Il professor Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico Isde Italia, l’Associazione italiana Medici per l’Ambiente, ha rilanciato la richiesta di una moratoria per l’avvio in Italia delle sperimentazioni 5G, ritenendo il loro impatto sociale ancora troppo violento per la salute del nostro Paese. 5G significa “quinta generazione di connessione mobile”, che è ormai a portata di mano in tutto il mondo e darà il via ad una delle rivoluzioni tecnologiche più grandi fin qui registrate. Nell’appello dell’Isde si legge: “Lo scorso 5 maggio l’AGCOM ha approvato la delibera che regola le procedure per l’assegnazione e le regole di utilizzo delle frequenze per il 5G, aprendo di fatto la strada della sperimentazione. Sono rimasti inascoltati sia il documento con il quale circa 180 scienziati e medici di 35 Paesi hanno voluto sottolineare i rischi del 5G, sia la richiesta di moratoria avanzata da ISDE a livello nazionale e internazionale. Nelle audizioni precedenti la stesura della delibera si legge addirittura che è stata da alcuni operatori “richiamata l’attenzione del regolatore sugli stringenti limiti alle emissioni elettromagnetiche presenti in Italia, che potrebbero porre un freno allo sviluppo degli impianti radio”, richiedendo “una revisione dell’attuale normativa” nonostante questa, sulla base di numerosissime e autorevoli evidenze scientifiche, non sia già ora assolutamente in grado di tutelare la salute umana e sia da rivedere, al contrario, in senso enormemente più restrittivo.Con l’avvio delle “sperimentazioni”, circa 4 milioni di italiani saranno esposti a campi elettromagnetici ad alta frequenza con densità espositive e frequenze sino ad ora inesplorate su così ampia scala e sottovalutare o ignorare il valore delle evidenze scientifiche disponibili non appare eticamente accettabile. Come osservato da Lorenzo Tomatis, questo “equivale ad accettare che un effetto potenzialmente dannoso di un agente ambientale può essere determinato solo a posteriori, dopo che quell’agente ha avuto tempo per causare i suoi effetti deleteri”. Per queste ragioni ISDE intende rinnovare la richiesta di una moratoria per l’utilizzo del 5G su tutto il territorio nazionale sino a quando non sia adeguatamente pianificato un coinvolgimento attivo degli enti pubblici deputati al controllo ambientale e sanitario (Ministero Ambiente, Ministero Salute, ISPRA, ARPA, dipartimenti di prevenzione), non siano messe in atto valutazioni preliminari di rischio secondo metodologie codificate e un piano di monitoraggio dei possibili effetti sanitari sugli esposti, che dovrebbero in ogni caso essere opportunamente informati dei potenziali rischi.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
E’ ampiamente noto che lo stress causa cambiamenti fisiologici, compresi i cambiamenti nella funzione immunitaria, tuttavia le evidenze scientifiche che lo collegano a specifiche malattie sono limitate. Oggi uno studio retrospettivo svedese, pubblicato sul prestigioso Journal of the American Medical Association (JAMA), dimostra che una condizione psichiatrica legata allo stress può aumentare il rischio di malattie autoimmuni.
Per l’analisi i ricercatori hanno utilizzato un database svedese di 106.464 pazienti che presentavano una grave condizione di stress come disturbo da stress post-traumatico, reazione acuta allo stress o disturbi dell’adattamento, li hanno confrontati con 1.064.640 individui non indentificati e con 126.652 dei loro fratelli, tutti privi di tali disturbi.
Durante una media di 10 anni di follow-up, ci sono stati 8.284 casi di malattia autoimmune nel gruppo di pazienti con diagnosi di disturbi da stress, 57.711 casi nel gruppo di sconosciuti e 8.151 casi tra i fratelli privi di disturbi. Dopo aver controllato ed escluso altri fattori di rischio, gli studiosi hanno scoperto che rispetto a quelli che non avevano avuto uno stress grave, quelli con qualsiasi disturbo correlato allo stress avevano il 36% in più di probabilità di sviluppare una malattia autoimmune e il 29% in più rispetto ai loro fratelli senza disturbi da stress. Le persone con diagnosi di disturbo da stress post traumatico erano particolarmente ad alto rischio, con una probabilità del 46% in più di sviluppare una malattia autoimmune.
