazioni dell’agricoltore che conosciamo e la dieta sempre più attenta, dovrebbero tranquillizzarci sul fatto che, sì, ci alimentiamo nel modo più corretto. Ma da dove arriva il grano con cui viene fatta la pasta che mangiamo? Dove vengono raccolti i pomodori con cui facciamo il sugo? Con quale acqua viene impastata la farina del pane che è presente sulla nostra tavola? L’inquinamento della nostra terra, violata con rifiuti che non riusciamo più a gestire, scorie tossiche interrate, falde acquifere avvelenate, materiali che non vengono riciclati correttamente, torna esattamente – come da manuale – nel ciclo naturale della produzione. È il principio del “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, che però, purtroppo, vede questa trasformazione come un mostro che mina la salute di coloro che dovrebbe preservare. Pertanto, siamo sicuri che l’albero da cui raccogliamo le mele ospita davvero frutti sani, solo perché non irradiati da diserbanti?L’analisi che dovremmo fare è molto lunga, complessa e minuziosa e riguarda in primis una silenziosa e consapevole presa di coscienza su ciò che ciascuno di noi dovrebbe fare. Perché se nell’acqua minerale che beviamo sono presenti particelle microplastiche e nanoplastiche avvelenate, se siamo sempre più soggetti all’insorgenza di patologie tumorali, se la modalità di cottura domestica dei cibi può produrre scorie pericolose, che si accumulano nell’organismo, un po’ è anche colpa nostra.Da dove cominciare, dunque? Sicuramente dalla consapevolezza di quello che possiamo fare per migliorare il nostro pezzettino di mondo, attraverso l’apprendimento di comportamenti che possono aiutare a salvare il pianeta e a cambiare radicalmente abitudini. Paolo Cioffi, farmacista che ha vinto una terribile malattia, ha deciso di mettere a disposizione degli altri la sua esperienza e le conoscenze apprese nel corso dei propri studi, per mettere in guardia le persone dai pericoli che possono nascondersi proprio nei cibi, in particolar modo le particelle plastiche che ingeriamo in maniera assolutamente inconsapevole e che contribuiscono a farci ammalare. Nel testo “La dieta della plastica: conosci, riduci e previeni i veleni nascosti in plastiche, microplastiche e nanoplastiche di alimenti, bevande e non solo”, Cioffi, dunque, non solo descrive i principi della buona educazione e della sicurezza alimentare, ma insegna anche, attraverso l’applicazione di oltre cento semplici accorgimenti basati su solide evidenze scientifiche, la modalità migliore per nutrirsi con attenzione, riducendo drasticamente la percentuale di elementi contaminanti da cibi e acqua. Se è vero, dunque, che “l’appetito vien mangiando”, possiamo anche fare in modo di compiere un passo in più: quello che “la salute arrivi imparando”. A mangiare.
Sono molti gli italiani che soffrono di disturbi alimentari: anoressia e bulimia, solo per citare quelli più conosciuti. Fino a qualche decennio fa, queste patologie riguardavano esclusivamente giovani ragazze che sognavano di intraprendere un percorso professionale nel mondo della moda o che non si sentivano a proprio agio in un corpo burroso e femminile. Da un po’ di tempo, il concetto di “magrezza a tutti i costi” è stato stravolto. Bisogna essere perfetti, senza un filo di grasso, muscolosi e perennemente allenati. Il prezzo da pagare può essere molto alto e non è raro che i cosiddetti disturbi alimentari, al giorno d’oggi, riguardino anche gli uomini. E, purtroppo, spesso addirittura i bambini. I modelli valoriali sbagliati, trasmessi soprattutto dai media e dal gruppo dei pari, hanno abbassato notevolmente le difese dei più giovani, che non hanno gli strumenti per difendersi dalle minacce che arrivano sotto molteplici fronti e che vengono assorbite senza avere la possibilità di difendersi, contrastare o rigettare modelli ormai quasi universalmente condivisi e accettati. Ma che, allo stesso modo, sono estremamente pericolosi e possono trasformarsi in serie patologie, difficili da curare per la delicatezza con cui vanno affrontate e per la difficoltà di un rapido riconoscimento delle stesse.Cosa fare dunque, per correre ai ripari e far rientrare un allarme che è diventato a dir poco preoccupante? Il primo passo è stato compiuto dal ministero della Salute, che, istituendo il cosiddetto codice lilla, permetterà all’interno delle strutture di pronto soccorso di indirizzare al meglio i pazienti che soffrono di quella che è stata definita una vera e propria epidemia sociale, che potrebbe diventare nel giro di poco tempo, un’emergenza sanitaria. Il tavolo di lavoro, insediato in seno al ministero della Salute, ha dunque elaborato un duplice documento, rivolto a due tipi di utenze differenti, sulle “Raccomandazioni per interventi in Pronto Soccorso per un Codice Lilla” e le “Raccomandazioni per i familiari”. Il primo documento è stato redatto per coloro che lavorano nelle strutture di pronto soccorso e che, pertanto, si pongono come i primi operatori che vengono a contatto con persone affette da disturbi alimentari. Il secondo testo vuole, invece, aiutare i familiari dei pazienti, per supportarli nel percorso di cura e guarigione e per informarli su quanto sta accadendo, a livello pratico, ai loro cari. Questa guida appare particolarmente utile proprio per la valenza di supporto al cittadino, che può ricevere gli strumenti adeguati per affrontare un percorso certamente accidentato, ma di possibile risoluzione.
Ultimamente parlare di vaccini è come attraversare un campo minato: i dibattiti su questo tema avvengono spesso con toni molto accesi e le argomentazioni a favore e contro disorientano tanti genitori e tante persone che cercano di farsi un’idea su un tema così attuale quanto delicato. E’ vero che le vaccinazioni possono essere fatali? O che possono essere responsabili dell’autismo? O che i vaccini contengono il mercurio, pericoloso per la salute? Per rispondere a queste e a tante altre domande è stato redatto l’opuscolo “Vaccini – un vademecum contro la disinformazione”. «Nato dalla collaborazione tra Siti Apulo Lucana, Osservatorio Epidemiologico Regione Puglia, Società Italiana di Pediatria, Federazione Italiana Medici Pediatri e Associazione Culturale Pediatri, il vademecum – come riportato sul portale SIP – contiene al suo interno tutte le informazioni necessarie per rispondere univocamente sulla base di argomentazioni scientifiche alle 58 domande diffuse dagli antivaccinisti nei centri vaccinali». L’opuscolo contiene anche tanti riferimenti scientifici e referenze bibliografiche da leggere per potersi informare sul tema con la dovuta completezza.
Il testo integrale del documento è consultabile a questo link (link esterno).