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Tumore dell’ovaio: in una proteina la speranza contro la forma più aggressiva

Una ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, sostenuta dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, ha messo a fuoco di una proteina chiave nel controllo del tumore ovarico, anche nella sua forma più aggressiva, refrattaria alle terapie e purtroppo più diffusa, il tipo “sieroso di alto grado”.
I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Stem Cell Reports.
La proteina CD73 è un fattore determinante delle cellule staminali cancerose (CSC), spiegano i ricercatori, guidati da Ugo Cavallaro, direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica.
Le cellule staminali cancerose CSC sono una piccola popolazione di cellule tumorali che non vengono colpite dai trattamenti chemio e radioterapici: anche nel caso di un’apparente buona risposta iniziale alla terapia, possono far ripartire il tumore, causando la cosiddetta ricaduta o recidiva. Sono considerate una sorta di benzina che alimenta il tumore. Nel caso del cancro ovarico la recidiva rappresenta il problema clinico più serio, in quanto molto spesso a questo punto la malattia è diventata resistente ai farmaci ed è quindi molto più difficile da trattare. Di conseguenza, capire meglio come agiscono le CSC e trovare il modo di inattivarle potrebbe fornire nuove possibilità di cura di questo tumore, soprattutto per prevenire le recidive.
Grazie alla localizzazione sulla superficie delle CSC,  la proteina CD73 può essere un bersaglio terapeutico delle terapie molecolari contro il cancro dell’ovaio e potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro le cellule staminali del cancro. Il dato più rilevante è stato ottenuto con esperimenti con un anticorpo che blocca il funzionamento di CD73.
I risultati sono stati ottenuti grazie al contributo fondamentale delle pazienti, attraverso il loro consenso a donare i tessuti per la ricerca. I ricercatori dell’IEO hanno messo a punto una serie di metodi per identificare e studiare le CSC ottenute da campioni chirurgici di tumore ovarico. Questo ha reso possibile effettuare un’analisi delle CSC presenti nei tessuti malati e confrontare i risultati con l’analisi delle staminali dei tessuti sani.
Ma c’è un altro aspetto che rende CD73 ancora più promettente per le terapie anticancro. “Molti tumori, incluso quello ovarico – spiega Cavallaro – sarebbero in teoria attaccabili dal sistema immunitario dell’organismo. Il problema è che spesso il tumore sviluppa dei meccanismi di difesa che gli consentono di eludere l’attacco dell’immunità. L’immunoterapia, che sta ottenendo risultati insperati nella cura di alcune neoplasie, è nata proprio con l’obiettivo di inattivare i meccanismi di difesa dei tumori. Ebbene, CD73 rappresenta appunto uno di questi meccanismi, tanto è vero che al momento le aziende impegnate nello sviluppo di farmaci contro CD73 sono concentrate soprattutto sugli aspetti legati all’immunoterapia. In base ai nostri dati, quindi, usare CD73 come bersaglio terapeutico potrebbe bloccare le CSC e contemporaneamente riattivare la risposta immunitaria antitumorale. Al momento, tuttavia, si tratta solo di ipotesi che rimangono da verificare in modelli preclinici, nella speranza che si arrivi poi ad una sperimentazione clinica”.

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L’importanza dei farmacisti nel supportare i pazienti nella gestione del diabete

Un recente studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Pharmacology, ha sottolineato il ruolo decisivo che rivestono i farmacisti nell’aiutare i pazienti affetti da diabete nel seguire in maniera corretta il proprio trattamento farmacologico. Lo studio evidenzia in maniera chiara come sino ad ora studi simili si siano soffermati su quello che è l’influsso proficuo che la categoria dei farmacisti esercita sui pazienti interessati da diabete, senza però approfondire circa un aspetto determinante come quello relativo al concreto supporto che essi forniscono durante la fase di gestione delle cure da seguire. Lo studio si chiama “Pharmacist-Led Self-management Interventions to Improve Diabetes Outcomes” ed è stato portato avanti dai ricercatori dell’università di Groningen e da quelli del Netherlands Institute for Health Services Research, i quali hanno rielaborato i dati relativi agli studi simili che sono stati effettuati sino ad adesso focalizzando però la propria attenzione su quello che viene definito il “self-management”, cioè la capacità di auto gestire la patologia da parte del paziente che ne è affetto. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata su 24 studi in particolar modo, i quali hanno interessato 3.610 pazienti in totale. Il contributo dei farmacisti ha riguardato per buona parte indicazioni fornite per quel che riguarda potenziali problematiche legate al diabete come pure pareri farmacologici, nonché suggerimenti circa lo stile di vita più indicato e corretto. I ricercatori hanno così focalizzato la propria attenzione su quelli che sono stati i risultati relativi alle terapie che i pazienti hanno seguito, registrando gli effetti positivi di cui si è avvantaggiato chi ha usufruito del supporto di un farmacista. I dati rilevati vanno quindi ad evidenziare il concreto contributo che questi può offrire nell’aiutare a seguire correttamente la terapia, in particolar modo per quanto concerne il livello di emoglobina glicata. Le farmacie italiane in particolar modo, si sono inoltre attivate non soltanto per fornire un valore aggiunto a quanti sono interessati da diabete e seguono il relativo trattamento farmacologico, ma anche per rivestire allo stesso tempo un ruolo determinante in fase di prevenzione. Ad esempio in occasione della campagna DiaDay del Novembre 2017, una iniziativa per lo screening nazionale del diabete, sono stati scoperti oltre 4.000 casi di diabete non diagnosticato.

