I medicinali a base di idroclorotiazide sono ampiamente utilizzati per il trattamento dell’ipertensione, dell’edema cardiaco, epatico e nefrogeno, ma anche come terapia dell’insufficienza cardiaca cronica.
Una nota informativa importante diramata dall’Agenzia Italiana del Farmaco, in accordo con le autorità europee, ha informato del possibile rischio di tumori cutanei non melanoma, con particolare riferimento al carcinoma a cellule basali, carcinoma a cellule squamose. La nota, concordata tra i titolari dei prodotti contenenti idroclorotiazide, in accordo con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), riveste particolare importanza soprattutto per l’ampio uso che si fa del principio attivo idroclorotiazide, somministrato da solo o in associazione con altre molecole.
L’Aifa ha sottolineato che «studi farmacoepidemiologici hanno evidenziato un aumento del rischio di tumore cutaneo non melanoma (TCNM) (carcinoma a cellule basali, carcinoma a cellule squamose) con esposizione a dosi cumulative crescenti di idroclorotiazide (HCTZ)». Per questo motivo, spiega la nota, «i pazienti che assumono idroclorotiazide (HCTZ) da sola o in associazione con altri farmaci devono essere informati del rischio di tumore cutaneo non melanoma (TCNM) e devono essere avvisati di controllare regolarmente la loro cute per identificare eventuali nuove lesioni o modifiche di quelle esistenti e a segnalare al medico ogni lesione cutanea sospetta». In tal senso, «le lesioni cutanee sospette devono essere esaminate includendo possibilmente esami istologici di biopsie». L’Aifa ha informato inoltre che «i pazienti devono essere avvertiti di limitare l’esposizione alla luce solare e ai raggi UV e utilizzare una protezione adeguata quando esposti alla luce solare e ai raggi UV, per ridurre al minimo il rischio di cancro della pelle». Infine, «l’uso di idroclorotiazide (HCTZ) deve essere attentamente valutato in pazienti che hanno avuto un precedente tumore della cute».
Sebbene a primo impatto potrebbe sembrare un’informazione molto tecnica e riservata solo agli operatori del settore, è bene dare massima visibilità a questo comunicato, per il grande utilizzo che si fa dell’idroclorotiazide. Qualora la terminologia utilizzata in questo articolo fosse molto tecnica e/o incomprensibile, è possibile rivolgersi al proprio medico curane, allo specialista di riferimento, o al proprio farmacista di fiducia, che sarà sempre disponibile a fornire ulteriori delucidazioni in merito.
E’ possibile inoltre visualizzare la nota integrale pubblicata sul sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco, al link http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/NII_Idroclorotiazide_17.10.2018.pdf.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Una diagnosi di cancro, persino di un tumore precocemente diagnosticato e curabile, può spingere i pazienti che sentono improvvisamente di aver perso il controllo del proprio futuro ad affidarsi ai consigli di Internet o di parenti e amici che raccontato di guarigioni miracolose grazie rimedi alternativi che pretendono di risparmiare loro trattamenti antitumorali consolidati come la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Ad affrontare il problema sempre più diffuso e a fare chiarezza sulla differenza tra medicina alternativa e medicina complementare o integrativa, è il New York Times, partendo da un recente studio condotto dai ricercatori della Yale School of Medicine e pubblicato sul Journal of National Cancer Institute.
Il blog di una clinica che si occupa di medicina oncologica integrativa, Integrative Cancer Answers, afferma che ben l’83% dei pazienti oncologici sceglie di utilizzare una o più forme di medicina alternativa, che vanno dall’agopuntura alle erbe e alle vitamine e allo yoga, più spesso in combinazione con terapie clinicamente testate. Tuttavia, un piccolo ma significativo numero di pazienti oncologici rifiuta i trattamenti offerti dagli oncologi tradizionali e cerca invece rimedi alternativi che possono sembrare miracolosi ma non hanno il supporto di ricerche scientificamente valide. Le loro motivazioni vanno dal desiderio di sentirsi responsabilizzati prendendo le proprie decisioni terapeutiche all’evitare effetti collaterali tossici, selezionando rimedi che considerano innocui, ma che in realtà potrebbero tramutarsi in una sentenza di morte che avrebbe potuto essere evitata.