L’età media alla diagnosi dei disturbi legati allo stress era di 41 anni e l’aumento del rischio relativo era più pronunciato tra i pazienti più giovani, tuttavia l’uso persistente di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, durante il primo anno di diagnosi del disturbo da stress post-traumatico, è stato associato ad un rischio relativo attenuato di malattia autoimmune. ‹‹Lo stress influisce davvero sulla salute a lungo termine – ha spiegato il dottor Huan Song, autore principale dello studio e ricercatore all’Università dell’Islanda – esso non colpisce solo la salute psichica, bensì rende le persone vulnerabili ad altre malattie fisiche. Ci sono molti trattamenti disponibili per i disturbi legati allo stress ed è importante che le persone siano trattate in tempo con le adeguate terapie››.
Migliaia di italiani vengono sottoposti ogni anno ad interventi di rimozione delle tonsille o delle adenoidi per prevenire le infezioni o i disturbi del sonno o respirazione.
Tuttavia, un recente studio suggerisce che, a seguito di intervento chirurgico di rimozione delle tonsille o adenoidi, potrebbero esserci rischi di lungo termine in alcuni casi, che potrebbero superare i benefici sul breve termine.
A confermarlo è il lavoro “Association of Long-Term Risk of Respiratory, Allergic, and Infectious Diseases With Removal of Adenoids and Tonsils in Childhood” pubblicato sulla rivista scientifica Otolaryngology-Head & Neck Surgery, edita da JAMA.
Lo studio ha analizzato i dati di 60,667 bambini danesi, sotto i nove anni, sottoposti ad interventi di rimozione delle tonsille, delle adenoidi o entrambi, confrontandoli con quelli di circa un milione e cento bambini che non hanno avuto l’operazioni.
Dopo aver verificato altri fattori di salute, i ricercatori hanno scoperto che la tonsillectomia era associata ad un rischio di insorgenza di patologie alle vie respiratorie superiori di circa tre volte superiore.
Per quanto riguarda invece gli interventi di adenoidectomia, sono stati associati al raddoppio del rischio di disturbo polmonare ostruttivo, malattie del tratto respiratorio superiore e congiuntivite.
Lo studio ha evidenziato he la chirurgia ha alcuni benefici di breve termine, nel caso di respirazione anormale, sinusiti ed infezioni alle orecchie, tuttavia i rischi a lungo termine sono stati significativamente alti dopo gli interventi.
Secondo il Dr. Bayars, a capo dei ricercatori che hanno condotto lo studio, «questo è il primo che guarda ai rischi di lungo termine. Sapere che in alcuni casi potrebbero esserci rischi futuri, a seguito di intervento, potrebbe essere utile non intervenire, usando farmaci ed altri rimedi. L’analisi attenta della condizione di salute del malato, tuttavia, può essere una buona strategia da seguire quando la condizione non è severa».
Essere vedovi, divorziati o mai sposati aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, al contrario il matrimonio riduce il rischio di tali malattie e di morte. Sono questi i risultati di una meta-analisi pubblicata sulla rivista scientifica Heart, che include i dati su oltre due milioni di partecipanti in 34 studi condotti in 15 Paesi, inclusi Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Russia, Svezia, Spagna, Grecia.
I ricercatori hanno scoperto che, rispetto alle persone sposate, coloro che non erano sposati – mai sposati, vedovi o divorziati – avevano il 42% di probabilità in più di avere qualche forma di malattia cardiovascolare e il 16% di probabilità in più di avere una malattia coronarica. I non sposati, inoltre, hanno mostrato un aumento del 43% delle probabilità di morte per coronaropatia e un aumento del 55% del rischio di morte per ictus. Essere divorziati era associato a maggiori probabilità di sviluppare coronaropatia sia per gli uomini che per le donne, mentre i vedovi avevano maggiori probabilità di sviluppare un ictus. Uomini e donne single che avevano subito infarto miocardico hanno invece avuto un aumento della mortalità rispetto a quelli sposati.