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Infezioni sessualmente trasmesse, al via campagna di prevenzione del ministero della Salute

Con lo scopo di informare e sensibilizzare la popolazione, con particolare riferimento ai giovani, sulle malattie sessualmente trasmesse, il ministero della Salute ha dato il via ad una campagna di comunicazione e sensibilizzazione con particolare riferimento a sintomi e sindromi delle malattie trasmesse attraverso l’attività sessuale.
Le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), comprendono una serie di sindromi cliniche causate da batteri, virus, funghi ed altri patogeni, che colpiscono principalmente i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, in quanto particolarmente esposti allo sviluppo di queste patologie.
La campagna è stata realizzata grazie ad un accordo con la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) e, grazie ad un accordo con Federfarma, che rappresenta circa 17.500 farmacie italiane, saranno distribuiti e diffusi i materiali informativi prodotti per informare meglio l’audience di riferimento.
«L’obiettivo della campagna – spiega il ministero – è quello di informare la popolazione su quali siano le Infezioni Sessualmente Trasmesse, la loro modalità di contagio, i sintomi e le misure di prevenzione che si devono adottare.» La popolazione quindi potrà trovare il materiale informativo presso gli studi medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e le farmacie private territoriali. La distribuzione del materiale informativo sarà seguita da uno spot televisivo e dalla mesas online di una App utile per informare ed orientare i giovani sulla tematica delle Infezioni Sessualmente Trasmesse.

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Zinbryta (daclizumab beta), sospesa l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio nell’Unione Europea

In una nota del 12 marzo 2018, l’Agenzia Italiana del Farmaco, in accordo con le autorità regolatorie europee, informa di aver ritirato dal mercato, con effetto immediato, il farmaco Zinbryta.
Il farmaco Zinbryta è Zinbryta è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da sclerosi multipla, nelle forme recidivanti (relapsing multiple sclerosis, RMS) che hanno avuto una risposta inadeguata ad almeno due terapie modificanti la malattia (DMT) e per i quali è controindicato, o comunque non idoneo, il trattamento con qualsiasi altra DMT.
Nella nota diffusa l’AIFA spiega di aver ritirato con effetto immediato il farmaco Zinbryta a causa dei casi di encefalite immuno-mediata e di meningoencefalite che si sono verificati in pazienti trattati, pertanto nessun nuovo paziente deve iniziare il trattamento con Zinbryta.
L’Aifa ha fatto sapere che i pazienti in trattamento saranno contattati dai medici e con loro verranno discusse eventuali opzioni terapeutiche alternative. Inoltre, i pazienti devono essere informati del fatto che pur interrompendo il trattamento, possono avere delle reazioni avverse per sei mesi dalla data di interruzione dello stesso e, in tal caso, contattare immediatamente il proprio medico qualora compaiano sintomi tra cui febbre prolungata, cefalea grave, nausea o vomito.
Oltre ai sintomi sopra descritti potrebbero verificarsi inoltre altri disturbi tra cui discrasie ematiche, tiroidite o glomerulonefrite.

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Diabete infantile, l’EMA autorizza nuovo farmaco Amglidia per il trattamento

Amglidia (glibenclamide), è questo il nome del farmaco per il quale la European Medicines Agency (l’agenzia comunitaria dell’Unione europea per la valutazione dei medicinali ad uso umano, con sede a Londra) ha acconsentito l’introduzione in commercio all’interno dei Paesi membri dell’Unione europea. Si tratta di un farmaco atto alla cura del diabete mellito nei bambini e nei neonati. Il diabete neonatale, ha ricordato l’Agenzia, costituisce una variante assolutamente rara di questa patologia, che viene scoperta durante i primi sei mesi di vista del bambino. Gli elevati livelli di glicemia nel sangue che essa comporta ed il rischio di chetoacidosi (una complicanza che può avere conseguenze fatali e che si verifica in persone interessate da diabete mellito di tipo I) mettono a rischio la vita dei piccoli pazienti. La European Medicines Agency ha sottolineato che «Amglidia è una nuova formulazione orale della glibenclamide, sostanza che è già autorizzata per il trattamento del diabete di tipo 2 e che ora è indicata specificatamente a livello pediatrico. Essa agisce sulla produzione di insulina nel pancreas, attivandone il rilascio. In molti neonati diabetici, le cellule del pancreas producono infatti insulina in modo normale ma non sono in grado di rilasciarla nel sangue a causa di una mutazione genetica che provoca la disfunzione». L’EMA ha anche aggiunto che, al momento, per la cura del diabete neonatale viene impiegata di norma l’insulina solitamente viene somministrata agli adulti, e che «al fine di rendere i prodotti facili da somministrare ai bambini le compresse vengono frantumate in componenti più piccoli e sciolte in acqua. Quindi viene utilizzata una siringa orale per far sì che il prodotto venga assunto: il tutto rischia di causare errori in termini di dosaggio. La formulazione della specialità Amglidia è concepita invece con l’obiettivo di garantire accuratezza nella somministrazione. Inoltre, i bambini in questo modo possono non avere più bisogno di insulina o possono essere trattati con minori inferiori di tale sostanza».
Data la singolarità di questa patologia, l’Amglidia è considerata – dal Gennaio 2016 – un farmaco orfano, cioè destinato alla cura di malattie rare. Tale investitura sarà a breve riconsiderata da parte del Committee for Orphan Medicinal Products dell’EMA, per comprendere effettivamente se tale status debba essere mantenuto o meno.
Per ulteriori informazioni in merito a questo farmaco è opportuno rivolgersi sempre al medico di famiglia o al farmacista di fiducia.