A dimostrarlo è uno studio dei ricercatori della Yale School of Medicine è condotto su 281 pazienti con tumori potenzialmente curabili a mammella, polmone, colon-retto o prostata che non si erano ancora diffusi oltre il loro sito di origine. I risultati hanno rivelato che l’uso di medicine alternative in sostituzione dei trattamenti convenzionali per il cancro hanno portato a un tasso di mortalità generale due volte e mezzo superiore a quello riscontrato dai pazienti che hanno ricevuto terapie standard.
Tra le donne con tumore al seno, la scelta di rimedi alternativi ha comportato un aumento di quasi sei volte della possibilità di morire durante un periodo di follow-up medio di cinque anni e mezzo. Per i pazienti con tumore del colon o del retto che hanno scelto trattamenti alternativi, il tasso di mortalità era quattro volte e mezzo più alto. E per quelli con cancro ai polmoni, il tasso era due volte più alto. Solo gli uomini con cancro alla prostata che hanno rifiutato i trattamenti standard non hanno riscontrato differenze nel rischio di morte durante il periodo di follow-up, un risultato, hanno suggerito i ricercatori, che molto probabilmente riflette la crescita lenta tipica del cancro alla prostata.
Il team di ricerca, guidato dal radioterapista Skyler B. Johnson, ha sottolineato la differenza tra la medicina alternativa, definita dagli autori come “una terapia non provata che è stata somministrata al posto del trattamento convenzionale”, e i trattamenti complementari o integrativi, che sono usati come aggiunte o complementi alla cura standard. La “medicina integrativa” si riferisce a un approccio combinato di rimedi stabiliti dal medico con una o più pratiche utilizzate nella medicina complementare e alternativa, che si sono dimostrate sicure ed efficaci. La “medicina complementare”, d’altra parte, comporta meno rischi, poiché viene usata insieme ai rimedi standard, il più delle volte per ridurre gli effetti collaterali del trattamento e migliorare le sensazioni di benessere, dunque se scelte correttamente, le terapie complementari non dovrebbero interferire con i benefici dei trattamenti convenzionali.
Troppo spesso, invece, l’uso della “medicina alternativa” al posto di trattamenti medici convenzionali, ritarda l’uso di rimedi di comprovata efficacia e dà tempo ad un cancro curabile di crescere, diffondersi e alla fine diventare letale. Tuttavia, non tutti i trattamenti complementari che i pazienti usano sono sicuri, infatti alcuni possono interferire con l’efficacia dei rimedi stabiliti o causare reazioni avverse se combinati con essi. Questo è più probabile che accada quando i pazienti li usano senza prima discutere le loro intenzioni con il proprio oncologo, a confermarlo è l’American Cancer Society, che sollecita i pazienti ad avvertire i loro medici se stanno prendendo in considerazione un rimedio complementare, per assicurarsi che non interferisca con il loro regolare trattamento. I pazienti sono altresì invitati a fare una lista completa di tutti gli integratori alimentari che stanno assumendo o hanno intenzione di assumere così da consentire al proprio medico di identificare prodotti potenzialmente fraudolenti o pericolosi. E a proposito di metodi alternativi da utilizzare rigorosamente come complemento e non in sostituzione del trattamento convenzionale contro il cancro, la Mayo Clinic suggerisce 10 opzioni sicure che possono aiutare i pazienti oncologici a far fronte a segni e sintomi come ansia, affaticamento, nausea e vomito, dolore, insonnia e stress: – L’agopuntura può aiutare ad alleviare la nausea e il dolore – L’aromaterapia può anche aiutare ad alleviare la nausea, il dolore e lo stress, ma i pazienti sono avvertiti di non usare grandi quantità di olio di lavanda e olio dell’albero del tè sulla loro pelle.