Gli autori riconoscono che lo studio presenta alcuni punti deboli, poiché mentre la maggior parte delle analisi è stata regolata su variabili multiple, tali variabili cambiano da studio a studio, e inoltre alcuni fattori non sono stati considerati, inclusi la stabilità finanziaria, l’aderenza ai farmaci e il supporto sociale. Eppure gli esiti della meta-analisi suggeriscono che lo stato civile può influenzare lo sviluppo di malattie cardiovascolari e le relative prognosi, dunque dovrebbe essere preso in considerazione nella valutazione del rischio per malattie cardiovasolari e sicuramente merita ulteriori indagini.
‹‹L’estensione del supporto familiare è difficile da determinare – ha spiegato il dott. Chun Shing Kwok, coautore dello studio e cardiologo presso la Keele University in Inghilterra – anche quando si riesce a delineare l’effetto della convivenza. Tuttavia i nostri risultati suggeriscono che sia gli uomini che le donne traggono beneficio dal matrimonio››.
Una buona dose di fitness, anche iniziando nella mezza età, riduce il rischio di depressione in età avanzata e di morte per malattie cardiovascolari, è questa la conclusione dello studio americano Midlife Fitness and the Development of Chronic Conditions in Later Life, pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry.
Sia la depressione che le malattie croniche, soprattutto cardiovascolari, sono comuni nelle persone anziane e i tassi di depressione sono alti in presenza di malattie cardiovascolari, specialmente di ictus. Inoltre la depressione è un fattore di rischio di morte nei pazienti con malattie cardiovascolari.
L’associazione tra fitness e mortalità, dopo modifiche di altri fattori di rischio, è ormai stabilita, ciò che invece rimaneva insondata era la correlazione tra ginnastica e sviluppo o meno di condizioni croniche non fatali in età avanzata, incluse depressione e malattie cardiovascolari.I ricercatori del Cooper Institute di Dallas hanno quindi raccolto i dati dal 1970 di 18.670 soggetti di ambo i sessi, di età media di partenza di 50 anni, che al 2009 avevano compiuto almeno 65 anni. Di questi hanno raccolto informazioni sulla salute e sulle abitudini comportamentali, compresa la pratica o meno di ginnastica aerobica (camminate, jogging, corsa), e ne hanno seguito gli sviluppi per una media di 26 anni. Tra di essi vi erano 2.701 diagnosi di depressione e 841 decessi cardiovascolari.
Nel campione esaminato, i tassi di depressione e di malattie cardiovascolari sono diminuiti costantemente con l’aumento della forma fisica nella mezza età. Rispetto a coloro che praticavano meno attività fisica, le persone più dedite al fitness mostravano il 16% in meno di probabilità di sviluppare depressione, il 61% in meno di probabilità di avere malattie cardiovascolari senza depressione e il 56% in meno di probabilità di morire di malattie cardiovascolari a seguito di depressione.
In questa coorte di adulti sani di mezza età, la pratica del fitness era dunque associata ad un livello di rischio significativamente inferiore di sviluppare malattie croniche durante i 26 anni di follow-up. Questi risultati suggeriscono che una maggiore attività fisica durante la mezza età può essere associato alla compressione di morbilità in età avanzata: ‹‹C’è una connessione a lungo termine tra fitness, depressione e morte cardiovascolare – ha spiegato l’autore principale, il dott. Benjamin L. Willis, direttore di Epidemiologia presso il Cooper Institute di Dallas – Ed è qualcosa che puoi affrontare con un comportamento modificabile. Non è mai troppo tardi per scendere dal divano e iniziare a fare attività fisica››.