– L’esercizio fisico può alleviare la fatica e lo stress e migliorare il sonno.
– L’ipnosi può controllare il dolore e ridurre lo stress.
– Il massaggio può alleviare il dolore e può anche ridurre l’ansia, l’affaticamento e lo stress, anche se potrebbe non essere sicuro per i pazienti con basso numero di globuli rossi.
– La meditazione può alleviare l’ansia e lo stress.
– La musicoterapia ha dimostrato di alleviare il dolore e controllare la nausea e il vomito.
– Tecniche come il rilassamento muscolare progressivo possono migliorare il sonno e alleviare l’ansia e la stanchezza.
– Il Tai Chi, purché si evitino movimenti che causano dolore, può alleviare lo stress e migliorare la forza e l’equilibrio.
– Lo yoga può anche ridurre lo stress e l’affaticamento e migliorare il sonno.
Quante volte ci è capitato di stare male e, soprattutto nel caso di un malanno ricorrente, prendere un antibiotico da quella confezione rimasta nell’armadio dei farmaci. Quante volte ai primi sintomi della febbre, siamo ricorsi ad una nostra cura fai da te, pensando di fare cosa buona e giusta? Ebbene, un uso sconsiderato di antibiotici non fa altro che accrescere il problema dell’antibiotico-resistenza, fenomeno in base al quale il batterio – precedentemente non sconfitto o attaccato con un antibiotico diverso da quello effettivamente necessario -, mette in atto delle misure difensive che ci portano a dover aumentare il dosaggio o, a volte, cambiare antibiotico per sconfiggere l’infezione.
Proprio con l’obiettivo di quantificare il numero di vite umane perse ogni anno a causa dell’uso sconsiderato degli antibiotici, il Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (ECDC), agenzia dell’Unione europea che si occupa di analizzare questi fenomeni, ha pubblicato i dati di uno studio in tal senso. I ricercatori hanno quantificato come 33.000 il numero di vittime nell’Unione europea, causato ogni anno dal fenomeno dell’antibiotico-resistenza, pari alle morti provocate da influenza, tubercolosi e HIV/AIDS, messe insieme.
E’ da dire che il 75% delle morti avviene a causa di infezioni resistenti agli antibatterici avvenute in ambito sanitario, tra cui quello ospedaliero. Non per questo però – sopratutto in ambito domestico – è possibile abbassare la guardia, considerato che quando il numero degli antibiotici disponibili per trattare le infezioni più resistenti terminerà, sarà molto difficile avere la meglio sui batteri.
In tal senso, è bene ricordare che ogni antibiotico va somministrato solo ed esclusivamente dopo la prescrizione del medico curante o dello specialista, ovvero, dopo essere certi della effettiva necessità di tale terapia. Inoltre, è del tutto fuori luogo utilizzare antibiotici già usati in passato, magari presenti a casa propria o del vicino, già utilizzati per curare qualche infezione. Ogni infezione ha delle caratteristiche proprie del tutto differenti da quella precedente, magari causata da un virus e non da un batterio. In ogni caso, è bene tenersi sempre in contatto con il medico curante o con il proprio farmacista di fiducia che sarà sempre disponibile a fornire tutte le informazioni necessarie sulla corretta somministrazione degli antibiotici, ma anche di tutti gli altri farmaci.
«Un’infezione virale potrebbe contribuire a scatenare la celiachia, in chi è geneticamente predisposto». E’ quanto recentemente dimostrato da un progetto finanziato da Fondazione dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC), presentati in anteprima in occasione del 7° Convegno Nazionale, secondo cui «la gliadina e i virus attivano gli stessi meccanismi che, in soggetti predisposti, possono contribuire alla comparsa della celiachia».
Stando a quanto riferito dall’AIC, gli studi condotti hanno verificato che «in soggetti geneticamente predisposti alla celiachia i virus, assieme a specifici “pezzetti” di glutine, potenziano la risposta immunitaria innata dell’organismo contro le infezioni virali», ciò attraverso l’attivazione di un meccanismo che provoca «un’infiammazione locale», ma soprattutto «innescando una reazione autoimmune che può portare alla comparsa della celiachia».
Il coordinatore dello studio, Riccardo Troncone, docente di pediatria del Dipartimento di Scienze mediche traslazionali dell’Università Federico II di Napoli, ha spiegato che «con il nostro progetto abbiamo voluto capire se fra risposta al glutine e risposta ai virus ci siano similitudini e soprattutto se queste risposte possano sommarsi: numerosi studi epidemiologici e genetici indicano infatti che altri fattori ambientali oltre al glutine, in primo luogo i virus, potrebbero essere in grado di innescare la celiachia in individui geneticamente suscettibili». Troncone spiega che, nel corso dei tre anni del progetto, «abbiamo anche verificato che il peptide della gliadina P31-43, che si trova nel glutine e resiste alla digestione intestinale, attiva l’immunità innata così come le proteine dei virus: queste molecole possono perciò agire in sinergia. In entrambi i casi, negli esperimenti su cellule, si è notato anche un aumento del traffico delle vescicole all’interno delle cellule stesse che porta a un incremento dell’infiammazione: questi dati indicano perciò che le proteine presenti nel glutine, insieme a quelle virali, possono simulare e potenziare la risposta immunitaria innata ai virus, contribuendo a innescare la celiachia in soggetti geneticamente predisposti».
Quante volte ci siamo chiesti in che modo poter smaltire i farmaci scaduti o inutilizzati e, alla fine, abbiamo buttato tutto nella spazzatura? Smaltire i farmaci scaduti in maniera sicura e corretta consente di limitare gli innumerevoli danni all’ambiente. I farmaci non smaltiti correttamente infatti raggiungono direttamente gli impianti di depurazione, le acque superficiali, le acque potabili e quelle di falda. Tale contaminazione è altamente dannosa in maniera diretta per l’uomo, ma anche indiretta, passando per gli animali. Per alcune categorie di farmaci, come gli antibiotici, c’è un danno diretto all’ecosistema acquatico, creando anche in tal caso, come nell’uomo, resistenza batterica, ovvero, rendendo i batteri sempre più invincibili, dando loro la possibilità di difendersi diventando “resistenti” al principio attivo.
Pertanto, ecco alcuni consigli pratici su come smaltire correttamente i farmaci scaduti o non utilizzati. Si parte dalla parte esterna del prodotto, ovvero l’imballaggio, che nella maggior parte dei casi è di carta e va smaltita nell’apposito contenitore. Stesso ragionamento si applica al foglietto illustrativo di carta. Blister, tubetti e bustine vuote, che generalmente sono in alluminio ma anche in sostanze plastiche, vanno smaltite negli appositi contenitori domestici, a seconda di cui è fatto il materiale. Attenzione però, se tali parti contengono residui di farmaco, è bene effettuare lo smaltimento nell’apposito contenitore dislocato in farmacia. Per gli integratori, che non sono veri e propri farmaci, si deve differenziare la carta nell’apposito contenitore, il blister nella plastica e l’integratore nell’indifferenziata. Per quanto attiene blister e boccette che contengono ancora un certo quantitativo di farmaci, vanno smaltiti esclusivamente negli appositi contenitori, solitamente disposti all’esterno della farmacia di fiducia. Può capitare che in alcuni casi tale contenitore è disponibile all’esterno della casa comunale. Questa regola vale anche per siringhe, termometri, disinfettanti e simili, che vanno smaltiti a seconda del materiale di cui sono fatti e a seconda che contengano materiale residuo o che siano stati usati o meno: in questo ultimo caso, vanno smaltiti negli appositi contenitori etichettati come “smaltimento farmaci”, o, in alternativa, seguire le regole di smaltimento previste da ogni Comune.